Negli ultimi anni la Turchia sta diventando sempre di più il principale importatore di rifiuti dall'Europa: un business che solleva preoccupazioni sia sul fronte ambientale che per la possibile infiltrazione di interessi criminali. Francesco Martino (OBCT) per il GR di Radio Capodistria [24 aprile 2021]
La Turchia pattumiera d'Europa? Il preoccupante trend sembra essere confermato dagli ultimi dati Eurostat: nel 2020, le esportazioni di rifiuti dall'UE alla Turchia hanno toccato la cifra record di 13,7 milioni di tonnellate . Al secondo posto della classifica - per avere un termine di paragone - è l'India, che ne importa però “appena” 2,9 milioni di tonnellate.
Dal 2004, la quantità di rifiuti spedita dai paesi Ue verso la Turchia è più che triplicata: una tendenza divenuta ancora più evidente dal 2018, quando la Cina – fino ad allora leader nel settore - ha deciso di bloccare buona parte delle importazioni. Oggi in Turchia finisce quasi il 70% dei rifiuti da metalli ferrosi esportati dall'Ue, mentre l'importazione di materiali plastici è aumentata di più di 170 volte a partire dal 2004.
A gioire per ora è soltanto l'industria del riciclo turca , che fatica a reperire sul mercato domestico le materie prime, anche perché la Turchia continua ad avere bassissime capacità di separare e riciclare i rifiuti prodotti in loco.
Fortissime invece le preoccupazioni delle organizzazioni ambientaliste, che denunciano l'abbandono di buona parte dei rifiuti importati in discariche insicure o illegali, e i forti interessi della criminalità organizzata nel lucroso business dei rifiuti.
Spinte dai crescenti timori, a gennaio le autorità di Ankara hanno imposto le prime misure restrittive , vietando l'importazione di plastiche non separate e richiedendo documentazione completa per tutti gli altri materiali di scarto in arrivo: provvedimenti che, almeno per ora, sembrano però aver solo rallentato l'onda di rifiuti in arrivo dall'Europa.
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