Damian Tambini, docente presso la London School of Economics, presenta le sfide poste dal digitale alla legittimità delle elezioni. Trasparenza, correttezza e monitoraggio delle elezioni nell'era del "capitalismo della sorveglianza". Un'intervista
La nostra vita quotidiana è sempre più permeata dall'uso di piattaforme digitali di rilevanza mondiale, le cosiddette piattaforme "Over The Top" (OTT). Queste sono le principali protagoniste di un volume pubblicato nel 2018 a cura di Martin Moore e Damian Tambini, "Digital Dominance: The Power of Google, Amazon, Facebook, and Apple ".
Con l'avvicinarsi delle prossime elezioni europee, vale la pena evidenziare il ruolo di queste piattaforme (cosidette 'gatekeeper'), che hanno sede negli Stati Uniti, ma i cui effetti si dispiegano livello mondiale. Damian Tambini, professore presso il Dipartimento di Media e Comunicazione della London School of Economics, è l’autore di un capitolo del libro intitolato “Social media power and election legitimacy ”. Una delle sue principali conclusioni è che il predominio di poche aziende digitali sulle altre esacerba il problema del continuo indebolimento della legittimità elettorale, che Tambini considera non solo un concetto giuridico, ma una "costruzione sociale". Ciò significa che una maggiore pluralità di piattaforme social potrebbe aiutare a risolvere alcuni dei problemi derivanti dallo spostamento online delle campagne politiche, in particolare su Facebook: trasparenza, disinformazione, isolamento degli utenti in “filter bubbles”, fino alla necessità di regolamentare (o auto-regolamentare) le campagne online. Abbiamo incontrato Damian Tambini un anno dopo la pubblicazione di "Digital Dominance".
Lei ha ricordato l'espressione "capitalismo della sorveglianza" di Shushana Zuboff (2015), un concetto che la studiosa ha approfondito nel suo ultimo libro "The Age of Surveillance Capitalism " (2019). Puo' spiegarci meglio questo concetto?
Parlando di "capitalismo della sorveglianza" Zuboff si riferisce al periodo in cui viviamo, dove nel sistema capitalista è entrato un nuovo settore basato sull'estrazione del nostro "surplus comportamentale". Le nostre vite online lasciano alcune tracce di dati che vengono raccolte e utilizzate per creare tecnologie pubblicitarie e di marketing sempre più potenti, che a loro volta sono utilizzate per causare "modifiche comportamentali", ad esempio decisioni di voto manipolate attraverso pubblicità mirate. Nel suo libro, Zuboff non affronta la questione delle elezioni in modo molto dettagliato, ma il suo modello si applica anche in questo campo: ad esempio, i ricercatori hanno stimato che alcune recenti campagne elettorali hanno raccolto oltre 1000 singoli “punti-dati” (cioè 1000 informazioni separate) su ciascun elettore. Si parla di età e reddito, ma anche di profilazione psicologica degli elettori, compreso il loro stato d'animo. La raccolta dei dati sarà sempre più precisa e più alto è il numero di punti-dati disponibili per elettore, più dovremmo preoccuparci della sua autonomia decisionale.
È stata osservata una forte relazione tra micro-targeting, "filter bubbles" - ovvero nicchie informative chiuse e non comunicanti - e disinformazione, dal momento che le persone sono più inclini a credere alle informazioni che riflettono il loro pensiero. Fino ad ora, c'è qualche esempio significativo di diffusione di "notizie false" nel contesto delle campagne europee (quella attuale o, per esempio, quella del 2014)?
La consapevolezza dei pericoli delle campagne mirate di disinformazione è aumentata dopo il 2016 (dopo le elezioni americane e il referendum sulla Brexit, N.d.R), e da allora le piattaforme stesse, come Facebook, prendono molto più sul serio le minacce alla legittimità delle elezioni. Da quando è iniziata la campagna per le prossime elezioni europee non ho ancora riscontrato casi di violazione della legge elettorale attraverso donazioni o spese all'estero, né accuse di deliberate campagne di disinformazione. Tuttavia, è probabile che a qualche livello si stiano verificando. Questa è un'area complessa perché, come ha detto lei, la disinformazione e la frammentazione del discorso politico possono essere il risultato dei pregiudizi inerenti al modello dei social media, che premia il coinvolgimento (degli utenti, N.d.R) e contenuti riecheggianti, piuttosto che contenuti veri o corretti. Oggigiorno, le piattaforme e gli altri principali attori stanno sviluppando un nuovo approccio al comportamento responsabile e i legislatori e regolatori stanno cercando di modificare la struttura degli incentivi per garantire che lo facciano in modo efficace e sostenibile. Ma ci vorrà del tempo prima che i sistemi dei media e la governance rispondano.
Un regolamento per la campagna elettorale digitale è difficile da progettare, sia per i rischi per la libertà di espressione, sia perché le materie che dovrebbero essere regolamentate sono molteplici e relative a diverse posizioni geografiche. Qual è il problema (ad esempio spesa, disinformazione) e chi è il soggetto (ad esempio partiti, piattaforme) su cui i regolatori dovrebbero concentrarsi in primo luogo?
La regolamentazione delle campagne elettorali varia in base al paese e ciascun regime si basa su un approccio diverso. Gli obiettivi della regolamentazione sono diversi, tra cui garantire la correttezza, limitare il ruolo del denaro (limiti di spesa) e mantenere la trasparenza (così sappiamo chi paga). Ora è chiaro che è necessaria un'ampia gamma di riforme: ad esempio, migliore controllo e registrazione dei costi “nascosti” per i database, che ora rappresentano un'alta percentuale della spesa complessiva. La trasparenza può invece essere migliorata mantenendo un archivio degli annunci pubblicitari.
Alcune delle nuove funzioni dovrebbero essere attribuite ai partiti, altre a intermediari e piattaforme. Il motivo per cui piattaforme come Facebook attirano molta attenzione è perché sono "negozi one-stop" per l'industria della pubblicità politica. Facebook ha fatto significativi passi avanti nell'auto-regolamentazione volontaria e le normative nazionali possono fornire supporto legale per queste iniziative volontarie. Tuttavia, problemi di autonomia a lungo termine come quelli sollevati da Zuboff richiedono regole e approcci completamente nuovi, poiché ci troviamo di fronte ad un paradigma di propaganda completamente nuovo.
Per quanto riguarda la diversa posizione geografica degli attori coinvolti nelle campagne politiche, vi è una discrepanza tra le sedi legali delle principali piattaforme digitali (principalmente basate negli Stati Uniti) e la posizione dei loro utenti e dei risultati pratici (ad esempio, nel singolo Stato membro dell'Ue). Qual è allora il ruolo dei regolamenti sovranazionali? Possono essere più efficaci di quelli nazionali?
Le elezioni tendono ad essere regolate dalle leggi elettorali nazionali, ma ci sono una serie di tentativi di sviluppare standard e principi a livello sovranazionale e sensibilizzare alle sfide comuni. I problemi di interferenza straniera nelle elezioni, ad esempio attraverso il finanziamento di campagne o deliberate campagne di disinformazione, sono difficili da gestire nell'ambito dell'attuale mosaico di norme nazionali: sarebbe quindi utile un maggiore dibattito internazionale sui principi comuni. In un mondo geopolitico frammentato, il lavoro delle organizzazioni internazionali per mantenere la fiducia nelle elezioni nazionali è probabilmente destinato a diventare più importante.
Nel suo capitolo citi Rasto Kuzel, media analyst elettorale dell'OSCE, che ha affermato che "i progetti di monitoraggio dei media possono fornire al pubblico degli standard di riferimento per giudicare la correttezza dell'intero processo elettorale. Questa funzione è vitale anche in quei paesi che hanno una lunga tradizione di libertà di parola e di libertà dei media". In passato ci sono stati processi di monitoraggio delle elezioni europee, come quelli svolti dall'OSCE. Le prossime elezioni saranno monitorate e se sì, sarà prestata particolare attenzione ai media?
Le prossime elezioni saranno soggette a monitoraggio da parte di organismi esterni. Il Consiglio d'Europa, la Commissione europea, le Nazioni Unite e l'OSCE sono esempi di organizzazioni internazionali che svolgono regolari missioni di monitoraggio elettorale per garantire che le elezioni nazionali siano libere e corrette. Il problema, tuttavia, è che tali organismi sono stati estremamente lenti nell'aggiornare i criteri per lo svolgimento del monitoraggio elettorale: per quanto riguarda i media e le questioni di comunicazione, ad esempio, si riferiscono a nozioni piuttosto antiquate di faziosità e libertà dei media che, pur essendo ancora molto rilevanti, sono solo una piccola parte di un panorama di social media molto più complesso. Gli osservatori elettorali non hanno gli strumenti necessari a far fronte a questo nuovo problema, e anche se, in teoria, dispongono di alcuni ampi criteri generali che potrebbero consentire loro di esaminare i problemi relativi ai social media, sembrano riluttanti a usarli. È dunque necessario aggiornare urgentemente non solo le leggi nazionali elettorali sulle donazioni e le spese, e le leggi che regolano i media nazionali, ma anche i criteri per le missioni internazionali di monitoraggio elettorale.
Questa pubblicazione è stata prodotta nell'ambito del progetto ESVEI, co-finanziato da Open Society Institute in cooperazione con OSIFE/Open Society Foundations. La responsabilità dei contenuti di questa pubblicazione è esclusivamente di Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa.
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