15/04/2021 -
Ho incontrato la prima volta Jovan a Malga Cimana, provincia di Trento, per la presentazione di “Sopravvivere a Sarajevo”, libro che aveva curato la redazione di Bébert Edizioni di cui facevo parte.
Io e Barbara arriviamo un’ora prima dell’incontro, vedo Nicole Corritore, parliamo un po’ del più e del meno, mi presenta alcune persone e aspettiamo. Aspettiamo che arrivi il Generale.
Stranamente è in ritardo, ma la strada per arrivare in malga è davvero difficile da trovare. Nel frattempo conosco Francesco Mongera ed Eliana Gruber, è stata Marzia Bona che mi ha messo in contatto con loro, hanno organizzato l’incontro. Da quella chiacchierata nascerà poi un’altra collaborazione, nelle scuole questa volta.
Ad un certo punto arriva Jovan Divjak, lo vedo da lontano avanzare con passo deciso, è con Roberta Biagiarelli e Kanita Fočak. Bene, mi dico, sono davanti a quello che rimane del socialismo jugoslavo, il generale che ha organizzato la difesa di Sarajevo e che ora è presidente di un’associazione che si occupa di aiutare le persone in difficoltà. Del resto siamo qui per questo, per raccogliere fondi.
Appena arriva tutti lo abbracciano, lo baciano, lui fa la stessa cosa. Un tripudio di affetto, una festa. Poi ad un certo punto Nicole me lo presenta, lui inizia a parlare in francese e io in inglese, proviamo a capirci a gesti. Poi interviene lei, fa da traduttrice e Jovan mi racconta di quando ha battuto Kasparov a scacchi puntandogli una pistola da sotto il tavolo. Ridiamo tutti e tre, è una storiella buffa che stempera la tensione.
La presentazione vola via in un secondo, l’emozione è a mille, parliamo un bel po’. Nicole fa da moderatrice, Kanita traduce a Jovan, lui dice cose bellissime, potenti. È solido, piantato, verticale, inamovibile. Io mi sento molto fortunato ad essere lì e ad ascoltarlo.
Dopo la presentazione vado fuori a fumare, c’è il sole e mi sento da dio. Abbraccio Barbara, siamo entrambi increduli, abbiamo appena vissuto una delle esperienze più importanti della nostra vita. Dopo una serie di interviste e autografi esce, mi dice “bravo bravo”. Mi dico, lo dirà a tutti perché è una persona buona e gentile, ma i suoi complimenti me li prendo lo stesso.
Ci incamminiamo verso un belvedere distante un centinaio di metri, la strada è leggermente in salita, lui va su come un treno, io accompagno Kanita sotto braccio perché fa un po’ fatica a camminare. Rivolgendosi a me dice “il mio cavaliere”, Jovan risponde da lontano e ridono entrambi, non so di cosa, non capisco la loro lingua, ma rido anche io.
Mentre camminiamo Kanita mi racconta, in italiano, moltissimi aneddoti dell’assedio, della sua vita, dei suoi dolori. Mi sento una spugna che assorbe ogni cosa. Arrivati in cima, Jovan guarda il panorama e sorride, qualcuno gli scatta una foto, credo Roberta. La trovate qua sotto. È bellissima.
Un anno dopo, per il venticinquesimo anniversario della sua associazione, Jovan mi chiama al telefono ma sono a lavorare in osteria, è lunedì e il pranzo è una bolgia, non riesco a rispondere. Finisco il turno e mi trovo un messaggio in segretaria in cui, in francese, mi invita a Sarajevo. È un messaggio che non trovo più, purtroppo, ma faceva più o meno così:
“Po po po je suis Jovan Divjak, je vous invite à Sarajevo pour l'anniversaire de l'association Obrazovanje Gradi BiH ecc ecc »
Malga Cimana, 2019. Jovan Divjak con Barbara Ghermandi
e Matteo Pioppi (foto © Roberta Biagiarelli)