Dedicato alle conseguenze delle guerre jugoslave, attraverso le storie di due generazioni di persone che hanno vissuto come rifugiati gran parte della loro vita, il corto documentario "Reznica", dopo l’anteprima italiana al "Pordenone Docs Fest" e quella al festival internazionale di documentari di Belgrado "Beldocs", avrà due importanti proiezioni in nord Italia
“Io mi paragono ad un albero. La guerra ha tagliato... il tronco, le radici sono rimaste a Tuzla.
Questo tronco l’ho portato con me in qualche modo e ho cercato di mettere radici in Serbia.
Anche solo una radice... per sentirmi viva.”
Queste le parole di Mirjana Vučković che aprono il cortometraggio documentario Reznica, un film che non parla delle guerre jugoslave, ma delle loro conseguenze e di come, a distanza di 30 anni, per molte persone sia ancora difficile trovare un posto che si possa chiamare casa. Mirjana e Borislav, i protagonisti del film, rappresentano due generazioni di persone che hanno vissuto come rifugiati gran parte della loro vita, spostandosi da un centro di accoglienza all’altro o crescendoci fin da bambini.
Mirjana è nata a Tuzla, in Bosnia ed Erzegovina. Ha abbandonato la sua città nel 1992, fuggendo coi figli in Serbia, Stato che molti esuli di allora consideravano come madrepatria. Uno Stato che li ha dimenticati nei centri di accoglienza per quasi trent’anni, almeno fino a quando le più recenti politiche migratorie per affrontare i flussi sulla Balkan Route non hanno portato il governo serbo a utilizzare quegli stessi centri per ospitare le persone provenienti dall’Asia e dall’Africa, e a ricollocare i rifugiati e le rifugiate degli anni ’90 in altre soluzioni abitative.
In quegli stessi campi, nell’arco di una generazione, sono nati e cresciuti molti bambini. Borislav è uno di loro. Nato nel 1999 da padre bosniaco e madre croata, conosciutisi in un centro di accoglienza in Serbia. Borislav rappresenta tutti quei ragazzi che vivono uno sdoppiamento, una confusione identitaria, legata al fatto di essere nati in Serbia, di sentire un’appartenenza, ma di sapere di provenire da un’altrove sofferente e doloroso.
In questo senso, Mirjana e Borislav rappresentano due sguardi, uno verso il passato e l’altro verso il futuro. Sono punti di vista che ci interrogano su cosa vuol dire sentirsi a casa e su quali politiche possono favorire o meno un processo di (ri)appropriazione di benessere, di legami e di relazioni sociali (homing), così come possono facilitare la costruzione di un ambiente abitativo che chiamiamo casa.
Queste due storie, insieme a quelle di Rade, Goranka, Dražan e Fikreta, sono approfondite in un omonimo libro fotografico realizzato da Marco Carmignan, Davor Marinković e Lorenzo Scalchi. Il progetto ha preso avvio nel 2019, dopo un reportage sulla Balkan Route, con un finanziamento di National Geographic che ha supportato la ricerca sul campo, il design grafico e la stampa del libro. Il film è stato prodotto da Baboon Production con il supporto di Film Center Serbia.
Reznica è stato presentato al 28° Sarajevo Film Festival, nella sezione Dealing with the Past, che ha come obiettivo quello di suscitare un dialogo su temi ancora difficili da affrontare nell’area post-jugoslava. Dopo l’anteprima italiana al Pordenone Docs Fest e quella serba al Beldocs, il pubblico italiano potrà vedere il film, e discuterne con gli autori, in due occasioni.
Il 16 giugno 2023, ore 21.00, a Forte Sofia (Verona), Reznica sarà proiettato durante la rassegna per la Giornata Internazionale del Rifugiato, organizzata da One Bridge to Idomeni, una conferenza che vedrà tra i relatori Giorgio Fruscione (ISPI), Chiara Martini (Università di Milano e One Bridge to Idomeni) e Chiara Milan (Scuola Normale Superiore).
Il 29 giugno, alle 21.30, il film verrà proiettato presso la suggestiva cornice di Villa Selvatico di Battaglia Terme (Padova), in concorso internazionale all’Euganea Film Festival. Questa 22esima edizione del festival che si svolge lungo i Colli Euganei, ha come focus la sostenibilità, la ruralità e le culture dei popoli, gli sguardi che conducono a riflettere sulle nostre identità, sulle differenze culturali e sull'importanza di una visione globale, processi che dovrebbero essere intrisi di una profonda dimensione di cura, ascolto e dedizione.