La rete 'Concord', che conta 1.600 organizzazioni non governative europee, chiede che i nuovi parlamentari Ue rispondano concretamente agli impegni presi dall'Unione con i Paesi in via di sviluppo
Fonte: AGI Mondo - ONG
Un manifesto per ricordare ai canditati europei quali sono i tavoli su cui l'Unione europea deve presentarsi come giocatore a tutto campo. E' l'obiettivo di 'L' "Unione europea e la responsabilità nel mondo" che si è dato "Concord", la rete di oltre 1.600 organizzazioni non governative europee, sottoscritto e presentato lo scorso 22 maggio a Roma dall' "Associazione Ong italiane", il "Cini" (Coordinamento italiano network internazionali), il "Comitato italiano Sovranità alimentare". Nello specifico: sviluppo sostenibile, migliori e maggiori aiuti ai Paesi poveri, trasparenza e partecipazione democratica della società civile. "Coerenza delle politiche comunitarie e ruolo di leadership europea rispetto alla questione sociale mondiale, difesa dei diritti umani", ha detto Francesco Petrelli, responsabile per l'Associazione ong italiane sui temi europei, "devono diventare le linee guida per i prossimi parlamentari europei, le crisi che si intrecciano i questo momento nel mondo richiedono un forte investimento sui temi di cui ora si parla meno: lotta alla povertà, ai cambiamenti climatici, e riforme democratiche".
Le reti della società civile italiana chiedono ai futuri parlamentari di impegnarsi per garantire che l'Europa vada verso un modello di sviluppo che adotti fonti di energie pulite, che riconosca le proprie responsabilita' in tema di giustizia climatica e copra i costi dell'adattamento climatico dei Paesi del sud più colpiti dagli effetti della desertificazione, che assicuri il rispetto delle convenzioni sui diritti dei lavoratori, delle donne dei migranti.
Su quest'ultimo punto si è soffermato Sergio Marelli, presidente del coordinamento delle 160 ong italiane: "L'immigrazione in Italia e in Europa non può passare solo per la questione sicurezza. Il diritto d'asilo, sancito nel Trattato di Lisbona e ratificato dall'Italia, vuole un'Europa solidale dentro e fuori i suoi confini, in questo momento il 75 per cento dei 31.000 richiedenti sono arrivati dal Mediterraneo sui barconi e provengono da Paesi in conflitto o dove ci sono gravissime violazioni dei diritti umani come Nigeria, Eritrea, Afghanistan e Somalia".
Contestualmente al manifesto sono stati presentati anche i dati dell' "Aid Watch" di Concord, il rapporto annuale sullo stato dell'aiuto pubblico allo sviluppo dei Paesi membri dell'Unione. L'Italia resta ancora ultima in Europa, nonostante gli impegni assunti a livello Ue. Rispetto al 2007 gli aiuti italiani sono aumentati del 2,2, pari allo 0,20 per cento del Prodotto nazionale lordo (Pnl). Luca De Fraia, di Action Aid Italia, sottolinea come "togliendo dal calcolo la cancellazione del debito, gli aiuti 'veri' sono calati del 4,5 per cento.
Sottraendo tutti gli aiuti "fantasma", la cooperazione allo sviluppo internazionale nel 2008 ha raggiunto lo 0,15 per cento del Pil. Nel 2010, per rispettare la tabella di marcia verso il raggiungimento del obiettivi del Millennio, la media dell'aiuto pubblico dovrebbe attestarsi sullo 0,56 per cento del Pil. "Per raggiungere l'obiettivo, il governo dovrebbe triplicare i volumi di 'aiuti veri' nei prossimi due anni. Ma invece di accrescere gli sforzi il governo ha annunciato un taglio del 56 per cento del bilancio della cooperazione nel 2009", ha lamentato De Fraia, sottolineando che per mascherare i tagli, l'Italia vuole includere nelle statistiche sugli aiuti anche le rimesse, gli investimenti stranieri diretti e le donazioni private. Anche per gli altri paesi membri, il quadro delineato dall'Aid Watch è negativo, nonostante l'Unione Europea resti il primo donatore a livello mondiale con circa 70 miliardi di dollari su un totale di 120 miliardi di dollari di aiuti dei Paesi Ocse. Gli aiuti "veri" dei Ventisette sono rimasti praticamente invariati dal 2007 al 2008, vale a dire che sono passati dallo 0,33 allo 0,34 per cento del Pnl. I Paesi più virtuosi sono Lussemburgo (0,92 per cento), Svezia (0,90), Danimarca (0,78), Olanda (0,75) e Irlanda (0,58).