Scrittore, performer, attivista per i diritti umani. Irakli Kakabadze è tra chi, in Caucaso, non ha rinunciato a dire ciò che pensa e pensa che la pace è possibile. Un'intervista
Lei è un famoso poeta e scrittore, ma anche un pacifista impegnato: si influenzano a vicenda questi due aspetti, e come?
E' difficile chiarire come questi aspetti esercitino un influsso uno sull'altro. In effetti lavorare per la pace è un'attività simile a quella artistica, il che significa essere pronti ad occupare uno spazio marginale, prospettiva molto dura in alcuni casi, dato che in tutto il mondo la propaganda va sempre in direzione opposta. Credo sia necessario, in un caso e nell'altro, essere pronti a incassare colpi e aspettarsene ancora.
Lei compone in tre lingue differenti: georgiano, russo e inglese. E' mai stato criticato per non aver scritto esclusivamente in georgiano?
Sì, sono stato criticato per moltissime questioni, incluso lo scrivere in lingue differenti. Certamente, la propaganda nazionalista è sempre pronta a tacciare di tradimento chiunque si sia trasferito all'estero e abbia proseguito la carriera di scrittore componendo in diverse lingue.
Quali sono i suoi poeti e scrittori preferiti? Le sue fonti di ispirazione?
Come capita spesso, sono diversi gli scrittori a cui mi rifaccio. Ma in particolare sono tre gli autori che hanno influito nella mia esperienza. La scrittura di Vajha Pshavela ha valenza universale, il suo "L'ospite e l'anfitrione" è un classico che ha plasmato la mia scrittura sin dagli albori. Anche Lev' Tolstoj ha esercitato una notevole incidenza, con "Guerra e Pace, "Anna Karenina" e la filosofia della non violenza che trapela dalle sue opere. Infine, Albert Camus è uno dei miei scrittori preferiti del XX secolo, con "La peste", emblema di uno spirito combattivo.
Secondo lei qual è la ragione principale per i numerosi conflitti dell'area caucasica? Che cosa hanno in comune Abkhazia, Ossezia, Cecenia, Prigorodnyj Rajon, Nagorno Karabakh?
La disintegrazione dell'impero sovietico ha causato molti problemi che sono sfociati, nel Caucaso, in conflitti etnici. Credo che nell'epoca postsovietica noi soffriamo della mancanza di una lingua universale di comunicazione e interazione, questo è il fulcro della questione.
L'Unione europea è un buon esempio di riunificazione per il Caucaso, dal momento che i caucasici non possono vivere in un mondo diviso. Abbiamo necessità di una comune Unione caucasica. Forse potremo trovare una lingua comune diversa dal russo, che viene associato ai tank occupanti. La nozione weberiana di "Stato Nazione" non è applicabile al Caucaso.
Abbiamo bisogno di una soluzione innovativa, sul modello dell'Unione europea. Per questo tendo a credere che la ragione dei conflitti risieda nel fatto che il sistema degli Stati-Nazione debba evolvere in un sistema di cooperazione fra le differenti etnie del Caucaso che sia maggiormente egualitario. "Unione caucasica" mi sembra una possibile risposta, ma c'è molto lavoro da fare per raggiungere tale obiettivo, dal momento che dev'essere raggiunto sulla base di un accordo egualitario e non di una posizione imperialista.
Lei promuove il progetto "Zone di pace" in Caucaso: può raccontarci qualcosa in proposito?
La creazione di Zone di Pace in Caucaso è l'unica strada per appianare le questioni. L'obiettivo ultimo è la smilitarizzazione del Caucaso, con il supporto di Unione europea, USA, Russia e ONU. Chiaramente si fa riferimento ad un disarmo multilaterale per tutti. La Russia si impegnerebbe a ritirare il proprio esercito dalla Georgia e gradualmente tutti i paesi del Caucaso porterebbero a termine l'accordo sulla smilitarizzazione. Alcuni esempi esistono, come quello del Costa Rica. Per questo la cooperazione con l'Unione europea è fondamentale: imboccare la strada per la smilitarizzazione del Caucaso è il modo migliore per risolvere i problemi.
La vendetta in Caucaso è una tradizione profondamente radicata. Può essere forse considerato un modo per colmare un vuoto di giustizia. Si ha però l'impressione di ostacolare la riconciliazione fra le famiglie e i popoli...
Il capolavoro di Vajha Pshavela "L'ospite e l'anfitrione", scritto oltre cento anni fa, affronta esattamente tale questione. Come superare quest'atavica tradizione e le ostilità, per andare verso una genuina riconciliazione. Il mio lavoro "Candidate Jokola" tocca lo stesso argomento, da una prospettiva moderna e differente. La vendetta è una tradizione profondamente radicata che dobbiamo sforzarci di superare con la sensibilità degli animi.
Recentemente ha partecipato alla Conferenza sul Caucaso organizzata dall'Associazione "Rondine cittadella della Pace": un esempio di contributo della società civile occidentale. Cos'altro si può fare, per favorire i processi di pace e riconciliazione sul Caucaso?
Quello intrapreso da Rondine è un eccellente processo, che dev'essere assolutamente portato avanti. E' un presupposto molto promettente per la costituzione di future Zone di Pace e di un'Unione caucasica. Insieme alle attività della George Mason University, ha davvero una portata significativa. Ritengo che esplorare nuove opportunità per un'Unione caucasica intesa come Zona di Pace sia una sfida degna della nuova generazione che viene formata a Rondine. La politica internazionale ha bisogno di un Nuovo Paradigma e il Caucaso può servire da esempio per un paradigma di pace.
Lei è stato arrestato tre volte. Per quale motivo? In quali circostanze?
Il mio arresto è stato dovuto all'aver protestato con il governo georgiano contro le violazioni dei diritti umani e una politica militarista. Non è facile stabilire il motivo per cui sono stato arrestato, rimetto il giudizio al tempo. Spero che la situazione dei diritti umani sia migliore per altri e che potremo essere capaci di costruire un Caucaso di pace.
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