Sarajevo, foto di Nicola Lux

Sarajevo, foto di Nicola Lux

Un lavoro di geografia politica ed urbana per evidenziare i mutamenti territoriali della Bosnia tra il conflitto e la successiva transizione, scegliendo come punto di osservazione privilegiato la capitale bosniaca. Riceviamo e volentieri pubblichiamo

15/10/2013 -  Alberto Prioli

Le politiche e le leggi che riguardano la regolazione e la gestione dei territori, nonché le strategie territorializzanti di determinati attori, sono determinanti nel modulare conflitti e solidarietà tra gruppi umani differenziati. Questa dinamica sociale del territorio è particolarmente rilevante nei contesti urbani.

Le città, infatti, forniscono quegli elementi materiali e simbolici che Ted Gurr qualifica come determinanti per la volatilità o la stabilità delle relazioni tra i gruppi umani: la distribuzione delle abitazioni e la loro decenza, l’accessibilità agli spazi pubblici, la fruizione dei benefici sociali, la presenza di esternalità positive e negative e la loro allocazione negli spazi, rendita dei suoli, gerarchie socio spaziali, la possibilità di vivere spazialmente la propria cultura e di accedere a quella degli altri…

In contesti di conflitto nazionalistico e di transizione post-conflittuale, gli attori politici e militari coinvolti, agendo su questi elementi e, più in generale, sulla contiguità e l’interdipendenza che caratterizza le funzioni e la vita urbane, sono in grado di condizionare i legami di solidarietà tra i gruppi sub-nazionali, le visioni collettive della reciprocità e della distanza, i processi di soggettivizzazione, le costruzioni dell’Altro e, in ultimo, le forme di lealtà. Ciò che accade all’interno della città non è rilevante, però, solo per quest’ultima. Esso entra in una relazione complessa con le scale territoriali superiori e, in date circostanza, è in grado di condizionarne le logiche di funzionamento e sviluppo.

Le suddette relazioni tra spazio e gruppi umani e tra la scala urbana e quelle superiori forniscono un’utile chiave di lettura del passato e del presente traumatico di Sarajevo, capitale della Bosnia Erzegovina, e sono l’intelaiatura teorica a partire dalla quale è elaborato il presente lavoro.

L’obiettivo è quello di analizzare alcuni mutamenti urbani della capitale bosniaca tra l’assedio e la ricostruzione, il modo in cui questi mutamenti urbani siano entrati in relazione coi legami solidaristici tra i gruppi sub-nazionali ed, in ultimo, come abbiano partecipato alle più generali trasformazioni del paese. Il cuore delle analisi è costituito, da un lato, dal concetto di violenza geografica, ossia uno specifico utilizzo della violenza strategicamente orientato a riscrivere la geografia dei territori, sia nelle sue componenti strutturali e materiali che simboliche; dall’altro, dalla scelta di prediligere un punto di vista “dall’alto”, le strategie, i discorsi e gli interessi degli attori della coercizione politica e militare.

L’analisi si articola in rapporto a tre momenti: il conflitto bosniaco e l’assedio di Sarajevo, le negoziazioni di Washington e Dayton, la successiva transizione e ricostruzione.

Durante la guerra Sarajevo, teatro della principale scontro urbano, è stata l’oggetto di un conflitto egemonico tra gli attori di guerra serbo-bosniaci e bosgnacchi per riconfigurarne lo spazio e la popolazione secondo logiche polarizzanti. In questa fase la principale unità organizzativa dell’ambiente urbano è quella che la geografa militare francese Benedicte Tratnjek definisce come quartiere-territorio.

Durante i negoziati di Washington e di Dayton una peculiare convergenza, per eterogenesi dei fini, tra la coercizione diplomatica internazionale e la coercizione interna politico-militare ha concluso il riconoscimento della linea del fronte come il confine amministrativo tra le due nuove entità della Bosnia e ha deciso il passaggio dello IEBL a sud-est e sud-ovest del centro urbano di Sarajevo. Sulla base di questi accordi e alcune successive modifiche, lo spazio sarajevese è stato ridimensionato, ridotto dalle dieci originarie a sole quattro municipalità, incluso nel territorio della Federazione croato-bosniaca e il suo governo è stato strozzato tra i poteri municipali e quelli del Cantone. I vincoli della geografia politica di Dayton hanno contribuito ad impedire che la capitale bosniaca divenisse uno spazio urbano estensivo, aperto e in grado di trascendere le geografie della divisione.

Negli anni della transizione post-conflittuale e post-socialista, la comunità internazionale, attraverso le politiche della ricostruzione, dei ritorni minoritari e dei trasferimenti di proprietà, ha lavorato affinché Sarajevo tornasse a costituire uno spazio multiculturale, laddove le autorità locali hanno cercato di controbilanciare questi progetti lavorando per la bosniacizzazione delle strutture demografiche e dei linguaggi estetici della città.

Negli ultimi vent’anni, tra l’assedio, i negoziati e la transizione, diversi campi di coercizione politica si sono contesi l’organizzazione e la rappresentazione dello spazio di Sarajevo per orientare gli antagonismi nazionalistici, sia nel suo contesto locale che per le scale maggiori. L'organizzazione dell'ambiente urbano, le sue discontinuità, i suoi points de répére, le sue rappresentazioni hanno subito delle trasformazioni traumatiche indotte dalle strategie di controllo e intervento di forme diverse ma interrelate di coercizione politica.

Oggi, Sarajevo è una capitale contestata ed incerta.


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