Visti d'ingresso, dazi del 25% su alcuni prodotti in entrata, diatribe irrisolte di confine. Sono molti i contenziosi in atto tra Skopje e Pristina. Risolverli? Difficile sino a quando non si sbloccherà il dialogo tra Kosovo e Serbia
Il 2005, secondo molti analisti, sarà l'anno nel quale si inizierà a sciogliere alcuni dei più rilevanti nodi irrisolti dei Balcani: a metà anno ci si aspetta partano i negoziati sullo status finale del Kosovo mentre entro l'anno si deciderà anche quando tenere (e se tenere) un referendum sulla possibile indipendenza del Montenegro. Quanto questi processi dureranno è ancora da vedere.
L'attività diplomatica nella regione ha subito in ogni caso grosse accelerazioni. Think tanks ed esperti stanno pubblicando pagine e pagine di rapporti, commissioni si riuniscono. Tra questi ad esempio la Commissione internazionale sui Balcani, presieduta da Giuliano Amato, che un mese fa ha lanciato un rapporto sul futuro dei Balcani. Anche il Gruppo di contatto per la ex Jusgoslavia composto da USA, Russia, Francia, Gran Bretagna, Germania ed Italia ha ravvivato la propria attività. Il Dipartimento di Stato USA ha iniziato a delineare strategie ed infine la scorsa settimana la questione Kosovo è ritornata davanti al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Si è scatenata una vera e propria moda nel commentare, suggerire, premonire catastrofi ed individuare strategie. Nei primi mesi del 2005 ad esempio dalle autorevoli colonne dell'Economist si suggerì che la Serbia potesse concedere la sovranità sul Kosovo in cambio della liberalizzazione dei visti. Sullo stesso tono qualche numero dopo il settimanale aveva affermato che l'unico motivo per il quale l'UE desidera l'ingresso della Croazia è la sua meravigliosa costa. Una buona indicazione da dare ai lettori: non fidarsi esclusivamente delle credenziali degli organi di informazione...
Il Kosovo rimane per molti versi cruciale nel lungo termine per i Balcani. La Macedonia, come Paese confinante, è naturalmente influenzata da tutto ciò che vi accade. Dall'inizio dell'anno le relazioni tra Pristina e Skopje sono progressivamente peggiorate, anche se su questioni che sembrano tra loro non correlate e soprattutto non collegate alla questione dello status. Questo nonostante da entrambe le parti si continui ad affermare che le relazioni reciproche siano buone. A causa dello status ancora indefinito del Kosovo, delle incertezze legali, della sensibilità iperaccentuata di tutti i soggetti coinvolti nel dialogo, anche la questione più semplice nei rapporti tra confinanti si blocca in uno sconfortante processo negoziale, in una paralisi condita da dichiarazioni manieristiche.
Due le questioni principali emerse recentemente riguardanti i rapporti tra Macedonia e Kosovo. La prima riguarda la dichiarazione dell'UNMIK, amministrazione a guida ONU di stanza in Kosovo, che sarebbe stato introdotto un dazio del 25% su una serie di prodotti importati dalla Macedonia. Lo bilancia dei pagamenti tra i due Paesi vede il Kosovo in posizione fortemente passiva. In pratica importa molto - la Macedonia è il primo partner commerciale - e non esporta praticamente nulla.
L'applicazione di un dazio di questo tipo rischia di avere un impatto devastante sulla già fragile economia macedone le cui aziende sono spesso rimaste competitive solo sul mercato kosovaro. La Macedonia ha sottoscritto un accordo di libero scambio con la Serbia e Montenegro ma le autorità kosovare non lo riconoscono. Il governo macedone ha istituito, per risolvere la questione, una squadra negoziale, di cui fanno parte anche numerosi ministri, ed i negoziati dovrebbero avviarsi in giugno. Intanto la Macedonia ha aperto una propria rappresentanza commerciale a Pristina.
La seconda questione che occupa le prima righe dell'agenda delle relazioni tra Skopje e Pristina è la definizione della linea di confine. Nel febbraio e nel marzo scorso il Primo ministro macedone Buckovski si è fatto carico di un'intensa attività diplomatica con le autorità di Belgrado e Pristina in modo da chiarire una volta per tutte la demarcazione del confine tra Macedonia e Kosovo prima dell'avvio dei negoziati sullo status finale di quest'ultimo. Questo perché le autorità macedoni vorrebbero evitare che una volta avviati i negoziati, nel caso in cui non si fosse raggiunta una demarcazione di confine accettata bilateralmente, questo vacuum possa essere utilizzato da gruppi estremisti a scapito della Macedonia stessa.
Il confine è stato definito nel 2001 e l'accordo è stato depositato presso il Segretariato delle Nazioni Unite ed è quindi riconosciuto internazionalmente. Ma l'accordo è stato sottoscritto tra la Macedonia e quella che allora si chiamava ancora Federazione Yugoslava (ora Serbia e Montenegro). Le autorità kosovare hanno sempre affermato che l'accordo non li riguardava in nessun modo e questo - hanno ricordato - non perché si volessero porre rivendicazioni territoriali ma perché l'accordo è stato sottoscritto esclusivamente dai serbi e non dai kosovari. Da Belgrado si ribadiva invece che il confine era "cosa loro" perché formalmente il Kosovo era ancora parte della Serbia e Montenegro. Il responsabile dell'UNMIK Soren Jessen-Petersen si era dato l'impegno politico di contribuire alla soluzione del problema e sembrava che uno scenario nel quale Belgrado, Pristina, Skopje e l'UNMIK dialogassero per risolvere la questione fosse possibile. Ma poi è andato tutto a monte. Ci si è bloccati da qualche parte tra l'opposizione del Presidente del Kosovo Ibrahim Rugova e le limitatezze del mandato internazionale dell'UNMIK nel partecipare a negoziati che si occupassero di definire questioni di confine.
Nonostante all'inizio se ne fosse accentuata l'importanza politica progressivamente la soluzione delle dispute di confine tra Macedonia e Kosovo vennero definite un "aspetto tecnico" al quale era stata data troppa importanza. "Avevamo assicurato che la questione non sarebbe rimasta irrisolta per quando si sarebbero avviati i negoziati sullo status" ha affermato Reni Dourlot, uno dei portavoce dell'UNMIK "d'altro canto è però difficile riuscire a risolverla sino a quando lo status del Kosovo non è definito perché da una parte vi è un partner negoziale chiaro, Skopje, dall'altra no. Tutto ciò non rientra nel mandato dell'UNMIK e per questo si dovrà aspettare la soluzione della questione dello status".
L'ultima questione a creare disappunto tra le fila delle autorità macedoni è stato l'annuncio della missione ONU, fatto a fine aprile, dell'introduzione di ulteriori misure per il controllo dei passaggi di confine tra Kosovo e Macedonia. Si è subito creduto che si volessero introdurre visti d'ingresso. Il Presidente della Macedonia Branko Crvenkovski, allora in visita in Bulgaria, telefonò immediatamente al Primo ministro Buckovski e con toni alquanto critici lo invitò a fare in modo che il Paese non accettasse ultimatum da parte della Provincia amministrata dalle Nazioni Unite.
Si sviluppò un intenso dialogo istituzionale nel quale il presidente perorava la causa dell'eventuale reciprocità dei visti mentre il Primo ministro invitava alla calma ed alla pazienza. Intanto i funzionari UNMIK continuavano a ripetere che "ulteriori misure" non significava l'introduzione di visti d'ingresso ma controlli più serrati (timbri sui passaporti, colloqui e quindi discrezionalità dei funzionari di confine nell'impedire il transito). Tra l'alto secondo alcuni esperti legali intervenuti nel dibattito l'eventuale adozione di visti d'ingresso a carico di cittadini del Kosovo avrebbe implicato un riconoscimento de facto della sua soggettività internazionale.
Sulla questione sono intervenuti anche i rappresentanti della numerosissima comunità albanese della Macedonia sostenendo che un'eventuale introduzione di visti li avrebbe svantaggiati di molto dato che è proprio la comunità albanese macedone a promuovere il 95% degli scambi transfrontalieri.
Davanti al polverone sollevato l'UNMIK ha fatto qualche passo indietro. Le "ulteriori misure" dovevano essere adottate a partire da maggio ma sono state posticipate sino a luglio ed inoltre è stato ribadito non vi sarà nessun formulario da compilare o tasse da pagare. Con tutta probabilità l'UNMIK è onesta quando afferma che le ragioni di queste misure suppletive risiedono nel garantire più sicurezza nella Provincia in vista dell'avvio dei negoziati sullo status finale, per impedire cioè l'ingresso di estremisti. Ma è altrettanto chiaro come anche questioni tecniche e per alcuni versi marginali possano assumere, in un contesto così incandescente, forti connotati politici.
Gli ultimi sviluppi con la questione dei visti UNMIK, che hanno portato anche a grossi dissidi tra Presidenza macedone e governo, emersi nettamente in pubblico, hanno spinto le autorità macedoni a rivedere le proprie relazioni con il Kosovo concludendo "che non ve ne sono di significative". Un'affermazione rischiosa in un periodo nel quale si vanno a ridisegnare tutti gli equilibri della regione per i prossimi anni.
Gli esperti spesso fanno l'esempio della Slovenia che ha aperto, prima dei macedoni, un ufficio commerciale a Pristina ed è stata in grado di costruire buone relazioni sia con a Serbia e Montenegro che con le autorità kosovare.
Mentre i vari processi prendono velocità le pressioni su Pristina e Skopje non possono che aumentare. Si deve tenerne conto e la miglior risposta che possano dare le autorità macedoni è un gran dose di pazienza e chiarezza di vedute.
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