La speculazione immobiliare scaccia gli abitanti dal centro di Baku e rade al suolo gli edifici storici. La demolizione delle sedi delle ONG locali ha suscitato lo sconcerto internazionale, ma le autorità locali non sembrano aver cambiato idea
In un video postato di recente sul sito di Rfe/Rl, alcune donne protestano disperatamente contro la violazione dei loro diritti e, sullo sfondo, un uomo grida “şərəfsiz” (in azero, “senza dignità”): l’edificio che ospita gli uffici dell’Istituto per la pace e la democrazia e di altre due ONG sta per essere distrutto. La scena si volge al caos. Giovani muratori cominciano a demolire l’edificio di fronte a persone disperate che guardano impotenti, poi intervengono le gru.
La demolizione fa parte di un progetto di sviluppo urbano che ha al centro un nuovo parco dal nome “Boulevard d’Inverno”. Le persone indignate che compaiono nel video sono i residenti di un vecchio quartiere di Baku in via di demolizione. Non sono state le sole a protestare. Il Commissario ONU per i Diritti Umani ha espresso preoccupazione per l’evento, mentre la rappresentanza UE a Baku e Human Rights Watch hanno apertamente condannato la demolizione.
Il prezzo per “abbellire” la città
Si dice che a sovrintendere al progetto “Viale d’Inverno” sia la first lady Mehriban Aliyeva. In ogni caso, le autorità non sembrano interessate a rispondere ai residenti cacciati a forza dalle loro case. La demolizione è portata avanti dal consiglio comunale di Baku, che rimane in silenzio. L’area di costruzione coincide in parte con un quartiere storico della vecchia Baku: alcuni edifici risalgono al diciannovesimo secolo. Inoltre, la maggioranza degli edifici di rilevanza storica distrutti avrebbero dovuto essere protetti in base ad una risoluzione del Consiglio dei ministri.
Eppure, le autorità non sembrano scomporsi né di fronte ai residenti locali né alla storia. La demolizione dell’area, situata fra le strade Shamsi Badalbayli e Fuzuli, è iniziata nel 2010. Ai residenti venne offerto l’equivalente di 1.900 dollari a metro quadro (1500 manat). Tuttavia, poiché l’offerta non rispecchiava il valore delle proprietà, i residenti si rivolsero all’amministrazione presidenziale a febbraio 2010, ma senza risultati. La successiva manifestazione di protesta fu dispersa dalla polizia. In marzo, i residenti decisero di tenere una conferenza alla Casa dei diritti umani. Poi passarono allo sciopero della fame nel cortile di uno degli edifici storici in pericolo. Tutto invano. Secondo la stampa locale, alcuni sfratti sono stati effettuati senza altra autorizzazione ufficiale che un ordine del 2008 che, curiosamente, si rifà ad un piano del 1987 del Consiglio dei ministri dell’Azerbaijan sovietico.
L'anno scorso, Osservatorio aveva pubblicato un articolo in cui si descrivevano i tratti più preoccupanti del boom immobiliare: il livello di rischio sismico di Baku, la mancanza di piani urbanistici, la demolizione dei vecchi quartieri storici e residenziali, gli sfratti forzati e senza preavvisi adeguati, l'inadeguatezza delle compensazioni per gli espropri. Poco è cambiato da allora.
La bellezza al tramonto della nuova Baku
Poco rimane della città di “Alì e Nina” e dei baroni del petrolio. Oggi Baku è la capitale degli immobili di lusso, delle boutique e delle auto di grossa cilindrata. L'oro nero sembra garantirne il futuro, nessuno mette in discussione la sostenibilità di questo modello di sviluppo. Il boom immobiliare ha stravolto il paesaggio urbano e generato alcuni dei più strampalati progetti dell'ultimo decennio, fra cui il Baku White City project , ovvero la ricostruzione del centro storico con aggiunta di dieci nuovi distretti per un totale di 221 ettari. Fra i costruttori figurano i britannici ATKINS, F&A Architects e Foster & Partners. Secondo gli sviluppatori, nel progetto rientrano 440.000 metri quadri di uffici, 230.000 per la vendita al dettaglio, 3.600.000 residenziali e 530.000 commerciali.
Mentre le autorità locali si abbandonano a questi sogni di gloria, Human Rights Watch riporta di residenti scacciati nel cuore della notte e trattenuti mentre le loro case vengono distrutte insieme alla maggior parte dei loro effetti personali. Secondo la legge azera , lo Stato può espropriare solo al fine di costruire strade, ferrovie o edifici militari. Inoltre, secondo la delibera del Consiglio dei ministri, i proprietari devono ricevere un regolare contratto, un preavviso di 90 giorni e assistenza per il trasferimento. Secondo quanto stabilito da un decreto presidenziale del 2007, la compensazione deve ammontare al valore di mercato della proprietà, aumentato del 20%.
Ora di cambiare?
Per quanto grande sia stato il successo di vincere il concorso musicale Eurovision, rimane da vedere come la leadership azera intenda migliorare la propria immagine. Le lussuose boutique frequentate dai (pochi) nuovi ricchi del Paese non sono certo un segno di democrazia o equa redistribuzione dei profitti petroliferi. Tanto meno quest'offerta di beni di lusso risponde alle necessità della popolazione nel suo complesso, per non parlare di quella scacciata dalle proprie case.
La trasformazione della capitale in una metropoli alla moda è senz'altro importante per i costruttori affamati d'appalti. Tuttavia, forse è il momento di guardare ai costi sociali di questo modello di sviluppo e alla distruzione che ne deriva.
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