9 giugno 2014

Una carovana per la pace ha attraversato la Bosnia toccando tre città simbolo Tuzla, Mostar e Sarajevo e incontrando numerosi rappresentanti delle istituzioni locali e della società civile

Ripartire nonostante la crisi politica, economica e sociale. É una Bosnia che ha voglia di ricominciare quella attraversata dalla Carovana della Pace dal 17 al 22 aprile scorsi: un viaggio organizzato dall'associazione MirniMost (“Un ponte per la pace") di Guastalla in collaborazione con la Scuola di Pace di Reggio Emilia, che ha toccato le tre città simbolo di Tuzla, Sarajevo e Mostar, per non dimenticare quanto successo durante la guerra e approfondire le problematiche che attanagliano il Paese.

Una carovana alla scoperta delle tante realtà impegnate ogni giorno nella ricostruzione della Bosnia, e in primis di quella Mostar un tempo simbolo della convivenza interetnica e a oggi irrimediabilmente spaccata in due parti, l'una prevalentemente “croata” a Ovest, l’altra musulmana a est, separate della Neretva. In comune, l'assenza di strutture pubbliche di sostegno e assistenza per i più deboli. Un bisogno in parte colmato dal lavoro delle associazioni, come KOS (Casa del cuore aperto), partner del progetto “Mostar i fiori di lillà” finanziato da MirniMost, grazie al quale in questi ultimi anni è stato possibile restaurare e allestire, nel quartiere Tekia a Mostar Est, un centro di fornitura di servizi per vedove, anziani, bambini orfani e portatori di handicap. Un luogo per offrire assistenza a coloro che altrimenti non ne avrebbero, senza alcuna differenziazione etnica.

“Il progetto “Mostar i fiori di lillà” è al suo terzo anno di vita - spiega Antonio Campanini, presidente di Mirnimost - con il nostro contributo siamo riusciti a sostenere la ristrutturazione e l'allestimento del centro, realizzando uno spazio accogliente per chi ha bisogno e anche un punto di ritrovo per le tante donne della zona, che altrimenti non avrebbero luoghi dove incontrarsi e aiutarsi: inoltre siamo anche riusciti a fornire all'associazione un pulmino attrezzato per il trasporto dei disabili”.

Una collaborazione fattiva che va avanti ormai da alcuni anni e che prevede, tra le prossime attività, nel mese di giugno, un corso di formazione professionale per le cure palliative che si terrà a Buttrio (UD) organizzato dal comune, partner del progetto: al termine la delegazione, composta da 11 persone (8 volontarie del''associazione KOS più tre rappresentanti dei servizi sociali del cantone di Tuzla) sarà ospitata a Guastalla per una visita alle strutture assistenziali della provincia di Reggio Emilia.

La visita di Mostar è stata anche l'occasione per incontrare i rappresentanti del locale Plenum per la Democrazia, uno dei gruppi spontanei, formati da cittadini comuni nati in tutte le città all’indomani delle proteste del febbraio scorso: un’importante realtà che rifiuta la violenza e che mira a formulare una serie di richieste da inoltrare ai governi cantonali, al di fuori della tradizionale organizzazione del partito. Il gruppo di Mostar, guidato dall'attivista Muharem Hindić Musica, dal febbraio scorso si ritrova in Spanski Trg per manifestare e ribadire in modo pacifico la necessità di un cambiamento e il dissenso sulla corruzione che attanaglia il governo della Federazione, sulle privatizzazioni che stanno impoverendo il paese e sulla disoccupazione che ha toccato nella sola Mostar il 40% e in Bosnia il 70% circa. Un gruppo di manifestanti eterogeneo, contenuto nei numeri rispetto ad altri plenum formatisi nel Paese, mal tollerato dalle autorità locali: basti pensare che nel marzo scorso Hindić Musica, mentre alla guida di un corteo pacifico cercava di passare dalla sponda ovest della città a quella est, è stato trascinato dentro un furgone dalla polizia e picchiato, al punto da ritrovarsi con un braccio rotto. Alcuni manifestanti, invece, sono stati identificati e accusati di terrorismo, la stessa imputazione a carico del wahabita che nel 2011 cercò di sparare contro l'ambasciata americana di Sarajevo.

Lotta alle disparità sociali e alla disoccupazione, una politica onesta, la revisione dei processi di privatizzazione che secondo molti hanno portato il paese al dissesto economico: queste sono le richieste avanzate dal gruppo di Mostar e da quelli delle altre città bosniache, e in particolare a Tuzla, senza dubbio il Plenum più importante insieme a quello di Sarajevo. Una realtà significativa, come spiegato dai alcuni attivisti del gruppo ai membri della Carovana, anche perché è stato proprio da Tuzla che sono partite le proteste: non a caso il movimento si è sviluppato nella cittadina, il principale polo economico bosniaco, all'indomani della privatizzazione delle industrie Konjuh, Polihem, Dita e Resod-Gumig, fondamentale fonte di reddito per la città e per la sua popolazione. Una protesta imponente, che nei soli primi giorni di manifestazione ha visto oltre 6000 persone in piazza, tutti insieme per chiedere che fossero garantite condizioni di vita dignitose ai tanti disoccupati e ai lavoratori coinvolti (lo stipendio medio di un operaio in Bosnia è di circa 250 euro). A oggi il Plenum è attivo e organizzato in laboratori pronti a svolgere un ruolo attivo nella vita politica bosniaca: dopo l’importante risultato ottenuto con le dimissioni del governo del cantone, l’Assemblea governativa locale è stata la prima a votare per l'abolizione del bijeli hljeb , o “pane bianco”, ossia il diritto riconosciuto ai ministri, di continuare a percepire il salario per un anno dopo il termine del loro mandato.

Partecipazione e attivismo sono anche le due parole chiave che guidano l’operato di un’altra delle realtà incontrate dalla Carovana per la Pace, i volontari dell’associazione Front di Tuzla, che da gennaio scorso sono all'opera per realizzare in un ex campo profughi nel quartiere di Kiseljak il primo camping internazionale della gioventù del Paese (Iok). Uno spazio unico nel suo genere nei Balcani, che mira a offrire da una parte una possibilità di lavoro ai tanti giovani impegnati, dall’altra un importante esempio di integrazione: il lavoro dell'associazione, infatti, si basa sull'inclusione sociale di tutte le etnie (musulmani, serbi,croati e rom) nell'ottica di quello spirito di tolleranza e dialogo che da sempre ha caratterizzato la città, anche durante la guerra. Durante il conflitto del 91/95, infatti, i tre principali gruppi etnici decisero di non fare la guerra tra loro ma di collaborare per difendere unitariamente la città dal nemico esterno. Una decisione mantenuta anche nel momento più tragico del conflitto, quando il 25 maggio 95 una granata serba lanciata dalle alture intorno la città uccise 71 persone, quasi tutte tra i 18 e i 25 anni, scese in strada per festeggiare la "Festa della gioventù". Un evento tragico, che la Carovana ha commemorato insieme ai volontari dello IOk deponendo una corona di fiori sul luogo dell'eccidio e visitando il cimitero nel parco “Slana Banja”: qui musulmani, ortodossi e cattolici, persone provenienti da famiglie miste e laici giacciono uno di fianco l'altro, senza distinzioni. Durante il soggiorno a Tuzla i dieci componenti della missione sono stati ricevuti anche dal sindaco di Tuzla Jasmin Imamovic e dal presidente della Commissione Diritti Umani MC Tuzla Mirnes Ajanovic. Tra le altre tappe toccate nei cinque giorni il Tunnel di Sarajevo, durante l’assedio della città l’unica via d’uscita dall’attacco delle forze serbe, e il memoriale di Srebrenica, per commemorare le oltre 8300 vittime che qui furono uccise tra l’11 e il 19 luglio 1995.

“La Carovana ha centrato tutti i suoi obiettivi conoscere e sostenere con un messaggio di pace i Plenum per la Democrazia, e visitare per non dimenticare i luoghi simbolo della tragica guerra degli anni 90” è la conclusione del presidente Campanini.

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