Aleksandar Vučić (© Vava Vladimir Jovanovic/Shutterstock)

Aleksandar Vučić (© Vava Vladimir Jovanovic/Shutterstock)

È stato più volte presentato come colui che poteva traghettare la Serbia verso l'Ue, voltando le spalle a Mosca. Una tesi di laurea analizza la politica estera serba alla luce della figura dell'attuale presidente serbo Aleksandar Vučić

19/01/2021 -  Sonia Bianconi

La Serbia è sempre stata un crocevia di culture e un punto di incontro tra l’Oriente e l’Occidente, peculiarità che ancora oggi ne influenzano in maniera determinante le azioni nello scacchiere internazionale.

Il presente lavoro di tesi si incentra sull’analisi della politica estera serba degli ultimi venti anni e su una figura che nell’ultimo decennio ha assunto un ruolo sempre più ampio nella scena politica del paese: l’attuale Presidente della Repubblica Aleksandar Vučić.

Il cuore della trattazione riguarda le determinanti e i principali contenuti dell’azione esterna di Belgrado a partire dalla Bulldozer Revolution del 2000. Lanciando un’occhiata agli output di politica estera della Serbia degli ultimi vent’anni, si nota una caratteristica comune a tutti gli esecutivi: la tendenza a bilanciare tra la Russia e l’Unione europea che, per ragioni diverse, costituiscono per Belgrado i due punti di riferimento primari e due modelli di sviluppo alternativi cui ispirarsi.

Sin dalla caduta del regime di Milošević, la classe dirigente serba ha avvertito l’esigenza di integrare il paese nell’Unione europea che, negli anni, si è guadagnata il titolo di maggior finanziatore dello sviluppo economico e istituzionale del paese. Tuttavia, la vicinanza di gran parte del popolo serbo alla Russia ha indirettamente frenato tale processo: i legami etnici, culturali, storici e spirituali tra i due popoli hanno infatti contribuito a creare una percezione molto positiva della Russia nell’immaginario di gran parte della cittadinanza serba, un fattore che ha impedito agli esecutivi di voltare le spalle al Cremlino in favore di un più deciso impegno verso Bruxelles. Inoltre, Mosca ha costituito un partner cruciale per Belgrado tanto in termini di supporto sulla questione Kosovo in sede ONU, quanto in termini di approvvigionamento energetico.

In questo panorama, il quesito centrale dell’elaborato riguarda l’ascesa del Partito Progressista e del suo leader: con il successo di Aleksandar Vučić la Serbia ha conosciuto una sostanziale svolta verso Bruxelles o ha mantenuto invariato l’equilibrismo tra i suoi due centri di gravità internazionali?

La domanda è scaturita dall’analisi della stampa internazionale e di alcune dichiarazioni di leader europei e serbi rilasciate tra il 2012 e il 2014 che hanno rivelato la diffusa convinzione per cui Vučić potesse finalmente portare la Serbia nell’Unione europea. Le dichiarazioni convintamente europeiste di Vučić e i concreti passi avanti da lui promossi in quella direzione gli hanno infatti conferito la reputazione di “colui che stava portando Belgrado fuori dal tunnel” o come “la perfetta scelta della Serbia per affrontare la corruzione e la crisi economica”. Eppure, dal 2014, in seguito alle elezioni parlamentari anticipate, Vučić, forte del nuovo consenso popolare, da Primo ministro, è tornato a guardare tanto ad est quanto ad ovest.

Per quanto vantaggiosa, si intuisce come la strategia dell’equilibrismo tra Mosca e Bruxelles non possa che costituire un approccio di breve periodo per Belgrado. Uno sguardo all’attualità mostra come in questi ultimi mesi le circostanze siano cambiate sul fronte serbo: le ultime elezioni parlamentari hanno conferito a Vučić, ormai unico uomo al comando, più dei 2/3 del parlamento, una maggioranza grazie alla quale il Presidente potrebbe finalmente chiudere la questione Kosovo e guidare la Serbia dentro l’Unione. Tutto sta nella volontà governativa di recidere i legami con Mosca, con la consapevolezza delle conseguenze avverse che tale atto comporterebbe per l’economia del paese balcanico e per il consenso interno nei confronti dello stesso Vučić.


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