Sono passati cinque anni dalla fondazione del Partito progressista, formazione in grado di rivoluzionare la scena politica in Serbia. Con una virata spettacolare quanto discussa, i leader del partito hanno posto Belgrado sulla strada europea anche a costo di sacrificare il Kosovo. Il servizio di Francesco Martino per il GR di Radio Capodistria [22 ottobre 2013]
Era il 21 ottobre 2008 quando Tomislav Nikolić e Aleksandar Vučić annunciavano la loro uscita dall'ultranazionalista Partito radicale serbo di Vojislav Šešelj, oggi a processo al Tribunale internazionale dell'Aja per crimini di guerra, e la nascita di una nuova formazione pro-europeista, il Partito progressista serbo.
Nell'arco di cinque anni, quella decisione ha provocato un vero terremoto sulla scena politica della Serbia. Nikolić è oggi il presidente della Repubblica e i progressisti, dopo aver sconfitto il Partito democratico nelle parlamentari del maggio 2012, dominano l'esecutivo di coalizione coi socialisti del premier Ivica Dačić. Vučić, ministro della Difesa e segretario dei progressisti, è oggi l'uomo politico più potente a Belgrado e gode di livelli di approvazione politica da record.
A portare in alto i progressisti, innanzitutto la campagna di lotta alla corruzione, culminata nell'arresto di Miroslav Mišković, propretario della discussa Delta Holding e simbolo del tormentato legame tra business, politica e privatizzazioni selvagge negli anni del regime di Milošević.
Ma soprattutto l'essere riusciti in un operazione politica a prima vista impossibile per gli ex cantori della “Grande Serbia”: perseguire con zelo il percorso di avvicinamento all'Unione europea, anche a costo di spingere i serbi del Kosovo nell'abbraccio delle istituzioni di Pristina, con l'accordo sulla normalizzazione dei rapporti firmato lo scorso aprile. Operazione che, con tutta probabilità, verrà premiata con l'apertura dei negoziati di adesione il prossimo gennaio.
Con il centro-sinistra in crisi e i sondaggi che mostrano un sostegno senza precedenti, oltre il 40%, i progressisti sono ora tentati da nuove elezioni anticipate in primavera, da vincere a man bassa. Unico rischio apparente, una situazione economica sempre più fragile, che sta chiamando il governo di Belgrado a tagli tanto pesanti quanto dolorosi.