Petrolio in Adriatico: stop alla firma dei contratti d'esplorazione
13 marzo 2015
Il governo croato è costretto a bloccare le firme dei contratti di esplorazione per le trivellazioni in Adriatico. Slovenia, Italia e Montenegro, in accordo con le linee guida dell’UE, hanno chiesto di essere parte delle consultazioni transfrontaliere. Esultano gli ambientalisti e spingono per un blocco totale.
“Il rinvio della firma dei contratti è merito di tutti noi, della mobilitazione collettiva e dell’attivismo per un Adriatico senza inquinamento petrolifero. Il prossimo passo della campagna SOS per l’Adriatico è impedire del tutto la firma dei contratti!”. Sono entusiasti i rappresentanti di questa campagna per salvare l’Adriatico dalle trivellazioni petrolifere, dopo che si è saputo che i contratti con i concessionari dei progetti di esplorazione e sfruttamento di petrolio e gas in Adriatico non saranno firmati ad inizio aprile come previsto inizialmente.
Secondo quanto scrive il portale croato H-Alter , riferendosi al settimanale Lider, “al rinvio si è giunti dopo che Italia, Slovenia e Montenegro hanno inviato richieste ufficiali di essere inclusi nelle consultazioni transfrontaliere sullo Studio strategico di impatto ambientale del Piano generale e programma di ricerca e sfruttamento di idrocarburi in Adriatico. A questo hanno diritto come previsto dalle linee guida dell’UE e dal Protocollo sulla stima strategica dell’impatto ambientale con la Convenzione sulla stima dell’impatto ambientale transfrontaliero (ESPOO)”.
“Non ci fermeremo nemmeno se dai noi in Croazia non ci saranno le trivellazioni petrolifere, cercheremo invece coi colleghi italiani di fare in fretta per far chiudere anche le piattaforme sul versante italiano”, ha precisato Toni Vidan responsabile del programma energetico dell'ong Zelena Akcija
Secondo un rapporto dell'agosto 2014 redatto da Legambiente , in Italia “tra le aree maggiormente interessate dalle estrazioni petrolifere ci sono il mar Adriatico che ha sotto scacco delle compagnie petrolifere 11.944 kmq, di cui 2 istanze di concessione, 17 di ricerca e 7 permessi già rilasciati per l’esplorazione dei fondali marini. C’è poi il canale di Sicilia dove le 5 piattaforme attive estraggono (dato a fine 2013) ben 301.471 tonnellate di greggio (42% della produzione nazionale a mare) e vi sono inoltre 3 richieste di concessione e altre 10 istanze di ricerca. Infine lo Ionio dove oggi non si estrae petrolio ma sono attive richieste per la ricerca di greggio nel Golfo di Taranto. Un’area marina vietata alle attività di ricerca di petrolio fino al luglio 2011, quando un emendamento al testo di recepimento della direttiva europea sui reati ambientali ha di fatto riaperto anche questo tratto di mare alle società estrattive, che ha visto nell’ultimo anno raddoppiare le richieste, che sono passate da 8 a 16, per un’area complessiva di 10.311 kmq. A queste si devono aggiungere poi i 76419 kmq richiesti dalle società per avviare attività di prospezione, ovvero la prima fase di indagine per individuare le aree su cui poi eseguire ricerche più approfondite. Delle 7 richieste 3 riguardano l’Adriatico (una quello centro-settentrionale e due il tratto al largo delle coste pugliesi), una il mar Ionio, due il canale di Sicilia e l’ultima il mar di Sardegna”.