Un altro colpo al pluralismo in Turchia con la vendita dei media del gruppo Doğan al businessman fedele al governo Erdoğan Demirören, che ora guiderà il gruppo media più grande del paese
Nuovi segnali di allarme sul fronte della libertà e del pluralismo dei media in Turchia. Il gruppo media Doğan, branca mediatica dell’omonima holding, è stata venduta ieri a Erdoğan Demirören, businessman titolare del gruppo che ne porta il nome, attivo soprattutto nel settore edile ed energetico e noto per le posizioni pro-governative. Le circa 40 testate del gruppo, inclusi i più noti quotidiani Hürriyet, Posta e le reti televisive Cnn Türk e Kanal D, sono state vendute per la cifra di 890 milioni di dollari. Su alcuni media locali circola inoltre la supposizione che il vero acquirente del gruppo potrebbe essere una società del Qatar in affari con Demirören, dato che le capacità finanziarie di quest’ultimo sono considerate insufficienti per una simile transazione.
La decisione presa da Aydın Doğan, titolare del gruppo venduto, rappresenta il più grande trasferimento di proprietà dei media mai realizzato nel paese anatolico. Il magnate, che ha investimenti in numerosi altri settori, dall’edilizia all’estrazione del petrolio, è presente nel settore dei media dal 1979. Con la vendita di ieri, il gruppo Demirören, che nel 2011 aveva già acquistato i quotidiani Vatan e Milliyet dallo stesso Doğan, è diventato il gruppo media più grande della Turchia.
Secondo quanto ha scritto il quotidiano Birgün, con la transazione Doğan-Demirören, 21 dei 29 giornali nazionali sono diventati di proprietà di società pro-governative, coprendo il 90% della tiratura complessiva dei quotidiani del paese. La stessa perdita di pluralismo riguarda anche il panorama delle reti televisive, già dominato da una concentrazione di canali i cui programmi di informazione trasmettono quasi esclusivamente notizie uniformate alle comunicazioni dell’esecutivo. Con la vendita della CNN turca e di Kanal D altre due voci si vedranno unire a questo coro. Il tutto va ad aggiungersi alle condizioni di estrema difficoltà in cui si trovano i pochi organi di stampa indipendenti del paese dove circa 150 media sono stati chiusi in seguito al tentato golpe del luglio 2016.
I media del gruppo, tra cui il quotidiano Radikal - chiuso definitivamente nel 2016 - hanno contribuito dagli anni ‘90 a creare un contesto di dibattito intellettuale importante sulle questioni di attualità più stringenti e i nodi storici irrisolti del paese - dalla questione curda a quella armena. La stessa Cnn Türk, durante il processo di pace con i curdi, ha giocato un ruolo importante nel diffondere le posizioni politiche del partito filo-curdo HDP, che nel 2015 è entrato in parlamento superando la soglia elettorale del 10%.
Non va dimenticato tuttavia che i media del gruppo Doğan, in particolare il quotidiano Hürriyet e la CNN Türk sono stati frequentemente criticati negli ultimi anni per aver assunto posizioni accomodanti nei confronti del governo. Il cambio di linea si è verificato in particolare dopo il 2009, quando il gruppo fu condannato a una multa record di 2,5 miliardi di dollari dopo essere accusato di evasione fiscale. Negli ultimi anni, in parallelo alla scelta di adeguarsi alla linea del governo, diversi tra i giornalisti più critici del gruppo, che conta circa 24mila dipendenti, sono stati licenziati.
“Abbiamo molto da criticare al gruppo Doğan, ma la sua vendita è una grande perdita e rappresenta una frattura importante”, afferma Ceren Sözeri, studiosa di processi mediatici ed editorialista del quotidiano Evrensel. Ed aggiunge che “i giornalisti di entrambi i gruppi - sia Doğan che Demirören - subiranno contraccolpi importanti, molti giornalisti resteranno senza lavoro, mentre i lettori e gli spettatori si troveranno di fronte un clima mediatico molto più arido”.
Per il giornalista di Cumhuriyet Kadri Gürsel si è arrivati ad uno stadio di concentrazione dell’industria dei media “sul modello di Putin”.
Ma la vendita è considerata strategica anche in vista delle elezioni presidenziali del 2019, un appuntamento al quale Erdoğan vuole arrivare senza alcuna sorpresa. Strategica è anche la legge approvata proprio ieri in parlamento che prevede il controllo da parte dell'autorità statale per la radiotelevisione (RTÜK) delle trasmissioni fatte tramite internet.
In seguito alla chiusura, numerosi organi di stampa hanno infatti avviato canali alternativi di informazione che si appoggiano al web. Come il Medyascope TV fondato dal giornalista Ruşen Çakır, canale che trasmette in rete da 2 anni e mezzo. “Oramai tutti i media mainstream condividono la stessa linea pro-governativa”, ha detto ieri Çakır, “ma molti cittadini che si lamentano di questo stato non sembrano disposti a sostenere un’iniziativa come la nostra in maniera attiva... È ormai evidente che ricevere un’informazione oggettiva dai media che sono finanziati dai grandi gruppi di business è impossibile. È quindi importante che quanti vogliono continuare a essere informati assumano la propria responsabilità”, ha aggiunto Çakır.
Turchia e libertà dei media
Sulla Turchia il Resource Centre curato da OBCT mette a disposizione diverse risorse . Sulla concentrazione dei media segnaliamo in particolare: questa infografica di Media Ownership Monitor e questo report della South East European Media Observatory
Questa pubblicazione è stata prodotta nell'ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto
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