Nel fine settimana la pioggia ha concesso una prima tregua, permettendo alla popolazione colpita dalle inondazioni un parziale ritorno alla normalità. La situazione resta però drammatica in molte località. E il bilancio delle vittime, con il ritirarsi delle acque, è destinato ad aumentare
Può permettersi di tirare un primo timido sospiro di sollievo la Bosnia Erzegovina. Per la prima volta, da quando l’allarme alluvioni è cominciato (giovedì scorso), nel fine settimana la pioggia ha smesso di cadere. La parte peggiore della tragedia, con un po’ di fortuna, è passata, anche se si continua a lottare contro l’acqua, a ripulire le strade e – inevitabilmente – a recuperare i corpi di chi non è sopravvissuto alla catastrofe dei giorni scorsi.
La situazione migliora, anche se è decisamente ancora troppo presto per dichiarare conclusa l’emergenza. In tutto il paese, infatti, resta l’allarme, anche se in molti centri urbani colpiti dalle inondazioni gli abitanti stanno ritornando per cercare di riprendere la propria vita quotidiana.
A Banja Luka l’elettricità è stata quasi completamente ristabilita. Esperti e tecnici sono in questo momento al lavoro per esaminare i danni subiti da ponti e infrastrutture, e per decidere l’entità dei lavori che serviranno a rimetterli in sesto. Nei villaggi attorno a Bijeljina, che nei giorni scorsi sono stati totalmente evacuati, l’acqua ha cominciato a ritirarsi, e i livelli dei fiumi Drina e Sava si stanno gradualmente abbassando.
Anche a Maglaj, uno dei comuni più colpiti, nella mattinata di domenica è stata riallacciata l’elettricità e gli abitanti hanno ricominciato a pulire le strade per cancellare i segni del passaggio dell’acqua. Nel cantone di Zenica-Doboj, una delle zone in cui i danni sono maggiori (domenica sera il sindaco di Doboj, Orben Petrović, aveva dichiarato che il numero delle vittime nella città era di venti persone, e che era destinato ad aumentare) l’evacuazione della popolazione rallenta. Nella città cominciano ad affluire aiuti e medicinali.
Nel momento in cui scriviamo [lunedì sera], l’unica situazione davvero allarmante si registra ad Orašje: il 60% della città è sott’acqua e si attende con preoccupazione il passaggio di una nuova ondata di piena della Sava. 4.500 persone sono state evacuate e per tutta la giornata di lunedì militari, membri della protezione civile e volontari hanno lavorato per rinforzare gli argini attorno al fiume ed evitare così il peggio.
Studenti, tifosi, plenumaši
Il bilancio delle vittime delle alluvioni è pesantissimo. Si parla di almeno una trentina di morti, anche se si tratta di dati non ufficiali, mentre il primo ministro Vjekoslav Bevanda, in una conferenza stampa rilasciata lunedì pomeriggio, ha dichiarato che “sono almeno 950.000 i cittadini bosniaci che, in un modo o nell’altro, sono stati obbligati a lasciare le proprie case”. Secondo Miro Pejić, il presidente dell’associazione dei produttori agricoli della BiH, i danni complessivi provocati da questo disastro potrebbero aggirarsi “nell’ordine di miliardi di marchi”.
L’emergenza non ha soltanto provocato distruzione e morte ma ha avuto, se non altro, il merito di evidenziare la grande solidarietà degli abitanti di Bosnia Erzegovina, che fin dal primo minuto si sono attivati – in gran parte spontaneamente – attraverso i social network per prestare i primi aiuti e per raccogliere il materiale necessario ad aiutare gli sfollati. Così, per esempio, gli studenti dell’Università di Sarajevo sono riusciti a organizzare un gruppo di 500 volontari che sono giunti in aiuto delle municipalità più colpite come Olovo, Maglaj, Doboj e Zavidovići.
Chiunque si sia trovato a fare parte di un qualsiasi tipo di organizzazione si è immediatamente messo a disposizione delle zone colpite. A spalare il fango dalle strade si sono visti anche i gruppi delle ‘Horde zla’ o dei ‘Manjiaci’, tifosi delle due principali squadre di calcio di Sarajevo. Anche i plenum, creatisi con le ultime grandi proteste in febbraio, si sono attivati per dare il proprio aiuto e per raccogliere materiale per le vittime dell’alluvione.
Non è mancata neppure la solidarietà internazionale. Numerosi governi hanno immediatamente dato il proprio sostegno a Sarajevo per affrontare l’emergenza. Tra questi, tutti quelli dell’ex Jugoslavia (persino il Kosovo si è offerto di aiutare la Bosnia Erzegovina, nonostante di fatto non sia mai stato ufficialmente riconosciuto da Sarajevo), la Turchia, la Repubblica Ceca, la Slovacchia, il Lussemburgo, gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Francia. L’Italia ha deciso di donare 100.000 euro alla Bosnia Erzegovina attraverso la Croce Rossa, come confermato a Osservatorio Balcani e Caucaso da fonti interne al ministero degli Esteri.
Frane, epidemie e mine vaganti
Nonostante il pericolo di nuove alluvioni, nell’immediato, sembri scongiurato, ci sono molti motivi per rimanere all’erta. Il primo è rappresentato dalle frane. Da giorni in tutto il territorio alluvionato si susseguono notizie di smottamenti di dimensioni enormi. Secondo le autorità bosniache, finora le piogge avrebbero messo in movimento qualcosa come duemila frane, soprattutto nelle zone vicino a Zenica, Tuzla e Vareš: interi villaggi sono spariti, inghiottiti dal fango.
C’è poi la questione, di certo non secondaria, dell’accoglienza riservata agli sfollati. Se, infatti, per il momento la risposta della società civile è stata sufficientemente adeguata da garantire un primo soccorso ai cittadini che hanno dovuto lasciare le proprie abitazioni, resta da capire quanto durerà la loro sistemazione. “I prossimi quindici giorni saranno cruciali per scongiurare l’insorgere di epidemie e infezioni”, ha dichiarato Rusmir Mesihović, il ministro della Sanità della Federacija, che ha precisato: “È importante che, nelle aree colpite dalle inondazioni, le persone non bevano l’acqua delle condutture. È importantissimo per evitare contaminazioni e infezioni”, soprattutto l’epatite A.
A rendere più fosco lo scenario è infine l’allarme, lanciato dal Mine action center di Bosnia Erzegovina (BHMAC) sulla concreta possibilità che alluvioni e smottamenti possano aumentare sensibilmente l’esposizione dei cittadini ai campi minati, ancora molto presenti nel paese all’indomani della guerra degli anni novanta, in particolare nel territorio maggiormente colpito dalle inondazioni, ovvero la zona di Doboj, Maglaj, Olovo, il cantone Una-Sana e la Posavina bosniaca.
All’inizio, il problema era che l’acqua aveva rimosso la segnaletica relativa a numerosi campi minati già registrati e individuati dalle autorità bosniache. Ora la situazione è molto più seria, dal momento che le acque potrebbero avere trasportato gli ordigni in nuove zone. “Ci è già capitato, in questi giorni, di trovare delle mine in aree dove non ci sono mai state prima”, ha dichiarato Saša Obradović, un funzionario del BHMAC, all’agenzia di stampa AP : “sminatori verranno immediatamente utilizzati nelle aree più colpite, per trovare un rimedio a questa emergenza”.
Il problema, tuttavia, potrebbe non riguardare solamente la Bosnia Erzegovina: “A causa delle enormi quantità d’acqua che si sono riversate nel nostro territorio, è possibile che le mine vengano trasportate fino al Djerdap [in Serbia], ma anche fino al Mar Nero”, ha dichiarato ad ‘Aljazeera Balkans’ Fikret Smajiš, capo dell’ufficio regionale del BHMAC. “Si tratta di una situazione molto particolare, perché evidentemente qui non si parla più di semplici campi minati, ma piuttosto di ordigni inesplosi, che pertanto ricadono nella giurisdizione della protezione civile. In questo momento non siamo capaci di fare delle chiare previsioni sul nostro lavoro. Quello che è chiaro, per ora, è che le regioni più colpite sono quelle attorno a Maglaj e Doboj. Invitiamo pertanto la cittadinanza a usare la massima cautela, quando ritornerà nelle proprie case e ricomincerà a ripulire la città”.
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