(© easy camera/Shutterstock)

Il fondatore di Facebook Mark Zuckerberg ha chiesto maggiori regolamentazioni per internet. Ben oltre queste proposte, serve un archivio pubblico e indipendente di tutta la pubblicità online, non solo in tempo di elezioni

03/04/2019 -  Giorgio Comai

Comprensibilmente preoccupato dell'impossibilità di affrontare le critiche che la sua azienda riceve sempre più frequentemente, il fondatore di Facebook Mark Zuckerberg ha recentemente pubblicato una serie di articoli in cui propone una nuova visione per un futuro di Facebook incentrato sulla riservatezza , e chiede maggiore regolamentazione da parte dei governi . Per via della sua stessa dimensione, della costante ambiguità tra ciò che è pubblico e privato sulla piattaforma, e dell'incompetenza con cui ha gestito le crisi degli ultimi anni, Facebook continua ad attirare la maggior parte dell'attenzione negativa mirata ai “giganti della tecnologia”, ma molti degli stessi problemi riguardano anche Google, Youtube, Twitter e altri. Partendo dagli spunti di Mark Zuckerberg, ecco qui qualche proposta costruttiva mirata a rendere più adeguato a un contesto democratico quello spazio pubblico di proprietà privata che è l'internet di oggi dominato da alcune grandi piattaforme.

Pubblicità: se paghi, deve essere noto pubblicamente

Zuckerberg propone e promette di rendere trasparenti le “pubblicità politiche”, ed ha creato per alcuni paesi un archivio di contenuti promossi a pagamento che trattano di politica o “questioni di interesse nazionale”. Si tratta di criteri così vaghi da essere sostanzialmente insostenibili, a maggior ragione se applicati nei più diversi contesti politici in cui Facebook si trova ad operare. Lo scorso 28 marzo, Facebook ha annunciato la creazione di un “archivio di pubblicità ” che dovrebbe includere tutti i messaggi promossi a pagamento sulla piattaforma. Si tratta di passi avanti positivi, anche se rimane da vedere quanto effettivamente vicino alla promesse saranno in pratica (quando l'obbligo di dichiarare chi paga per messaggi sponsorizzati di carattere politico era stato introdotto negli Stati Uniti, giornalisti avevano dimostrato di essere in grado di fare pubblicità a nome di qualsiasi membro del senato americano senza che Facebook li bloccasse). La piattaforma offerta da Facebook - e attualmente disponibile online anche per l'Italia - sembra per ora offrire informazioni molto limitate.

Ma internet non è solo Facebook, e alcune delle altre grandi aziende che hanno sottoscritto un codice di buone pratiche a livello di Unione europea stanno applicando questo impegno in modo molto parziale. Twitter, ad esempio, ha aperto un archivio per le pubblicità politiche in vista delle elezioni europee , ma fino ad ora l'unico attore politico registrato è il Partito dei socialisti europei, con un totale speso in pubblicità inferiore ai 100 euro. Anche Google si è impegnato a rendere pubblici questi dati, ma ad oggi sulla pagina dedicata alla pubblicità politica si trovano solo informazioni relative alle elezioni americane.

A questo punto, non vi è davvero motivo per credere nella buona volontà delle aziende. Considerato che buona parte dei contenuti divisivi promossi in tempo di elezioni non sono direttamente ricollegabili a partiti, limitarsi a rendere pubbliche informazioni relative a partiti registrati o a contenuti esplicitamente politici è comunque problematico.

La risposta a questo bisogno di trasparenza insito in ogni democrazia è stata efficacemente riassunta in un editoriale, recentemente pubblicato dal New York Times, del professore dell'università di Oxford Philip N. Howard: “Un archivio pubblico completamente accessibile tramite ricerche sistematiche gestito da un ente indipendente sulle pubblicità, finanziato attraverso una frazione degli introiti pubblicitari.” Howard chiarisce che per essere efficace, questo archivio dovrebbe avere “tutte le pubblicità, in tempo reale, a livello globale.”

Per difendersi dalle critiche, grosse aziende stanno progressivamente andando in questa direzione, anche se producendo dati parziali, inventandosi criteri circostanziali per limitare ciò che comunicano per il timore che questa trasparenza spinga a maggior cautela chi fa pubblicità (riducendo quindi i loro introiti), e rendendo gli archivi difficili da consultare in modo sistematico. Finché tutto questo sarà basato sull’autoregolamentazione, non c'è motivo di credere che il contesto cambi.

Trasparenza senza filtri

Maggiore trasparenza sulla pubblicità e sui messaggi politici sembra un obiettivo condivisibile da ogni parte dello spettro politico. È giunto quindi il momento di iniziare un percorso che porti in tempi brevi a una regolamentazione che garantisca maggiore trasparenza nella comunicazione online, non solo in tempo di elezioni, con un processo politico e legislativo che tenga conto del parere di vari attori interessati, tra cui ad esempio il Garante per la privacy.

Se da questo punto di vista è necessario uno sforzo internazionale in cui ragionevolmente il prossimo Parlamento europeo e la prossima Commissione europea avranno un ruolo importante, in Italia è importante accelerare i tempi almeno per quanto riguarda la regolamentazione delle campagne elettorali. Qui infatti il problema è reso eccezionalmente urgente dal fatto che le campagne politiche online non devono sottostare alle stesse regole imposte ad esempio sui media. In un contesto in cui buona parte dei cittadini si informa attraverso internet, un tale vuoto di regolamentazione è semplicemente ingiustificabile.

Nel lungo periodo, non è comunque sufficiente la trasparenza sui totali delle somme spese per campagne promozionali online dai partiti politici. Considerate le peculiarità della pubblicità online, deve esserci piena trasparenza riguardo agli effettivi contenuti utilizzati, ai criteri scelti per definire i destinatari di un determinato messaggio, e le somme spese per ognuno di questi. Come è emerso anche nel contesto del voto britannico su Brexit, sono molti gli attori che possono essere coinvolti nel promuovere messaggi politici divisivi, ben oltre i partiti e comitati politici formalmente riconosciuti. Per fare in modo che i dati pubblicati siano effettivamente espressione di trasparenza, e non offuschino invece attività più significative condotte da attori non registrati come politici, è importante che vi sia trasparenza piena, non filtrata dalle piattaforme stesse secondo criteri discutibili.

 

 

Questa pubblicazione è stata prodotta nell'ambito del progetto ESVEI, co-finanziato da Open Society Institute in cooperazione con OSIFE/Open Society Foundations. La responsabilità dei contenuti di questa pubblicazione è esclusivamente di Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa. 


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