Il Parlamento della Bosnia Erzegovina approva finalmente un testo sulla riforma della polizia, funzionale al percorso di integrazione europea. Ma il Paese resta profondamente diviso grazie all'architettura istituzionale creata 13 anni fa a Dayton. Un'analisi a margine della recente visita di Richard Holbrooke
Da tempo ormai gli abitanti della Bosnia Erzegovina dimostrano che la capacità di valutare la propria situazione non è esattamente il loro punto più forte. Nessun popolo dei Balcani negli scorsi decenni ha fallito così tante volte nel comprendere quanto stava loro accadendo e quanto era in procinto di accadere. Se non fosse tragico sarebbe comico, basti pensare alla convinzione con cui i cittadini di Sarajevo affermavano che la guerra in Bosnia sicuramente non ci sarebbe stata, anche quando quella guerra già divampava tra gli abitanti del neo-proclamato Stato. I politici facevano a gara con le loro dichiarazioni ottimistiche, e i cittadini sedevano nelle kafane mentre Vukovar, Dubrovnik, Zvornik e Foča andavano a fuoco.
L'ottimismo irreale ha continuato a diffondersi anche più tardi, quando persino ai ciechi era chiaro quanto stava accadendo. Gli abitanti di Sarajevo, all'inizio del più lungo assedio della storia contemporanea, prima credevano che i "disordini" sarebbero durati solo una o due settimane e che tutto si sarebbe risolto tranquillamente e senza spargimento di sangue. Quelli che uscivano dalla città portavano camicie e magliette a maniche corte per un viaggio di 15 giorni. Per la maggior parte di loro quel viaggio dura ormai da 16 anni. Molti non faranno mai più ritorno. La gente poi era convinta che le Nazioni Unite avrebbero posto fine alla guerra per vie politiche. Del resto l'ONU serve anche per assicurare la vittoria della giustizia. In teoria sì, in pratica no. Tutti a quel tempo erano convinti che gli aerei americani con qualche bombardamento avrebbero scacciato i criminali che distruggevano la città dalle montagne circostanti. L'assedio è cominciato nell'aprile del 1992, e gli aerei sono arrivati solo nell'inverno tra il 1995 e il 1996. Non sono arrivati quando la Bosnia ne aveva bisogno, bensì quando ne avevano bisogno l'America e l'Europa.
Nel frattempo, le Nazioni Unite avevano dichiarato delle "aree protette" in Bosnia Erzegovina garantendo la sicurezza degli abitanti di queste zone con forze armate internazionali. Tra le suddette zone era compresa anche Srebrenica. Si sa cosa è accaduto lì. Coloro che sono sopravvissuti alla guerra, ed erano presenti nel 1996, erano sinceramente convinti che gli esiti degli accordi di Dayton, condotti sotto la direzione di Richard Holbrook, sarebbero stati la costruzione di un giusto, moderno, contemporaneo Stato europeo costituito sulla base del diritto e delle convenzioni internazionali.
L'accordo è stato firmato. Da un lato ha fermato la guerra, dall'altro ha costituito uno Stato che non assomiglia a nessun altro Stato al mondo, e che semplicemente non può funzionare: due "entità" costitutive, tre popoli costitutivi, due sistemi costituzionali interni completamente differenti, una ventina di "governi" e più di 150 diversi ministeri, due popoli con doppia cittadinanza e uno con una soltanto, i bambini divisi in modo razzista nelle scuole in base alla nazionalità, criminali al potere, innumerevoli leggi in assoluta contraddizione con tutte le convenzioni sui diritti umani vigenti al mondo, un protettorato in pratica completo ma formalmente non riconosciuto della comunità internazionale, un'economia danneggiata e saccheggiata... E' questa la realtà dell'attuale Bosnia Erzegovina "di Dayton".
Gli abitanti sono stanchi delle false promesse ma, paradossalmente, continuano ad essere eccessivamente ingenui. Anche se consapevoli di ciò che li circonda, in un qualche incredibile e irrazionale modo continuano a sperare in meglio. Gli occhi sono puntati sugli imbroglioni del luogo, sugli speculatori di guerra e sulla cosiddetta comunità internazionale. Questa "comunità" - riguardo alla Bosnia Erzegovina (e non solo) - non ha né una strategia, né un'opinione, né un progetto concreto.
La visita dell'"architetto di Dayton" Richard Holbrooke, nei giorni scorsi, ha mostrato in modo paradigmatico tutta l'impreparazione del mondo a cogliere il nocciolo di questa questione. Anche se il suddetto signore non rappresenta oggi un fattore essenziale per decidere cosa ne sarà della Bosnia, il suo comportamento durante il soggiorno a Sarajevo e Banja Luka è un'immagine perfetta di ciò che qui si sostiene. L'americano, prima di tutto, non è disposto a riconoscere il totale fallimento della propria opera nemmeno di fronte alle innumerevoli prove dell'effetto catastrofico degli accordi di Dayton sulla vita della Bosnia Erzegovina. La vanagloria, l'egoismo e l'arroganza politica sono molto più importanti per la maggior parte di queste persone del "grande mondo" rispetto al destino di qualche piccolo popolo o piccolo Stato. Questo destino diventa interessante per loro soltanto nel momento in cui minaccia qualche loro "grande" interesse. Questo, ovviamente, non è niente di nuovo nella politica mondiale, me è affascinante quanto continui a passare ancora tra i poveri bosniaci.
Tredici anni dopo l'inizio del fallito esperimento chiamato "Bosnia Erzegovina di Dayton", Holbrooke continua a giustificare la sua idea: uno Stato multinazionale costituito esclusivamente su base etnica.
Il culmine del cinismo nelle dichiarazioni di Holbrooke è la sua preoccupazione per il rispetto della completa divisione nazionale nelle scuole in cui si imparano tre diverse e del tutto contrapposte versioni della storia di questo Stato. Addirittura, ingenuamente, pone l'attenzione su come gli autori di tale sistema "non capiscano che un tale metodo di educazione dei bambini creerà le condizioni per un nuovo conflitto tra 20 anni..."
Dal momento che questo sistema è prodotto sulla logica della sua idea di Dayton, è davvero ironico stupirsi e chiedersi da dove provenga questo sistema scolastico in Bosnia Erzegovina. Decisamente molto più ironico, addirittura impudente, sarebbe non vedere che in questo caso non si tratta dell'incomprensione del fautore del segregazionismo nelle scuole, ma del progetto mirato dei nazionalisti e politici locali instaurati con Dayton.
L'obiettivo è produrre un'ultima divisione non solo fisica, ma anche mentale, fino al livello di assoluto odio e incomprensione tra le diverse nazioni. Questa produzione di odio è la condizione per il progetto di una futura divisione dello Stato e, se necessario, anche per il reclutamento di nuova carne da macello. È segreto pubblico che più del 90% dei bambini di oggi che vivono a Sarajevo non sono mai stati a Banja Luka, e viceversa. La cosa peggiore è il fatto che la stragrande maggioranza di loro non vuole percorrere quei 200 km, un po' per odio, un po' per paura.
Il problema della Bosnia Erzegovina oggi è nella consapevole, organizzata e pianificata distruzione del tessuto sociale e nella educazione forzata delle nuove generazioni allo spirito di un nazionalismo avanzato che porta al fascismo. Il progetto è quello di un danneggiamento a lungo termine della memoria di tutto quanto da sempre è comune. I principali esecutori dei lavori di questo progetto sono i politici corrotti e i criminali che l'idea-Dayton di Holbrooke ha amnistiato e che oggi, nello sgretolato regno dell'anarchia, vedono il paradiso per la propria delinquenza. Sono comprese anche le comunità religiose, politicizzate in modo isterico, che non si occupano affatto del cielo, ma soprattutto degli appetiti di questa terra, degli interessi e degli affari. Sono compresi, in modo significativo, anche i mezzi di comunicazione manipolati e controllati dagli attori precedentemente nominati.
Il signor Holbrooke e i suoi simili non vogliono vedere tutto questo, perchè non si accorda con l'idea del grande "successo" di Dayton. Il dramma della Bosnia Erzegovina, invece, non si trova in questo. Sta nel fatto che coloro che lo vedono, soprattutto coloro che ne sono interessati da vicino, gli abitanti del povero Stato, stanno zitti. In Bosnia va di moda stare zitti e sopportare. Quindi, nessuno sa nulla.
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