Dopo la pubblicazione di una prima lista di giornalisti che sono stati in Donbass, due nuovi elenchi sono comparsi online. Nel silenzio delle autorità di Kiev, su di loro pende l'accusa di collaborare con i separatisti
Il sito ucraino Mirotvorets ha pubblicato lo scorso 10 maggio un elenco di tutti i giornalisti che hanno lavorato nei territori separatisti dell’est durante gli ultimi due anni di guerra. Un gruppo di hacker legato all’organizzazione fondata da Georgiy Tuka, ex governatore della regione di Luhansk e attuale viceministro per i “Territori temporaneamente occupati”, ha trafugato i nomi dalla banca dati delle autorità separatiste presso cui i giornalisti si sono accreditati in questi due anni. Nei giorni scorsi, nuove liste si sono aggiunte.
Sono così oltre 7mila i nomi, tra cui quello di chi scrive, anche di fotografi, cameraman, fixer e operatori in genere a essere stati inseriti in un file Excel nominato “Canaglie”. Fatto ancora più grave, insieme ai nomi sono stati resi pubblici altri dati privati come i numeri di telefono e gli indirizzi email. Il gruppo dietro l’operazione, che gestisce un database dei miliziani separatisti e dei collaborazionisti da segnalare alla giustizia ucraina, ha detto che “la pubblicazione della lista è necessaria perché questi giornalisti hanno collaborato con i membri di una organizzazione terroristica”.
Roman Zaistev, direttore di Mirotvorets, ha aggiunto che “collaborare significa avere una relazione ed essere legati da un reciproco impegno. Questi soggetti sono in qualche modo in relazione” con il nemico.
Espulsioni
Dallo scoppio della guerra in Ucraina, più di 7mila giornalisti hanno raccontato il conflitto dal campo. Per avere accesso alla zona Ato, com’è chiamata l'area delle operazioni militari, era necessario accreditarsi presso il ministero della Difesa di Kiev. Quelli che hanno deciso di farlo anche dal lato separatista, dovevano fare la stessa cosa a Donetsk, registrandosi presso un ufficio del cosiddetto ministero dell'Informazione delle autoproclamate autorità locali. In entrambi i casi non si trattava di una scelta, ma di una condizione necessaria per lavorare sul campo.
Dopo essere passata inosservata per alcuni giorni, la lista ha avuto enorme eco anche sui media internazionali quando Anton Gerashchenko, membro della Rada, il parlamento ucraino, per il Fronte popolare dell’ex primo ministro Arseniy Yatsenyuk e consigliere del ministro dell’Interno, l’ha pubblicata sul suo profilo Facebook. “È necessario istituire un controllo sull’accredito dei giornalisti stranieri in Ucraina”, ha scritto Gerashchenko, “e prevedere l’espulsione di quei giornalisti che violano la legge ucraina”. Resta da capire come sia possibile violare la legge ucraina in territori fuori dal controllo di Kiev e soggetti all’autorità di fatto degli autoproclamati governi separatisti.
In un post successivo, Gerashchenko ha aggiunto che è di sicuro contro la legge entrare nei territori separatisti da confini non controllati dalla polizia di frontiera ucraina. Vitaliy Portnikov, autorevole commentatore ucraino, ha scritto che “i giornalisti stranieri devono entrare in Donbass e in Crimea solo attraverso i checkpoint ucraini. Pena l’espulsione dall’Ucraina fino a 10 anni”. Facile a dirsi, un po' meno a farsi quando per entrare in Crimea serve, volenti o nolenti, un regolare visto rilasciato da un’ambasciata russa.
Presunzione di colpevolezza
La diffusione della lista ha creato immediatamente sconcerto e preoccupazione nel mondo dei media. Additare come collaboratori dei separatisti i giornalisti che hanno garantito l’informazione da zone di guerra e fuori dal controllo governativo significa innanzitutto mettere a repentaglio la loro sicurezza. Ma si tratta anche di deformare il loro lavoro connotandolo con un carattere fazioso, senza possibilità di eccezioni. È in fondo quello che ha detto lo stesso ministro dell’Interno, Avakov. “Trovo impossibile avere alcun contatto con le autorità autoproclamate che stanno occupando i nostri territori, impossibile e immorale”, ha scritto su Facebook. “È una vostra scelta quella di collaborare con i separatisti, non nascondetelo”.
Intanto è stata aperta una petizione presso il presidente Petro Poroshenko per bandire dall’Ucraina i giornalisti nella lista.
L’organizzazione Mirotvorets è già stata in passato oggetto di controversie. Nell’aprile del 2015 il giornalista ucraino dalle forti posizioni filorusse Oles Buzina e l’ex membro della Rada Oleg Kalashikov sono stati trovati uccisi meno di due giorni dopo che i loro nomi e indirizzi erano finiti nel database di Mirotvorets.
Condanna internazionale
Il Segretario generale del Consiglio d’Europa, Thorbjørn Jagland, ha scritto a Poroshenko per esprimere la propria preoccupazione sulla pubblicazione della lista che “mette a rischio la sicurezza personale dei giornalisti che ne fanno parte, alcuni dei quali hanno già ricevuto minacce”. La diffusione in massa dei dati personali, si legge ancora nella lettera, pone serie questioni di legittimità rispetto a tutta la disciplina del Consiglio d’Europa in merito alla tutela dei diritti umani e dei dati personali. “È particolarmente preoccupante”, ha aggiunto Jagland, “che l’azione abbia ricevuto il favore di alcuni politici, inclusi membri del parlamento”.
Anche la rappresentante dell’Osce sulla libertà dei media, Dunja Mijatović, ha espresso preoccupazione per la sicurezza dei giornalisti che operano in Ucraina dopo la fuga di dati personali. “Si tratta di un evento molto preoccupante che potrebbe peggiorare ancora di più la situazione sulla sicurezza dei giornalisti”, ha detto Mijatović. “I giornalisti riportano informazioni di pubblico interesse e non dovrebbero essere attaccati per il solo fatto di fare il proprio lavoro”.
E infine anche il Comitato per la protezione dei giornalisti (Cpj), un’organizzazione no profit basata a New York, ha preso forte posizione sull’accaduto. In un comunicato diffuso all’indomani della pubblicazione si legge che “il Cpj condanna la pubblicazione dei dati personali di migliaia di giornalisti e operatori dei media che hanno lavorato nell’est dell’Ucraina e denuncia l’approvazione di questo atto da parte di membri del parlamento ucraino”.
Anche in Ucraina si sono levate alcune voci contrarie, soprattutto tra le organizzazioni di categoria. Ad oggi, però, manca una presa di posizione del governo, in particolare in risposta alle numerose sollecitazioni internazionali. L’unico timido gesto di disapprovazione ufficiale della lista è l’apertura di un’inchiesta da parte della procura di Kiev per violazione dell’articolo 171 del codice penale per intralcio all’attività giornalistica.
Intanto, il file con i nomi dopo essere stato rimosso è nuovamente online. Ora, la pubblicazione delle due nuove liste, in spregio alle proteste internazionali, rincara la dose e aggiunge la beffa al danno.
Questa pubblicazione è stata prodotta nell'ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto
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