Lista di scomparsi di Srebrenica (Foto Gughi Fassino)

Lista di scomparsi di Srebrenica (Foto Gughi Fassino)

Le guerre nei Balcani sono state alimentate da un traffico d'armi di proporzioni enormi, che ha aggirato senza problemi l'embargo posto dalle Nazioni Unite. Il contrabbando ha avuto conseguenze di lunga durata, condizionando la vita delle nuove repubbliche ex jugoslave. L'inchiesta del giornalista sloveno Blaž Zgaga

30/12/2011 -  Blaž Zgaga

Mentre quella che un tempo si chiamava Jugoslavia veniva risucchiata in una spirale di morte, il mondo intero rimase in silenzio di fronte ad atrocità inconcepibili: omicidi di massa su base etnica, campi di concentramento e stupri. Il senso comune ha condannato le nazioni balcaniche per la sanguinosa disintegrazione, che provocò più di 130.000 vittime. La principale presa di posizione contro gli orrori perpetrati nella regione fu assunta dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che mise al bando il traffico di armi nell’area. A distanza di quasi vent’anni, però, emergono nuovi particolari destinati a mutare la prospettiva su queste vicende. Molti altri Paesi sembrano essere responsabili per avere alimentato le carneficine che hanno devastato i Balcani.

Tre anni di ricerca

Un’indagine durata tre anni, condotta da un’equipe di giornalisti sloveni e sostenuta da reporter di sei differenti Paesi, ha analizzato migliaia di documenti arrivando a concludere che molti Stati, tra i quali la Russia, che aveva votato a favore dell’embargo delle armi, hanno aggirato il divieto da loro stessi imposto. Molte persone, in questi Paesi, sono riuscite a guadagnare milioni di dollari vendendo armi e munizioni alle fazioni impegnate nel conflitto.

Bulgaria, Polonia, Ucraina, Romania e Russia esportavano armi destinate all'ex Jugoslavia. Il quartier generale di quest’operazione logistica di dimensioni enormi si trovava a Vienna, mentre le transazioni finanziare erano eseguite da una banca ungherese. I trafficanti di armi utilizzavano compagnie registrate nei paradisi offshore panamensi. Il Regno Unito spedì equipaggiamenti militari alle ex repubbliche jugoslave e concesse loro prestiti per l’acquisto di armi, e lo stesso fece la Germania.

Una ricchezza immensa

“Questo tipo di commercio illegale ha permesso ad alcuni individui di accumulare una ricchezza immensa”, afferma Zdenko Čepič, ricercatore dell’Istituto di Storia Contemporanea di Lubiana ed esperto dei conflitti balcanici.

I documenti che sono recentemente venuti alla luce dagli archivi dei servizi segreti, e dalle intercettazioni compiute dalla polizia criminale, forniscono dettagli precisi sullo scandaloso traffico di armi che è stato spesso al centro di voci e dicerie nei Balcani.

Se da un lato, infatti, c’è sempre stata una diffusa consapevolezza rispetto alle spedizioni illegali di armi durante il conflitto, i dettagli sono sempre rimasti un mistero. Mercanti di armi, rappresentanti di governi e altri ancora hanno sempre negato le loro colpe, e nessuno è stato ritenuto responsabile da un sistema giudiziario post-bellico che si è spesso piegato alle pressioni politiche.

Soltanto adesso sono emerse le responsabilità specifiche dei Paesi e delle persone coinvolte in questo commercio illecito.

L’inchiesta rivela che grandi quantità di armi russe venivano vendute tramite anonimi intermediari durante l’embargo delle armi voluto dalle Nazioni Unite. La persona che probabilmente svolgeva il ruolo principale era un cittadino greco, Konstantin Dafermos, che in quegli anni operava a Vienna.

Tra il 1991 e il 1992, quando i traffici fiorivano, circa 20 navi cariche di armi approdarono in gran segreto al porto sloveno di Koper, violando l’embargo ONU. Le navi furono scaricate e il carico rapidamente inviato ai campi di battaglia in Croazia e Bosnia Erzegovina.

Queste operazioni logistiche, secondo i documenti, furono condotte dai servizi segreti sia civili che militari di tutti i tre Paesi coinvolti. Anche le mafie italiana, albanese e russa parteciparono ad alcune operazioni.

Il porto di Koper

La baia di Koper (Foto Eutrophication&Hypoxia, Flickr)

La baia di Koper (Foto Eutrophication&Hypoxia, Flickr)

“Il porto di Koper costituiva un'ottima opportunità per aggirare l’embargo - sostiene Čepič - perché non era controllato dagli ispettori internazionali. La supervisione sulle spedizioni veniva eseguita dalla stessa Slovenia, che permetteva l’importazione di armi da altri Paesi europei.”

L’embargo dell’ONU era diretto a evitare che le armi arrivassero nei Balcani. Ma fu duramente criticato, poiché rafforzava la supremazia della Serbia, ostacolando la possibilità di Slovenia, Croazia e Bosnia Erzegovina di difendersi dalla minaccia che giungeva da Belgrado.

Senza alcun alleato a cui rivolgersi, questi Paesi hanno pertanto comprato le armi attraverso un’oscura rete di commercianti legati al crimine organizzato e da Stati che, come la Russia, avevano votato a favore dell’embargo.

Le armi acquistate, che avrebbero dovuto essere necessarie per difendere le repubbliche dell’ex-Jugoslavia, favorirono a loro volta aggressioni e atrocità. Le armi comprate dalla Croazia, per esempio, hanno permesso la difesa dall’offensiva dell’Esercito Popolare Jugoslavo e la conquista, nel 1995, dei territori che erano controllati dai ribelli serbi. Ma i leader militari croati sono anche stati condannati per gli omicidi commessi nei confronti dei serbi e per avere deportato migliaia di loro dalla Croazia, mentre sia i serbi che i croati sono stati coinvolti in atrocità commesse contro i musulmani bosniaci.

“Questo commercio illegale di armi - spiega Čepič - ha in parte influenzato gli esiti delle guerre nell’ex Jugoslavia”.

Il commercio di armi ha inoltre condizionato a lungo questi Paesi dopo la fine delle guerre. I legami criminali hanno spinto i rappresentanti dei servizi segreti dalla parte sbagliata della legge. Sono arrivati a concludere negoziazioni intascando valigie cariche di denaro, facendo lievitare i prezzi delle armi e ponendo le basi per un clima di corruzione tra i funzionari pubblici che persiste ancora oggi.

La Scorpion

Il traffico di armi nella guerra jugoslava ha inizio nel 1991, il 20 giugno per l'esattezza, quando il primo carico di armi strategicamente importante giunse in Slovenia dal porto bulgaro di Burgas, la settimana precedente l'inizio dei primi scontri armati in ex Jugoslavia. La nave danese Herman C. Boye arrivò con a bordo cinquemila fucili d'assalto, milioni di cartucce e, soprattutto, missili anti-aerei e anti-carro per un valore equivalente a 7,8 milioni dei marchi tedeschi di allora, pari a 4,3 milioni di dollari americani.

Ad incaricarsi della spedizione di queste armi fu una compagnia statale bulgara, la Kintex, con sede a Sofia, mentre l'intermediario era una società austriaca, la Stalleker GmbH, con sede a Vienna. Contemporaneamente, la compagnia inglese Racal inviò modernissime stazioni radio militari in Slovenia, capaci di criptare i messaggi, in un affare che fruttò 5 milioni di sterline.

L'operazione, andata a buon fine, attrasse l'attenzione del trafficante d'armi Konstantin Dafermos. L'uomo d'affari greco lavorava al tempo con la Scorpion International Services S.A., una società militare russa registrata a Panama e con uffici presso l'aeroporto di Vienna. La Scorpion presto divenne uno dei principali canali per il traffico di armi verso le frontiere jugoslave. I movimenti del conto bancario aperto presso la Banca Internazionale Centro-Europea di Budapest rivelano che Scorpion ha ricevuto più di 80 milioni di dollari da clienti sloveni, croati e bosniaci.

Bollettini provenienti dalla stessa banca testimoniano che almeno 9,4 milioni di dollari, ma forse addirittura 19, furono trasferiti dal conto di Dafermos a quello di una compagnia statale polacca di nome Cenrex. Il direttore di Cenrex, Jerzy Dembowski, era un tenente-colonnello nel servizio di intelligence militare polacca che si nascondeva sotto il nome in codice di Wirakocza. Dal porto polacco di Gdynia, navi cariche di armi e contenenti scorte di munizioni sovietiche attraversarono il mare Adriatico per poi arrivare in terra balcanica.

Altre registrazioni mostrano che tre navi partite dal porto romeno di Costanza trasportarono 200 container, contenenti 3.500 tonnellate di armi, nel dicembre del 1991 e nel gennaio dell'anno seguente. Il cargo, che giunse nel porto di Koper, fu poi inviato in Croazia.

La mafia di Odessa

Un canale ancora più importante per il contrabbando fu inaugurato nel 1992, con i carichi che partivano dal porto ucraino di Mykolaiv. Questa via di traffico era controllata dalla mafia di Odessa, che spedì otto navi contenenti più di 12.000 tonnellate di armi verso la Croazia.

Janez Janša al congresso del Partito Popolare Europeo, Roma 2006 (Foto EPP, Flickr)

Janez Janša al congresso del Partito Popolare Europeo, Roma 2006 (Foto EPP, Flickr)

Dai documenti in possesso della Slovenia si viene a scoprire che i due primi carichi transitarono presso il porto sloveno di Koper. Una nave, l'Island, compì il viaggio portando 96 container di armi tra l'ottobre e il novembre del 1992. Da Koper, le armi giunsero in Croazia via terra. I bollettini di pagamento e di credito confermano che 60 milioni di dollari andarono sul conto di Dafermos grazie a dei compratori croati che avevano acquistato le armi proprio attraverso questo canale. Da questo ammontare di denaro, 40 milioni furono a loro volta trasferiti ad altri venditori di armi. Una di queste compagnie, la Global Technologies International Inc., era intestata a Dmitri Streshinsky a Panama.

Questi traffici di armi proseguirono senza dare troppo nell'occhio. Ma nel 1994 l'ultima di otto navi, la Jadran Express, venne intercettata e bloccata dalla flotta Nato presente nell'Adriatico. Questa intercettazione portò ad un processo che si svolse a Torino. Tra gli imputati figuravano molti di questi trafficanti, tra cui Dafermos, Streshinsky, gli oligarchi russi Alexander Zhukov e Leonid Lebedev, il banchiere britannico Mark Garber e Yevgeny Marchuk, ex Primo ministro ucraino ed ex capo della polizia segreta di quel Paese. Furono coinvolti nel processo anche degli ex ufficiali del KGB. La procura di Torino descrisse Konstantin Dafermos come la mente dell'organizzazione. Documenti falsi indicavano che le armi erano dirette in Africa anziché verso i Balcani. Tutti gli accusati furono in seguito scagionati dalla Corte.

Secondo documenti più recenti, Dafermos ha venduto centinaia di missili anti-aereo e anti-carro alla Slovenia. In tre navi che giunsero dalla Polonia e dall'Ucraina, tra il 1991 e il 1992, furono rinvenuti 52 lanciatori anti-aereo SA-16 Igla con 400 missili, 50 lanciatori anti-carro AT-4 Fagot con 500 missili e 20 lanciatori anti-carro AT-7 Metis con 200 missili. L'affare aveva un valore complessivo di 33,3 milioni di dollari. Un agente sloveno affermò, in un'intervista rilasciata nel 2010 al quotidiano sloveno Dnevnik, che questo commercio di armi era una sorta di affare intra-statale, con una compagnia ad agire come intermediaria.

Missili russi, prestiti tedeschi

Alcuni di questi missili russi vennero pagati con un prestito tedesco, concordato attraverso una compagnia delegata, Unimercat, con sede a Monaco di Baviera. Gli allora ministri della Difesa e delle Finanze sloveni spiegarono in un'intervista concessa al giornale sloveno Delo che “un Paese occidentale”, che non identificarono, prestò più di 60 milioni di marchi tedeschi, vale a dire 37 milioni di dollari, di cui 46 milioni di marchi, cioè 28 milioni di dollari, erano destinati all'acquisto di armi nel periodo dell'embargo decretato dall'ONU.

Da parte sua, Dafermos arrivò addirittura ad offrire alla Slovenia, nel 1992, uno dei complessi mobili anti-aerei maggiormente all'avanguardia, l'SA-8 Gecko. Questo accordo poi non ebbe seguito, sebbene gli esperti russi e sloveni tennero un incontro svoltosi segretamente a Vienna per discuterne i termini.

Nella primavera del 1994 il presidente del partito liberal-democratico russo Vladimir Zhirinovsky, durante una visita in Slovenia, pretese il pagamento di 9 milioni di dollari per la spedizione di maschere anti-gas all'allora ministro della Difesa Janez Janša, che era a capo del traffico di armi nel suo Paese. L'invio delle maschere anti-gas fu organizzato dall'allora intermediario di Dafermos, Nicholas Oman.

I partner delle altre compagnie panamensi di Dafermos, tutte operanti sotto il nome di Scorpion, avevano legami con la Russia. Il partner di Dafermos in una compagnia denominata Scorpion Navigation era Vladimir I. Ryashentsev, un funzionario del KGB. Oggi, la Scorpion International Services è la rappresentante esclusiva di Rosoboronexport, la compagnia statale russa che esporta armi.

Vienna

Vienna, l'Albertina (Foto Groucho, Flickr)

Vienna, l'Albertina (Foto Groucho, Flickr)

Nel febbraio del 1995 le autorità slovene condannarono Dafermos, assieme al ministro della Difesa Janez Janša e al ministro degli Interni Igor Bavčar, per la spedizione illegale di 13.000 fucili d'assalto e munizioni durante la guerra in Croazia.

Durante l'interrogatorio sostenuto davanti alla polizia austriaca nel 1995, Dafermos negò ogni coinvolgimento nel traffico di armi e di equipaggiamento militare. Sostenne di aver importato solamente “giubbotti protettivi, uniformi e stivali militari” dalla Russia.

In Slovenia, il caso non venne mai portato in tribunale. Entrambi gli ex ministri sloveni sono però oggi imputati per crimini diversi. L'ex premier sloveno, Janša, è attualmente sotto processo per corruzione in un traffico di armi del valore di 278 milioni di euro (364 milioni di dollari), mentre Bavčar, l'ex ministro degli Interni, è accusato di riciclaggio di denaro.

Dafermos, dal canto suo, non se la passa male. È in Austria e dirige la Scorpion, la società che ha in appalto le forniture militari russe. La sede è in una delle zone più esclusive di Vienna, dove ci sono i templi dell'arte e della musica austriaca, tra l'Albertina e l'Opera viennese.

Blaž Zgaga è co-autore, insieme al giornalista sloveno Matej Šurc, della trilogia “Nel nome dello Stato”, che analizza il traffico d'armi nei Balcani. La loro inchiesta è stata co-finanziata dal Fondo Europeo per il Giornalismo Investigativo. L'organizzazione danese Scoop ha finanziato una parte dell'inchiesta, cui hanno collaborato Saša Leković (Croazia) e Esad Hečimović (Bosnia Erzegovina). Dopo la pubblicazione dell'inchiesta, Zgaga e Šurc hanno ricevuto minacce di morte


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