Vendette di sangue in Albania. Secondo la Comunità Papa Giovanni XXIII, i cui missionari e progetti operano da anni in Albania non sarebbe un fenomeno "vicino alla scomparsa", come recentemente dichiarato dal premier Sali Berisha
Fonte: Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII
Da alcuni giornali albanesi apprendiamo una dichiarazione del capo del governo albanese Sali Berisha al Consiglio d’Europa in merito alle vendette di sangue. Berisha sostiene che il fenomeno sia vicino alla sua scomparsa.
Per rafforzare questa affermazione ci si basa sul numero dei detenuti che nel 2005 erano solo 1800 mentre oggi il numero è salito a 5000 persone affermando così il rafforzamento dello Stato.
I missionari dell'Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, che operano in Albania da oltre 12 anni, assieme ai volontari di Operazione Colomba, il Corpo Nonviolento di Pace italiano dell'Associazione stessa, sono presenti a Scutari e nella regione di Tropoja al fianco delle numerose vittime del fenomeno delle “vendette di sangue”: un dramma, questo, legato alla tradizione di quel codice della cultura albanese, il Kanun, al quale fa riferimento anche Berisha. Sfortunatamente ci troviamo a dissentire con la posizione del Primo Ministro albanese.
Solo le famiglie censite da noi sono un centinaio e almeno 500 sono le persone coinvolte e, purtroppo, questo è solo un dato molto parziale, solo la punta di un iceberg. E’ di soli 15 giorni fa il grave fatto di sangue che va ad allungare la già tragica lista di morti uccisi per vendetta. Questa volta le persone uccise sono state due, Marie di soli 17 anni e Kole, suo zio, di 70 anni.
Del loro clan famigliare fanno parte anche due famiglie che seguiamo e con le quali stiamo facendo un percorso di superamento del dolore volto alla riconciliazione e alla rielaborazione del conflitto. Il dolore e la paura aumentano di giorno in giorno perché questo tipo di crimine è al di fuori di tutte le regole dello Stato e dello stesso Kanun.
Anche i bambini hanno paura di uscire fuori casa a giocare. Nel solo mese di giugno sono morte 4 persone per vendetta di sangue. Berisha riporta l'aumento del numero di detenuti per dimostrare l'impegno dello stato albanese nella lotta al fenomeno. A noi sembra che questa semplice equazione non fotografi esattamente il fenomeno, lo Stato può e deve fare molto di più che incarcerare gli assassini che, scontata la pena, continuano ad essere costretti a vivere rinchiusi in casa.
Lo Stato, invece che minimizzare il fenomeno, dovrebbe darsi più strumenti (legislativi ed esecutivi), per affrontarlo e dovrebbe sostenere e dialogare di più con la società civile che sta cercando di lavorare anche sulle radici culturali delle vendette di sangue. Solo unendo le forze e ammettendo il problema si potrà trovare una soluzione.
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