"Io non temo per i migranti, temo per l’Europa". Sono le parole dell'attivista italo-marocchina Nawal Soufi nel suo discorso, pronunciato in Commissione per i diritti delle donne e l’uguaglianza di genere del Parlamento europeo, con cui ha lanciato un grido di aiuto per le donne e gli uomini che percorrono la rotta balcanica
Fonti: AfricaEuropa - Paoline Edizioni - Parlamento europeo
Nawal Soufi è considerata l’angelo dei siriani in fuga dalla guerra. Di origini marocchine, è arrivata in Italia, a Catania, da piccola. Oggi, ventisettenne, aiuta da lì e in forma totalmente volontaria migliaia di migranti e profughi a sopravvivere al viaggio per mare attraverso il Mediterraneo. Nonostante la giovane età, ha una lunga storia di impegno civico e solidarietà.
Da tre anni ormai Nawal Soufi è diventata un punto di riferimento imprescindibile per i profughi, soprattutto siriani, che passano da Catania: per chi arriva alla stazione dei treni e deve proseguire il viaggio verso nord; per chi ha bisogno di essere accolto in strutture di accoglienza o presso famiglie; per chi le chiede di essere accompagnato alle visite mediche o, persino, per i parenti di persone naufragate in mare che le chiedono di accompagnarli al riconoscimento dei corpi.
Vive con il cellulare sempre all’orecchio. E a Catania, come nel resto d'Italia, molti si sono uniti a lei in quest’attività di soccorso e di sostegno. I profughi la chiamano durante la traversata per lanciare gli Sos ed è così diventata punto di riferimento anche delle autorità. Inoltre, molti altri volontari si sono uniti a lei in quest’opera di soccorso e di sostegno.
Lo scorso 3 marzo ha parlato di fronte alla Commissione per i diritti delle donne e l'uguaglianza di genere del Parlamento europeo, in occasione dell'incontro interparlamentare dal titolo "Women refugees and asylum seekers in the EU", organizzato nell'ambito delle iniziative dedicate alla Giornata internazionale della donna. Con il suo discorso ha lanciato un grido di aiuto per donne e uomini che stanno percorrendo la rotta balcanica verso il nord Europa.
“Buongiorno a tutti, cercherò di cominciare il mio racconto senza alzare una carta, senza alzare una penna. Partirò da delle calze che ho qui, da delle bottiglie che potrebbero essere queste. Calze di una donna e due bottiglie d’acqua. Se vogliamo parlare di rifugiati dobbiamo partire da queste calze e da queste bottiglie. Questo è un salvagente dentro il mare, è un salvagente per tutte quelle persone che non sono riuscite a comprare un salvagente dalla Turchia o dalla Libia o dall’Egitto. Perché forse non avevano i soldi o perché forse lo scafista ha deciso di togliere loro tutto quello che avevano.
È da dieci anni che vedo il mare Mediterraneo rosso, ho smesso di vederlo di colore blu, lo vedo rosso e vedo la mia generazione che vive il secondo olocausto. Quando lo chiamo olocausto non parlo dei numeri, parlo di tutto quello che significa guardare e tacere. Il mar Mediterraneo è quel campo di concentramento dove le persone muoiono ogni giorno, dove le persone soffrono… e la caratteristiche che ci unisce all’epoca del nazifascismo è che vediamo tutte queste cose e facciamo finta di nulla, continuiamo in qualche modo a lasciar morire le persone nel mar Mediterraneo.
Sono appena tornata dalla Grecia, ho vissuto cinque mesi, dormito in macchina, dormito in tenda, dormito alla frontiera. E ho fatto anche il tragitto con i migranti, da donna, siriana di Homs, partita dalla Siria, arrivata in Turchia, arrivata in Grecia e da lì ho continuato il viaggio verso la Germania.
Ovviamente nessuno sapeva che ero Nawal Soufi.
In questo viaggio ho subito la violenza di due autorità di frontiera, non dirò in questa sede quali sono i due Paesi: una prima volta perché ho difeso una famiglia dal manganello di un poliziotto di frontiera. La famiglia in poche parole diceva al poliziotto: “Voglio salire su quell’autobus perché lì è salito mio figlio”. Il poliziotto ha spinto la famiglia, ha usato il manganello. I sogni dei diritti, diritti umani, diritti delle donne, diritti dei bambini… credo che per poter parlare di diritti tutti noi dobbiamo scendere nelle frontiere, accompagnare i migranti; forse è arrivato il caso di accompagnare i migranti dal confine terrestre.
Io non temo per i migranti, non tempo per i cosiddetti rifugiati o per i cosiddetti migranti economici (io in realtà non li divido, per me non esistono rifugiati o migranti economici). Io non temo per loro, temo per l’Europa. Siamo tutti qui perché penso che crediamo nei valori per cui è nata l’Europa unita. Ecco io non temo per i rifugiati perché un giorno torneranno nella loro terra, perché amano la loro terra come noi amiamo la terra dove siamo nati… io amo l’Italia perché sono cresciuta in Italia, amo anche il Marocco perché sono nata in Marocco. Queste persone amano la Siria, amano l’Afghanistan, amano l’Iraq, un giorno torneranno.
La domanda fondamentale: noi dove andremo? Le nostre conoscenze quando ci guarderemo davanti allo specchio un giorno, quando dovremo raccontare ai nostri figli che non abbiamo fatto quando tutti potevamo fare. Quello che posso dire è che dieci minuti non possono riassumere il disastro, posso semplicemente dire che in questi giorni è in atto una violenza enorme contro donne e bambini che provengono dalla città di al-Raqqah in Siria; mi sono arrivati circa 150 sms nelle ultime 48 ore. Nella frontiera tra la Serbia e Croazia, la Croazia e la Serbia decidono di bloccare tutti coloro che vengono dalla zona di Al-Raqqah e i motivi sono chiari: perché al-Raqqah è sotto l’Isis.
E la domanda che io mi faccio è: queste persone prima hanno sofferto per la presenza di un regime criminale dittatoriale, dopo hanno iniziato a soffrire perché dei terroristi si sono impossessati della loro città, terzo hanno deciso di lasciare la Siria per poter trovare pace, per poter portare i loro bambini nelle scuole, per poter- in qualche modo – non dover obbligare la figlia a mettere il burqa. Queste stesse persone sono adesso vicino alle nostre frontiere, nell’Europa democratica e civile, e sono bloccati. Se a qualcuno tutto ciò può interessare ho le coordinate del posto in cui stanno, il punto in cui sono fermi: i loro soldi sono finiti, non hanno più soldi per comprare cibo, aspettano che qualche organizzazione umanitaria si presenti e porti cibo.
Posso solamente dire che anche quando si distribuisce cibo, tante volte, si cerca di denudare il migrante della sua dignità. Io sono stata alla frontiera con la Macedonia, circa 15 giorni fa, e fare la fila per tre, quattro ore sotto la pioggia o con il freddo per poter prendere un piatto o del té credo sia umiliante per qualsiasi persona di noi. Forse è arrivato il momento di aprire dei corridoi umanitari, forse è arrivato il momento di far raggiungere le persone devono raggiungere l’Europa tramite vie legali. Ripeto: tramite vie legali. Perché ormai l’Europa è diventata l’Europa impermeabile. Ed è permeabile solo attraverso le mafie. Io da Europea ho paura, non dei migranti, ma delle mafie che organizzano i viaggi e della mia coscienza fra cinquant’anni, quando dovrò raccontare qualcosa ai miei figli. Grazie!”