Gli anni '90 hanno causato nei Balcani ingenti movimenti di popolazione, la distruzione di molte proprietà e l'occupazione di altre. E' avvenuto anche per la Croazia. Con un taglio giuridico in questa tesi di laurea si analizza il rientro della minoranza serba in Croazia.
Lo spunto per il tema in esame è nato dalla volontà di rendere noto un aspetto legato alla condizione di molte persone che ho conosciuto in questi anni, nell'ambito di un progetto, variegato in quanto a modalità e associazioni partecipanti, iniziato nel 1995 nell'area di Knin, in Croazia, e tuttora in corso.
La ricerca si occupa del problema, di estrema rilevanza, del ritorno dei profughi serbi di Croazia alle proprie abitazioni di origine situate in territorio croato.
Le origini della presenza di una minoranza serba in territorio croato vanno fatte risalire al XVI secolo, quando, sotto l'impero Asburgico, i Serbi, considerati valenti guerrieri nonché ottimi contadini, vennero infeudati delle terre comprese tra l'entroterra dalmata, da sud a nord, e il corso del fiume Sava, fino al Danubio, in cambio dell'impegno di questi di difendere il confine meridionale dell'Impero dall'avanzata degli Ottomani.
Nell'ambito di tali territori, definiti come Krajine (lett. confini), i Serbi costituirono in molti casi la maggioranza della popolazione, mentre nelle altre zone della Croazia una piccola percentuale di essi si concentrò in particolare nei grandi centri urbani.
I "Serbi di Croazia" abbandonarono le proprie abitazioni in due momenti differenti: il primo fu in occasione dei primi scontri tra Serbi e Croati nel 1991, quando, all'espulsione della minoranza croata dalle zone della Krajina, autoproclamatasi indipendente, fece seguito quella delle persone di etnia serba dalle zone sotto il dominio della neo costituita Repubblica Croata; il secondo esodo avvenne nel 1995, quando, tramite le operazioni militari, denominate "Lampo" e "Tempesta", il Governo croato riprese il controllo della Slavonia Orientale e delle Krajine.
Le abitazioni abbandonate, laddove non furono distrutte, vennero occupate da altri soggetti, in maggioranza profughi croati in fuga dalla Bosnia.
Rispetto alle proprietà immobiliari abbandonate, il principio ispiratore degli accordi di Dayton, così come degli impegni presi in seguito dalla Croazia verso la Comunità Internazionale, fu quello della restitutio ad integrum, vale a dire quello del "libero ritorno delle persone sfollate alle proprie case".
La situazione così creatasi verteva sul conflitto tra la posizione degli occupanti delle proprietà abbandonate, giuridicamente riconosciuti come titolari di un diritto definibile come housing right (il diritto di abitazione) e quella di coloro che su quelle case vantavano un diritto di proprietà vero e proprio o una pretesa giuridica a questo assimilabile, denominata tenancy right (lett. stanarsko pravo).
La presente ricerca, nei suoi due primi capitoli, parte dunque dall'esame del diritto di proprietà e di quello di abitazione così come definiti, interpretati e tutelati nell'ambito del diritto internazionale, dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo alle norme più recenti dotate di valore sovrastatale.
L'attenzione viene quindi a concentrarsi, nel terzo capitolo, sulla legislazione emanata dalla Repubblica Croata riguardo al problema specifico delle proprietà immobiliari e del modo in cui si è inteso regolare il conflitto di posizioni fra i proprietari delle abitazioni e gli occupanti di queste.
Dall'esame analitico delle norme, della loro ratio ispiratrice e del modo in cui esse hanno trovato concreta applicazione si dimostra come il conflitto tra le due posizioni sia stato sempre risolto a favore dell'occupante croato, sacrificando il diritto del proprietario serbo in nome della pretesa necessità di tutelare il diritto dell'occupante ad avere un'abitazione.
Di per sé la questione giuridica mostra punti di grande interesse: la tutela della proprietà e le limitazioni che essa può subire di fronte ad uno dei diritti fondamentali dell'uomo, qual è appunto il diritto ad avere un'abitazione, diritto che, in ultima analisi, comprende anche la tutela dal rischio di "non finire in mezzo ad una strada".
Vista in questi termini, la politica croata in materia di restituzione delle abitazione non ha presentato caratteri di palese ingiustizia, poiché è sembrata ispirarsi a quei medesimi criteri cui sono informati i principali testi normativi internazionali sui diritti umani, in cui, da sempre, il diritto di abitazione riceve una tutela più ampia rispetto al diritto di proprietà, che può invece subire delle limitazioni in determinati casi.
Non si intende in questa sede mettere in discussione quale fra i due diritti meriti teoricamente una maggiore protezione, quanto il fatto che la scelta da parte della Croazia di tutelare maggiormente la posizione degli occupanti, rispetto a quella dei proprietari, sia stata dettata unicamente dalla volontà di completare l'opera, iniziata durante la guerra, di allontanamento della popolazione serba dal territorio croato, attraverso l'uso distorto del Diritto e dei mezzi di tutela offerti dalla normativa a protezione degli housing rights.
Pertanto, si cerca di dimostrare come l'eventuale restituzione dell'abitazione al suo proprietario e il correlato provvedimento di evizione nei confronti dell'occupante, non avrebbero comportato affatto per quest'ultimo una reale situazione di sacrificio del suo diritto di abitazione.
Inoltre, al fine di avvalorare la tesi di un Diritto applicato in modo illegittimo, viene presentata brevemente la situazione in un'altra zona della Croazia, la Slavonia Orientale, caratterizzata dal medesimo problema del conflitto tra property e housing rights, ma dove, questa volta i proprietari degli immobili occupati da profughi serbi erano soggetti croati: ebbene, in questo caso, le norme nazionali che avrebbero dovuto tutelare l'occupante più del proprietario non sono state applicate.
Infine, nel capitolo finale, si darà notizia degli impegni assunti dalla Repubblica croata, sul tema del ritorno dei profughi alle proprie abitazioni, nell'ambito del Consiglio Europeo e in virtù del suo processo di adesione all'Unione Europea.
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