La diplomazia russa riporta i leader di Armenia e Azerbaijan a dialogare sul Nagorno Karabakh. I timidi progressi sono però vanificati da rinnovate tensioni. La questione dell'aeroporto di Stepanakert
Il 5 marzo scorso, su invito del leader russo Medvedev, il presidente armeno Sargsyan e quello azero Aliyev hanno ripreso i negoziati di pace sul Nagorno Karabakh. A tre mesi di distanza dal mancato incontro ai margini del summit OSCE di Astana del dicembre 2010, i tre presidenti si sono incontrati a Sochi per “cercare di risolvere tutti i punti in sospeso con mezzi pacifici”, come riporta il comunicato diramato al termine dei colloqui.
Incontri regolari e scambio di prigionieri
Nella cittadina russa, Sargsyan e Aliyev hanno “rilevato l’importanza di incontri regolari a livello presidenziale” e confermato “l’impegno a continuarli per integrare il lavoro dei tre co-presidenti del Gruppo OSCE di Minsk”, come riporta la dichiarazione finale. Durante il vertice, i due capi di Stato hanno incontrato anche i tre mediatori OSCE (il russo Igor Popov, lo statunitense Robert Bradtke e il francese Bernard Fassier) con cui si sono impegnati ad indagare i casi di violazione del cessate il fuoco. Le parti hanno inoltre concluso un accordo per “completare lo scambio dei prigionieri di guerra nel minor tempo possibile”. Lo scambio è poi avvenuto il 17 marzo con la mediazione del Comitato Internazionale della Croce Rossa (ICRC) nel distretto orientale di Aghdam. Secondo quanto dichiarato dalla portavoce dell’ICRC, Ilakha Huseynova, a Reuters, lo scambio ha riguardato “un ufficiale azero catturato l’anno scorso dalle forze armene del Karabakh e un civile armeno. Inoltre, le autorità azere hanno provveduto a trasferire tre prigionieri armeni in un paese neutrale”.
Nonostante l’accordo sui prigionieri sia stato rispettato, resta il problema dei principi-base per la soluzione del conflitto. Da un lato le autorità armene sostengono il diritto di autodeterminazione degli armeni del Karabakh; dall’altro, Baku non transige sul rispetto dell’integrità territoriale violata con l’occupazione armena. A tal proposito, il 7 marzo l’assistente per la politica estera di Aliyev, Novruz Mammadov, ha dichiarato all’agenzia di stampa azera Trend che a Sochi “la posizione armena ha subito una leggera trasformazione in senso positivo”. La replica alle parole di Mammadov è giunta il giorno seguente: con un comunicato stampa ministeriale, il Viceministro degli Esteri armeno Shavarsh Kocharyan ha precisato che “a Sochi la posizione di Yerevan è stata come sempre in linea con i principi di Madrid elaborati dal Gruppo di Minsk… mentre Baku deve ancora accettarli: questo segnerebbe un vero progresso nei negoziati”. Il presidente Sargsyan, durante una visita in Lettonia il 9-10 marzo, ha assicurato che “i colloqui trilaterali a Sochi sono stati una pietra miliare nel cammino verso la soluzione del conflitto: dopo l’incontro – riferisce Public Radio of Armenia – si può affermare che c’è un certo progresso nella posizione azera: si apre una fase di diminuzione delle tensioni e normalizzazione dei negoziati”.
Vittime e colloqui
L’altra questione irrisolta riguarda le vittime degli scontri sul fronte. L’8 marzo il ministero della Difesa azero ha denunciato all’agenzia Trend l’uccisione di un bimbo di nove anni sul fronte orientale da parte di un cecchino armeno. Il portavoce del ministero della Difesa armeno, Davit Karapetian, ha respinto le accuse, denunciando ad Armenialiberty l’uccisione di un soldato armeno da parte degli azeri. In seguito a queste accuse reciproche, i tre co-presidenti del Gruppo di Minsk hanno rilasciato lo stesso 8 marzo una dichiarazione congiunta esprimendo “profonda preoccupazione per la continua violazione del cessate il fuoco nella zona di conflitto in Karabakh” e sollecitando l’Ambasciatore Andrzej Kasprzyk, Rappresentante Personale del Presidente OSCE in carica, “a svolgere un’inchiesta immediata, con la partecipazione di tutte le parti, come concordato a Sochi”. Tra il 15 e il 17 marzo, la troika si è poi recata in visita nel Caucaso del Sud, incontrando i presidenti di Azerbaijan e Armenia e le autorità de facto del Nagorno Karabakh e presentando loro il “Rapporto sulla Missione di Valutazione” (svoltasi dal 7 al 13 ottobre scorso, ndr), i cui contenuti – riservati – sono stati discussi durante l’incontro del Gruppo di Minsk a Vienna il 23 marzo. Al termine della serie di colloqui nella regione, i tre mediatori hanno rilasciato una dichiarazione congiunta invitando le parti a “non sprecare lo slancio positivo di Sochi – come riferisce il quotidiano News.am – e a concentrarsi sulle questioni prioritarie al fine di giungere ad un accordo sui principi-base”.
Successivamente anche l’attuale Presidente OSCE in carica, il ministro degli Esteri lituano Audronius Azubalis, è giunto a Yerevan per incontrare il ministro degli Esteri armeno, Edward Nalbandyan, e il presidente del Nagorno Karabakh, Bako Sahakyan. Durante la conferenza stampa congiunta del 17 marzo, Azubalis ha “suggerito alla parte armena di ritirare unilateralmente i propri cecchini dal fronte come gesto di buona volontà”, riporta Armenialiberty. Nalbandyan ha respinto l’ipotesi assicurando comunque che “Yerevan e Stepanakert continuano a sostenere il ritiro reciproco di tutti i cecchini dal fronte”. Anche Sahakyan ha rifiutato tale proposta, “attuabile solo quando le parti manifesteranno un approccio costruttivo […] ma in tutti questi anni Baku ha ripetutamente violato gli accordi, come conferma l’uccisione di un altro soldato armeno sul fronte, il secondo dall’incontro tra i due presidenti a Sochi”, ha concluso il rappresentante del Karabakh.
L'aeroporto di Stepanakert
A ridimensionare ulteriormente i “progressi compiuti a Sochi”, è la questione dell’inaugurazione del nuovo aeroporto di Stepanakert, che opererà voli diretti su Yerevan a partire dal 9 maggio. Secondo quanto riferito dall’agenzia APA il 16 marzo, “il governo azero ha richiesto all’Organizzazione Internazionale dell’Aviazione Civile (ICAO) di non autorizzare alcun volo poiché lo spazio aereo sul Karabakh è chiuso”. Arif Mammadov, direttore dell’Aviazione Civile dell’Azerbaijan, ha precisato poi che “la legge sull’aviazione prevede la distruzione fisica dei velivoli che atterrano su quel territorio”. In un’intervista a RFE/RL Azerbaijan del 19 marzo, l’Ambasciatore USA a Baku, Matthew Bryza, ha definito “inaccettabile la minaccia o l’uso della forza che contraddice l’impegno assunto dalle parti per una soluzione pacifica del conflitto”. Anche il Gruppo di Minsk riunito a Vienna ha rilasciato una dichiarazione in cui “considera inaccettabile qualsiasi uso o minaccia della forza contro aerei civili” e “condanna l’assurda serie di uccisioni e azioni di rappresaglia lungo la linea di contatto”.
Nonostante gli appelli internazionali, dunque, le tensioni tra Armenia e Azerbaijan non accennano a diminuire, vanificando così gli accordi di Sochi e allontanando le speranze di una soluzione pacifica.
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