In questo dossier ci occuperemo della storia culturale e sociale dell'Europa balcanica attraverso lo studio di una delle sue più interessanti industrie: quella del cinema. Con interviste a registi, sceneggiatori, attori, tecnici e produttori. Uno sguardo sulla "grande storia" attraverso quella degli individui che l'hanno vissuta
La storiografia europea si concentra sull'esperienza della sua parte occidentale mentre trascura, quanto non misconosce, le trasformazioni che hanno interessato la sua periferia (Passerini 2003).
D'altro canto, gli studi storici prodotti nella regione sono in modo preponderante dedicati alla costruzione dello stato-nazione e da poco muovono i primi passi nella direzione della storia sociale e culturale (Laudiero 2004).
Approfondire oggi "un'altra storia europea" - altra perché europeo orientale e socio-culturale - è importante in relazione al percorso di integrazione europea dei Balcani. Non è possibile, infatti, prescindere dalla piena comprensione dell'esperienza dei nostri interlocutori nella costruzione di un comune spazio politico.
A ciò si aggiunga che proprio il cinema continua a costituire uno dei pochi strumenti con cui la regione ottiene riconoscimenti all'estero, ed in particolare in Europa occidentale. La presenza di registi balcanici sulla scena internazionale costituisce, infatti, una delle eccezioni alla marginalizzazione culturale e politica della regione di questi anni.
Lo studio dell'industria, che più di tutte ha plasmato l'immaginario delle società della regione, costituisce un interessante punto di osservazione della trasformazione dei Balcani nel corso XX secolo ed in particolare negli ultimi 30 anni.
L'industria cinematografica riceve un forte impulso da parte di regimi autoritari che intendono educare le masse ai valori a cui si ispirano (la rivoluzione, il comunismo, la nazione, il progresso etc); vive il suo apogeo negli anni '70; e subisce una crisi profonda negli anni '90 una volta affidato alle sole forze del mercato. Tuttavia il cinema balcanico riesce a riorganizzarsi a cavallo XXI secolo internazionalizzandosi in modo radicale ed attingendo alle nuove risorse offerte dalle trasformazioni tecnologiche degli ultimi anni (Brunetta 2000).
Lo studio che si propone di realizzare nei seguenti paesi balcanici - Albania, Bulgaria, ex-Jugoslavia; - affronterà la trasformazione dell'industria del cinema attraverso le voci dei suoi protagonisti. Grazie al lavoro di un'equipe di giovani ricercatori esperti d'area, Osservatorio Balcani intende studiare la storia di una professione e del suo settore produttivo in chiave comparata e analizzare quali aspetti siano più significativi per comprendere il percorso di questa industria culturale e l'esperienza dei suoi protagonisti.
Le storie politiche dei paesi balcanici hanno un ruolo importante nella nascita delle industrie cinematografiche. L'intervento pubblico di regimi autoritari e modernizzatori consente, infatti, di investire notevoli risorse nel settore strategico per la propaganda.
Analogamente, la dimensione internazionale ha influenzato profondamente la crescita del cinema nei Balcani: i legami internazionali ed in particolare l'influenza della scuola sovietica sono stati, come è noto, alquanto significativi nella crescita della cinematografia balcanica. Gli anni '70 caratterizzati dalla distensione tra super-potenze vedono incrementarsi, invece, le relazioni est-ovest in campo culturale e forniscono nuovi interessanti opportunità di riconoscimento internazionale al cinema della regione.
L'apertura di questi anni tuttavia si accompagna anche alla competizione economica che porta al collasso i regimi comunisti (Gokay 2005). Le condizioni per lo sviluppo del cinema mutano radicalmente negli anni '90. Inizialmente, gli operatori del settore si trovano con un mestiere senza l'industria di riferimento, implosa con i sistemi politici che l'avevano promossa e con l'espandersi del mercato televisivo.
Le trasformazioni tecnologiche che accompagnano il successo delle economie occidentali, d'altro canto, offrono al cinema balcanico nuove opportunità di inserirsi nel mercato globale. Il digitale fornisce nuove possibilità a chi lavora nel settore mentre fenomeni come la riconversione della cinecittà bulgara in studi privati di post-produzione per ditte occidentali mostrano le strade della nuova divisione internazionale del lavoro.
L'analisi della storia di chi lavorava e ancora lavora nel cinema nei Balcani fornisce, dunque, una prospettiva interessante per comprendere la trasformazione della regione. L'analisi di questa professione, infatti, consente di esplorare tanto le conseguenze dei mutamenti storico-politici che di quelli economico-tecnologici.
Si analizzerà attraverso interviste in profondità con i protagonisti di questa industria, la storia professionale e individuale di persone che abbiano vissuto le due stagioni cinematografiche: quella del cinema come macchina della propaganda di regime e poi quella del cinema globalizzato per il consumo di elites dell'Europa occidentale (Iordanova 2002).
Il lavoro di ricerca toccherà tanto la trasformazione dell'industria cinematografica quando le biografie di persone che vi lavoravano discutendo di grande storia attraverso quella degli individui che l'anno vissuta. I cittadini dell'Europa balcanica, inclusi i protagonisti dell'industria cinematografica in esame, hanno vissuto grandi discontinuità storiche, notoriamente produttrici di memorie individuali. L'analisi delle interviste consentirà quindi di far emergere sia informazioni specifiche sull'industria in esame, da triangolare attraverso l'analisi di altre fonti primarie e secondarie, sia narrazioni da esaminare in quanto tali (Jedlowski 2000).
Le interviste faranno emergere le storie personali dei professionisti del cinema. Si indagherà sulla formazione che ricevevano, su cosa li motivasse a lavorare nel settore, su come si svolgesse il loro lavoro, come funzionasse la censura etc. Se i regimi modernizzatori si fanno carico di promuovere il cinema nei Balcani per educare le masse, lavorare nel cinema significa anche essere impegnati in un settore "di punta", frutto del progresso tanto caro ai regimi stessi.
Si ragionerà su cosa riflettono del passato le narrazioni dei protagonisti identificati oggi che la nostalgia del comunismo - ma anche degli anni '70 in senso lato (tra l'altro età dell'oro del cinema turco) - domina la sfera pubblica transnazionale (Boym 2003)
Se è vero che il cinema di propaganda schiacciava la dimensione privata e limitava lo svilupparsi della cultura popolare, proprio negli anni '70 la relativa prosperità e la liberalizzazione politica vede l'esplosione del cinema della vita quotidiana. Questi film tornano alla ribalta nei primi anni '90 per il fatto di recuperare la dimensione privata dopo l'esperienza di regimi "pubblici" (cfr. per es. Heinen 1997). Attraverso le interviste si farà luce quindi anche sulle variazioni tematiche e la loro relazione con la storia politica così come sul ricordo e la nostalgia.
Negli ultimi anni, i finanziamenti UE quali quelli di Europa Cinema hanno avuto un ruolo significativo nel consentire le co-produzioni, gli scambi internazionali, la promozione di festival etc. Alle potenzialità del nuovo orientamento ad ovest, corrispondono anche forti rischi. Il cinema della ex-Jugoslavia, che contrariamente ad altri ambiti della produzione culturale non ha fiancheggiato l'esplosione nazionalista e sostenuto la guerra, ad esempio, si è caratterizzato per la sua dipendenza dallo sguardo "occidentale" sui Balcani, mostrando, secondo alcuni studiosi forti connotati etno-orientalisti (Iordanova 2001).
Se un tempo lo sforzo modernizzatore dei regimi costringeva a relazionarsi con la "massa", oggi i registi balcanici globalizzati riflettono l'abbandono crescente del proprio retroterra culturale, e rinnovano la spaccatura città-campagna tradizionalemente forte nella regione (cfr. per es. Allcock 2000) e specifica dell'attuale fase di globalizzazione (Sassen 1997).
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