I pugni e l'inno
29 maggio 2012
Per il calciatore Adem Ljajić una primavera senza pace. Dopo i pugni del suo allenatore Delio Rossi l'esclusione dalla nazionale della Serbia. Ma è tutta colpa sua?
Torna alle cronache il giocatore di calcio Adem Ljajić. Dopo essersi preso i pugni del suo (ormai ex) allenatore Delio Rossi ora ha scatenato l'ira del nuovo allenatore della nazionale serba Siniša Mihajlović. Cosa ha combinato? Si è spinto fino al punto di non cantare l'inno della Serbia prima di una recente amichevole. E per questo è stato escluso dalla nazionale.
"Cantare l'inno nazionale della Serbia prima di un incontro è uno dei punti di un codice interno che Ljajić, con la sua firma, ha accettato", si legge in un comunicato diramato dalla Federcalcio serba (Fss). Domenica Mihajlović ha avuto un incontro con Ljajić, il quale gli avrebbe spiegato di non aver cantato l'inno "per ragioni personali", senza fornire altre precisazioni.
Ljajić è originario del Sangiaccato, al confine con il Kosovo, una regione come è noto ai lettori di OBC dove vi è un'ampia comunità bosgnacca, di religione musulmana.
E' giusto che per rappresentare il proprio Paese si sia obbligati a cantare l'inno? Io credo di no. Chi ha recentemente partecipato ad un sondaggio on-line sulla vicenda fatto dal portale serbo www.tvojstav.com non la pensa così: la maggioranza ritiene che cantare l'inno sia precondizione necessaria per giocare per la rappresentativa nazionale.
Ma sarebbe troppo facile gridare ad una Serbia irrispettosa dei diritti delle minoranze e prigioniera - perlomeno in questa vicenda - del proprio passato. Ricordo che ai tempi delle Olimpiadi invernali di Torino 2006 Gerhard Plankensteiner, altoatesino, bronzo nello slittino, finì nella bufera perché ammise di non conoscere l'Inno di Mameli. E fu obbligato, il giorno dopo averlo affermato, a cantarlo davanti alle telecamere della RAI. Ma occorre proprio conoscerlo per rappresentare degnamente l'Italia?
FONTI: Gazzetta.it; Tvoj Stav