Nagorno-Karabakh: il conflitto vissuto da dietro un obiettivo
itaIl lavoro di un reporter in zona di guerra: "Per me la guerra significa perdere i propri cari, i parenti. Non importa se sei vincitore o vinto. Le conseguenze della guerra sono sempre più terribili della guerra in sé. Forse capirò questa esperienza tra un po’ di tempo". Un fotoracconto di Aziz Karimov tratto dal portale Chai Khana
"Quando mi sono svegliato, l’ultima domenica di settembre, e ho afferrato il telefono per posticipare la sveglia, un messaggio sullo schermo ha attirato la mia attenzione. Sono saltato subito in piedi: vi erano scontri armati al confine! Ero a Lankaran, lontano dal fronte, al confine sud del paese. Stavo facendo delle riprese video. Ho interrotto il mio lavoro e sono partito per Baku. Già si vedevano veicoli militari. Alcune persone che stavano lungo la strada applaudivano i soldati mentre questi passavano.
Il giorno seguente, io ed i miei amici fotografi siamo riusciti a farci strada fino al fronte di Fuzuli. Erano le 10 di sera quando siamo arrivati in città e l’autista si è rifiutato di portarci oltre. Mentre ci inoltravamo a Fuzuli a piedi, la polizia ci ha fermato: c’erano intense sparatorie nell’area. Alla fine, siamo comunque riusciti ad arrivare a Tartar.
Una volta lì mi hanno spaventato i suoni dei colpi e degli spari. Ad ogni modo, più i giorni passavano e più tutto questo diventava parte della mia quotidianità. Le mie memorie degli ultimi mesi non sono altro che di artiglierie e colpi di armi da fuoco.
Ad un certo punto, stavamo per lasciare un rifugio dove avevamo filmato alcuni residenti del villaggio di Shikharkh nel distretto di Tartar. Pochi metri prima che uscissimo dal rifugio, un colpo di artiglieria è caduto molto vicino. Il colpo d’aria ci ha violentemente respinti indietro, all’interno del rifugio. Più tardi i residenti locali ci hanno indicato una via più sicura per muoversi verso un'area che sarebbe dovuta essere più protetta. Ci eravamo appena mossi quando un proiettile ha colpito a distanza di 50-100 metri da noi. Abbiamo corso veloce e per due giorni siamo rimasti terrorizzati.
Un giorno, mentre stavamo filmando con alcuni vecchi amici, abbiamo sentito altri colpi. Anche questa volta il proiettile è caduto a poche centinaia di metri da noi e ci ha fatto cadere a terra. Uno dei miei amici ha ripreso tutto e le immagini sono poi state trasmesse da un canale televisivo locale. Mia madre ha visto il video e mi ha chiamato. Era nervosa e continuava a fare domande, “Aziz sei stato coinvolto in uno scontro? Stai bene? Ti è successo qualcosa?”, per calmarla ho dovuto mentire “No, mamma. Non preoccuparti, non ero assolutamente vicino ad alcuno scontro”.
Mia madre ha sospirato e si è calmata. “Grazie a Dio, Ho visto qualcuno correre, e ti assomigliava molto”
Le giornate di lavoro sono frenetiche, ma le notti sono peggio. La guerra ha cambiato il modo in cui sogno. Sogni vividi rendono difficile dormire sonni tranquilli. Quando ho finito di girare ad Agdam e sono tornato a Tartar mi sentivo più stanco del solito e sono andato a letto presto. Ho avuto un incubo e i miei amici mi hanno svegliato a forza per calmarmi. Non ricordo i dettagli dell’incubo ma posso ancora sentirne la sensazione. I miei amici mi hanno detto che stavo chiamando qualcuno per cercare aiuto.
Per me la guerra significa perdere i propri cari, i parenti. Non importa se sei vincitore o vinto. Le conseguenze della guerra sono sempre più terribili della guerra in sé. Forse capirò questa esperienza tra un po’ di tempo. Per ora termino con questo paragrafo al libro di Susan Sontag “Davanti al dolore degli altri”: “Guarda, dicono le fotografie, com’è. Questo è quello che la guerra fa. E questo, anche questo è quello che fa. La guerra rovina, strappa. La guerra lacera, eviscera. La guerra brucia. La guerra smembra. La guerra rovina. Non trarre dolore da queste fotografie, non indietreggiare, non sforzarti di cancellare le cause di questo caos, questo carnaio - queste, per [Virginia] Woolf, sarebbero le reazioni di un mostro morale. E, dice lei, noi non siamo mostri, noi membri della classe istruita. Il nostro è un fallimento di immaginazione, di empatia: abbiamo fallito nel tenere a mente questa realtà”.
Link: Chai Khana