E' tornata pacifica la lunga protesta antigovernativa in Bulgaria, arrivata al 41mo giorno consecutivo, segnata nella serata di martedì da scontri tra manifestanti e polizia. Il governo di centro-sinistra non cede e accusa la piazza di radicalizzare lo scontro. Il servizio di Francesco Martino per il GR di Radio Capodistria [25 luglio 2013]
Si sono riappropriati pacificamente del centro di Sofia le migliaia di cittadini bulgari che da un mese e mezzo si danno appuntamento davanti al parlamento per chiedere le dimissioni del governo di centro-sinistra guidato dal premier Plamen Oresharski.
Molti timori avevano accompagnato la vigilia della manifestazione di ieri sera, dopo che quella di martedì era sfociata in scontri violenti con la polizia, in seguito al vero e proprio assedio al parlamento messo in atto dai dimostranti, che hanno tenuto in ostaggio alcune decine di parlamentari per quasi otto ore all'interno dell'edificio sede dell'assemblea nazionale.
Chi si aspettava che l'esecutivo facesse marcia indietro dopo gli scontri è però rimasto deluso: per voce di Sergey Stanishev, leader del partito socialista, principale forza della coalizione di maggioranza, il governo ha fatto sapere di non aver alcuna intenzione di dimettersi, e ha accusato allo stesso tempo i manifestanti di aver provocato le forze dell'ordine per favorire la caduta dell'attuale esecutivo.
All'interno della maggioranza non mancano però voci critiche, più aperte alla prospettiva di nuove elezioni anticipate, che però auspicano avvenire dopo la riforma del sistema elettorale. Anche il presidente Rosen Plevneliev ha parlato esplicitamente della necessità di trovare “una via d'uscita politica all'attuale grave situazione”.
Innescate dalla contestata nomina del deputato e magnate mediatico Delyan Peevski a capo dei servizi di sicurezza, le manifestazioni in Bulgaria hanno presto assunto carattere più profondo. Alle radici del malcontento la corruzione endemica, ma soprattutto la contestazione al sistema di potere oligarchico emerso nei decenni della transizione democratica. Potere di cui l'attuale governo, secondo i manifestanti, sarebbe solo un docile strumento.
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