Oggi sono 28 anni dalla morte dei tre giornalisti della Rai di Trieste, Marco Luchetta, Dario D'Angelo e Alessandro Ota, avvenuta a Mostar durante il conflitto: a Trieste la consegna di un riconoscimento di Articolo21 alla Fondazione che porta il loro nome; a Mostar la commemorazione in presenza dell’ambasciatore italiano Marco Di Ruzza
Erano arrivati a Mostar est nel gennaio del 1994 - parte della città controllata dall'Armija e sotto assedio da più di un anno per mano dell'HVO, esercito croato-bosniaco - sui mezzi del convoglio della Croce Rossa internazionale partito la mattina dalla vicina Medjugorije (sotto controllo dell'HVO), scortati dal contingente spagnolo dei Caschi blu.
Vicino a un piccolo edificio adibito a ospedale, Marco Luchetta, 42 anni, giornalista, Dario D'Angelo, 47 anni, operatore e Alessandro Ota, 37 anni, tecnico, entrarono nel cortile di un complesso quadrilatero residenziale dove si affacciava l'ingresso di un rifugio in cui da mesi si nascondevano decine di persone tra cui molti bambini. All'ingresso del rifugio, mentre intervistavano un bimbo (Zlatko Omanović), cadde a poca distanza una granata, che li colpì. I loro corpi fecero da scudo a Zlatko, che si salvò.
“Oggi consegniamo questa targa e la tessera onoraria di Articolo 21 alla “Fondazione Luchetta Ota D'Angelo Hrovatin Onlus”, ha dichiarato Fabiana Martini, portavoce del gruppo Articolo 21 del Friuli Venezia Giulia, “perché ha trasformato il dolore di famiglia, amici e cittadini di Trieste in un’nizativa che cura bambini vittime delle guerre e perché continua ad illuminare luoghi che altrimenti rimarrebbero nell’ombra”.
La Fondazione, come ha raccontato Daniela Schifani in un'intervista realizzata da OBCT, è nata lo stesso anno dell'eccidio, e il primo bambino curato è stato proprio Zlatko Omanović.
Alla consegna della targa nelle mani della presidente della Fondazione, Daniela Schifani Corfini Luchetta, avvenuta presso il Circolo della stampa di Trieste il 25 gennaio, era presente anche il presidente della FNSI Giuseppe Giulietti: “La Fondazione ha realizzato in questo modo l’essenza del contrappeso virtuoso, ha trasformato la ferita in atto generativo. Ed è un esempio altissimo di cura e solidarietà”. Giulietti ha inoltre aggiunto che intitolare la Fondazione anche al giornalista Miran Hrovatin – ucciso due mesi dopo a Mogadiscio con Ilaria Alpi – “dimostra la grande capacità di non chiudersi in se stessi e sul proprio dolore”.
Daniela Schifani Corfini Luchetta, ricevuta la targa e la tessera ha ringraziato a nome dei tantissimi collaboratori e collaboratrici: "La Fondazione è nata su spinta di molti e il lavoro fatto fino ad oggi è merito degli sforzi e dell'impegno di un'intera comunità. Ad oggi, grazie a questo impegno, 800 bambini sono stati curati e tutti sono tornati a casa guariti o con una speranza di vita".
Oggi, a Mostar, alla commemorazione che si tiene ogni anni nel luogo della loro morte, era presente anche l’ambasciatore italiano a Sarajevo, Marco Di Ruzza, arrivato a ricoprire il ruolo nel giugno dell’anno scorso. Vi ha preso parte anche il sindaco di Mostar, Mario Kordić e, tra gli altri, il console onorario italiano a Mostar, vari organismi internazionali – in particolare le missioni Osce e Undp - l'Associazione dei giornalisti della Bosnia Erzegovina e varie espressioni della società civile.
L'ambasciatore nel suo intervento ha ricordato Luchetta, D'Angelo e Ota come simbolo di un giornalismo libero, intelligente e coraggioso, che si proponeva di documentare il dramma delle persone comuni durante la guerra per mettere in luce come le atroci sofferenze provocate da quel conflitto non conoscessero differenze etniche, linguistiche e confessionali. Un alto impegno civile oltre che professionale ne ispirava dunque il lavoro di inviati RAI in Bosnia Erzegovina.
“Il loro sacrificio”, ha dichiarato Di Ruzza nel suo discorso alla commemorazione, “sia fonte di ispirazione per tutti coloro che si adoperano per promuovere reali processi di riconciliazione in Bosnia Erzegovina, affinché' il paese, tuttora lacerato da gravi tensioni politiche, possa finalmente evolvere in una moderna società cosmopolita, multietnica e pluriculturale, proiettandosi nel suo naturale alveo europeo.”
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