C'era una volta... il Movimento dei non allineati

13 ottobre 2021

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Per la terza volta nella sua storia Belgrado, dall'11 al 12 ottobre, ha ospitato il summit del Movimento dei paesi non allineati (NAM).

Tito ad Aleppo nel 1959, con la moglie Jovanka e altri leader del Movimento dei non allineati - Wikimedia

Tito ad Aleppo nel 1959, con la moglie Jovanka e altri leader del Movimento dei non allineati - Wikimedia

Il primo, esattamente sessant’anni fa, fu un grande successo di Tito che pose la Jugoslavia alla testa di un insieme di paesi che comprendeva più di un terzo dell’umanità ed un quarto di tutti i seggi nell’Assemblea generale dell’ONU. Paragonato ai due blocchi il Movimento non aveva però peso politico o militare, e nemmeno – in quel settembre 1961, in una Belgrado pavesata a festa – propose una qualche iniziativa concreta per la soluzione dei problemi del mondo di allora (problemi che certo non mancavano, in agosto si era avviata la costruzione del muro di Berlino). Tuttavia la leadership del Movimento offrì a Tito ed alla sua Jugoslavia prestigio ed una immagine di originalità nella ricerca di una “terza via” che, sul piano interno, corrispose all’idea del socialismo autogestito.

La seconda volta per Belgrado fu nel settembre dell’89. La data dice che il mondo, quel mondo, era in procinto di cambiare profondamente. Ideologicamente e geopoliticamente. Ma soprattutto quando nel 1989 il Movimento ritornò con il suo meeting periodico a Belgrado la Jugoslavia era già in stato preagonico, prossima ormai al collasso ed alla disintegrazione. In realtà la guida jugoslava dei paesi non allineati era già stata persa all’Avana nel settembre del 1979: vi volle partecipare Tito (pur sofferente, morirà dopo lunga agonia nel maggio dell’anno dopo) per impedire la svolta filosovietica di Castro, ma non riuscì ad impedire l’isolamento della Jugoslavia e la fine della sua grandeur diplomatica. Un isolamento che era anche un preoccupante riflesso della crisi interna che gli anni Ottanta manifesteranno in tutta la sua evidenza.

La terza volta cade in questi giorni. Il Movimento esiste ancora, ufficialmente possiede una forza di tutto rispetto – 120 paesi, pari a due terzi di tutti gli stati del mondo – ma le carte della geopolitica globale sono ampiamente (e confusamente) rimescolate e non si vede bene quale ruolo possano in concreto offrire al NAM. A Belgrado non c’è più traccia di Jugoslavia o di titoismo e lo stesso attuale segretario del NAM – l’azerbaigiano Ilham Aliyev, presente in videoconferenza – è presidente di un paese nato dal dissolvimento dell’URSS.

Tuttavia per alcuni versi i problemi irrisolti dell’ex Jugoslavia continuano a presentarsi. Infatti Milorad Dodik, membro serbo della presidenza tripartita della Bosnia Erzegovina e presente al meeting belgradese, ha accusato gli Stati Uniti, il Giappone, il Canada ed una parte dei paesi europei di interferenze negli affari interni del suo paese, interferenze tali da portare il suo paese addirittura sull’orlo della disintegrazione. In ogni caso i due giorni dell’assise internazionale non scaldano granché Belgrado – tra l’altro la Serbia non è membro del Movimento, ma ha solo lo status di osservatore – che pensa piuttosto di dover realisticamente guardare a Bruxelles. In questo contesto il NAM sembra ormai sopravvivere per pura inerzia storica: i suoi sessant’anni pesano davvero tutti.

Vittorio Filippi


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