Un’analisi della situazione dei media in Romania, pubblicata dal Centro per la Trasparenza dei Media, mette in luce i diversi assetti proprietari, le relazioni con il mondo della politica e le ripercussioni di questi legami sulla trasparenza dei mezzi d’informazione
Se si considerano il lavoro di giornalisti come Paul Radu o le attività della sezione locale del network di giornalismo investigativo OCCRP, si è portati a pensare che la situazione della libertà dei media in Romania sia piuttosto positiva. Pur vantando numerosi giornalisti pluri-premiati per le proprie inchieste, la Romania e i media rumeni devono però affrontare sfide comuni agli altri paesi post-comunisti e ostacoli derivanti dalle vicende specifiche che hanno caratterizzato la transizione politica ed economica del paese.
Il Centro per la Trasparenza dei Media, aperto da poco a Londra, ha pubblicato un’analisi che approfondisce in particolare gli assetti proprietari nel campo dei media e come questi incidano su libertà e pluralismo dei mezzi di informazione. Il rapporto, disponibile per intero in lingua inglese, offre una panoramica dello scenario mediatico nella Romania post-comunista, con l’obiettivo di mettere in luce i diversi assetti proprietari, le relazioni con il mondo della politica e le ripercussioni di questi legami sulla trasparenza dei mezzi d’informazione.
Curato da Manuela Preoteasa e Andrei Schwartz, lo studio parte dal presupposto che nei paesi post-comunisti le istituzioni democratiche e quelle legate al mondo dei media si sono sviluppate in maniera simultanea e interrelata, creando problematiche strutturali che ostacolano lo sviluppo di media indipendenti.
I media rumeni, specifica il rapporto, svolgono un ruolo centrale nella triangolazione politica-affari-giustizia, ponendo i giornalisti in una situazione complicata. “A tratti baluardo della giustizia e della lotta alla corruzione, in altri casi conniventi, i giornalisti operano in uno scenario alimentato da flussi finanziari poco trasparenti e caratterizzato da forti concentrazioni di potere politico ed economico”.
L’analisi suggerisce una periodizzazione dello sviluppo dei media romeni che ricalca in parte quella applicabile ad altri paesi post-comunisti: subito dopo il 1989 si è assistito ad un’ondata di entusiasmo giornalistico accompagnata da una notevole proliferazione di uscite editoriali (1’200 testate nei primi anni ‘90), seguita da una fase di strumentalizzazione dei media durante la quale il mondo della politica e degli affari ha istituito un controllo saldo sui mezzi di informazione.
C’è però un aspetto specifico dello scenario rumeno, secondo gli autori, che lo distingue da altri paesi dell’area: “Il sospetto durevole e pervasivo che l'ossatura dei media sia infestata dal passato comunista”. Due elementi infatti caratterizzano il panorama mediatico rumeno: “I legami fra proprietà dei mezzi di informazione e servizi segreti del periodo comunista (“Securitate”), e l’utilizzo di fondi neri che hanno la propria origine nel periodo comunista e che sono passati in maniera poco trasparente attraverso i decenni della transizione. Alcuni dei proprietari dei mezzi di informazione hanno un passato controverso, essendo stati collaboratori dei servizi segreti o avendo beneficiato economicamente della transizione.”
Da queste connessioni emerge un paradosso, suggeriscono gli autori: uno scontro tra l’etica che dovrebbe caratterizzare lo svolgimento della professione giornalistica e la necessità di mantenere una certa connivenza con le fonti di finanziamento del proprio lavoro.
Questa pubblicazione è stata prodotta nell'ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto