Si tiene a Roma il prossimo 30 maggio l'incontro “Balcani 20 anni dopo: come si racconta una guerra?”, in occasione della ristampa del libro 'Il resto è silenzio' di Chiara Ingrao. Intervengono, oltre all'autrice, il fotoreporter Mario Boccia e la giornalista Bia Sarasini
«Cosa pensate? Ha detto il bosniaco che forse invece era un croato, o un serbo. Cercate parole, per tenerci a bada, non è vero? Parole lontane: guerre etniche, nazionalismi. Non mi riguarda, dite. Ma come lo hanno preso, il potere, i nostri leader nazionalisti? Lo sapete? “Affidatevi a noi, e saremo ricchi e forti: come l’Occidente”. È questo che dicevano, nei loro comizi. Sono così diversi, i sogni che vendono a voi? La violenza segreta di cui sono ammalate le vostre metropoli, è di segno così diverso, da quella che squarcia le nostre città?» (Il resto è silenzio, di Chiara Ingrao)
Si tiene a Roma, il prossimo 30 maggio alle ore 18.00 presso Melbook Roma (Via Nazionale 254 – 255), l'incontro “Balcani 20 anni dopo: come si racconta una guerra?”, in occasione della ristampa del libro 'Il resto è silenzio' di Chiara Ingrao e dell'uscita dello Speciale “Balcanica” allegato al numero di maggio della rivista Leggendaria.
Intervengono, oltre all'autrice, il fotoreporter Mario Boccia e la giornalista Bia Sarasini. Chiara Ingrao, fondatrice dell’Associazione per la pace, ha contribuito alle prime iniziative comuni fra pacifisti israeliani e palestinesi, al movimento contro la guerra in Iraq, alle iniziative di pace e di solidarietà nei Balcani. Il libro, come raccontò Chiara Ingrao a OBC nel 2008 a Sarajevo alla presentazione della versione del libro in lingua bosniaca, è nato dalla necessità ricorrere al mito per descrivere "il senso di totale inadeguatezza provato di fronte a quello che accadeva qui. Era rimasta bruciante una sensazione di inespresso, che mi ha spinto a scrivere questa storia".
Ma perché te la sei presa in casa? Nei giorni della guerra in Libano, Sara, interprete solitaria e introversa, sente per caso queste parole su un autobus, e viene aggredita dai ricordi: di quando, nei mesi difficili dopo l’abbandono del marito, viveva con lei Musnida, una collega fuggita da Sarajevo. Ma perché te la sei presa in casa?, le ripeteva continuamente sua sorella, allora.
Anche Musnida, aveva una sorella. Come quella di Sara, era una sorella affascinante, molto più bella e più forte di lei. Un’eroina, uccisa mentre tentava di recuperare il corpo di uno dei fratelli, morti combattendo su fronti opposti. L’Antigone di Sarajevo, avevano scritto di lei i giornali, gonfi di retorica. Musnida, invece, era un soggetto imbarazzante: una sorella opaca, come la Ismene di Sofocle. Eppure Ismene ha una sua verità. Una voce antica, che si intrufola a tratti fra i goffi tentativi di Sara di decifrare i misteri di Musnida, della sua famiglia, della sua terra; mentre la convivenza si prolunga, fra vicinanza e insofferenza, fra mute nausee e rumorosi congressi, fra l’imbarazzante invadenza della sorella di Sara e l’irritante ticchettio di un computer, dietro una porta chiusa.
Nel faticoso dipanarsi di vita quotidiana e grovigli esistenziali irrisolti, tra le tre coppie di sorelle (quella di quaggiù, quella di laggiù, quella del Mito) rimbalzano come in un gioco di specchi gli interrogativi dell’oggi: le guerre infinite, le barriere fra le persone e fra le identità, la paura dell’Altro che fa da scudo alla paura di ascoltare noi stessi. Da maggio 2012 il libro è disponibile anche in versione tascabile per La Tartaruga edizioni.
Lo sguardo del romanzo sulla tragedia bosniaca è molto diverso da quello di altri prodotti letterari e cinematografici. Non rifugge dalla dimensione tragica, di cui accentua l’universalità con il riferimento alla tragedia greca; ma nello sguardo sulla tragedia rifiuta l’insistenza un po’ voyeristica sull’orrore, per concentrarsi invece sull’esperienza umana, nella guerra e nella fuga dalla guerra. Per farlo, sceglie un’insieme di personaggi femminili: tre coppie di sorelle, a Roma, a Sarajevo e nella Tebe del mito di Antigone, ciascuna con un proprio diverso modo di misurarsi con i dilemmi e le contraddizioni del conflitto, delle appartenenze, dell’accoglienza. È proprio il tema dell’accoglienza (la scelta di Sara di ospitare Musnida e le reazioni sue e del suo ambiente alla presenza della «profuga») a rendere particolarmente attuale Il resto è silenzio, in un’Italia che continua a vivere ogni afflusso di profughi come invasione di barbari, che ha respinto in mare i fuggiaschi dalla Libia e lascia ogni giorno insepolti nel Mediterraneo migliaia di «clandestini», in una rinnovata versione dell’editto di Creonte cui Antigone si ribellò.
In quest’ottica, non dimenticare Sarajevo significa prima di tutto riflettere noi stessi, su cosa siamo e cosa vogliamo essere, sulla necessità di fermare il virus dell’odio etnico e del rifiuto dell’Altro prima che sia troppo tardi. Mentre altre storie, e la maggioranza dei resoconti giornalistici, hanno raccontato il conflitto degli anni Novanta come «barbarie balcanica» arcaica e incomprensibile, Il resto è silenzio la rimette al centro come vicenda che tocca direttamente l’identità europea, di ieri e di oggi, e soprattutto del futuro.
Chiara Ingrao, di professione interprete, ha lavorato anche come sindacalista, programmista radio, parlamentare, consulente del ministero per le Pari opportunità. Per Dalai editore ha pubblicato nel 2005 Soltanto una vita (firmato con la madre, Laura Lombardo Radice, di cui il libro racconta la vita e raccoglie gli scritti) e il romanzo Dita di dama (2009), sulla storia di una ragazza che entra in fabbrica nell’autunno caldo del 1969. In precedenza ha scritto: Né indifesa né in divisa (1987, con Lidia Menapace), e Salaam Shalom – Diario da Gerusalemme, Baghdad e altri conflitti (1993); nel 2001 ha curato, con Cristiana Scoppa, il sito internet http://dirittiumani.donne.aidos.it/ e il volume Diritti e rovesci – I diritti umani dal punto di vista delle donne. Questi ultimi testi, oltre ad articoli, saggi, e brani tratti da altri libri, sono scaricabili gratuitamente alla sul suo sito.