Sono moltissimi i giornalisti per le cui uccisioni non si è trovato colpevole. Un report del Comitato per la Protezione dei Giornalisti si somma ora alle denunce dell'Osce in occasione della giornata internazionale per la fine dell'impunità
Link: Radio Free Europe
Quando c'è caos nelle strade, i giornalisti sono sempre tra i primi bersagli di attentati mortali. L'Ucraina non è una eccezione. Sette giornalisti e i loro assistenti sono stati uccisi solamente nei primi sei mesi di quest'anno, quando entrambe le parti hanno cercato di eliminare i testimoni oculari e le voci di dissenso.
Tra loro, Vyacheslav Veremiy, un reporter del giornale “Vesti” di Kiev, che è stato colpito a morte dopo aver filmato dei sostenitori dell'ex presidente ucraino Viktor Yanukovich il 19 febbraio scorso. Sergei Dolgov, editore del giornale russofilo chiamato “Khochu v SSSR” (“Voglio essere in URSS”), è stato invece ucciso da alcuni rapitori non identificati il 19 febbraio nei pressi di Dnipropetrovsk.
Il fatto che nessuno dei loro assassini siano stati identificati e messi a processo è sintomatico. Un nuovo report reso pubblico lo scorso 28 ottobre sottolinea che nel mondo più del 90% tra coloro che uccidono dei giornalisti non affrontano mai la giustizia.
Il report, scritto dal Comitato per la Protezione dei Giornalisti (Cpj), un'organizzazione non-profit con sede negli USA e promotrice della libertà di stampa, arriva in occasione della giornata annuale per la fine dell'impunità dichiarata dalle Nazioni Unite il 2 novembre contro coloro che uccidono i giornalisti.
Secondo il report, nel mondo negli ultimi dieci anni 370 giornalisti sono stati uccisi come diretta ritorsione per il lavoro che svolgevano. La vasta maggioranza non era corrispondente di guerra, ma giornalisti locali che si occupavano di corruzione, criminalità, diritti umani e politica.
L'autore del report ha notato che “gruppi criminali, governi e ufficiali militari, milizie illegali, gruppi paramilitari e altri” uccidono deliberatamente i giornalisti allo scopo di instaurare un clima di paura tale da non permettere ai media di fare reportage sulle loro attività.
Il fatto che nove volte su dieci, nessuno - dai mandanti agli esecutori dell'omicidio - venga accusato per il crimine commesso aiuta soltanto a perpetuare le violenze. In molti casi, “i giornalisti non hanno altra scelta se non quella di censurarsi o di andare in esilio”, annota il report.
“Attacchi mirati ai media non hanno fatto comprendere al mondo la vera dimensione della violenza in Siria, del traffico di droga in Messico, dell'influenza militare in Pakistan e della corruzione in Russia”.
Il report ci spiega che l'impunità di cui godono gli assassini è in qualche caso dovuta alla mancanza di volontà politica e, in altri casi, alle guerre. Si afferma che i killer sono abili nell'evitare le persecuzioni giudiziarie grazie alla corruzione, all'influenza politica, all'intimidazione e alla scarsa applicazione della legge. Di fronte alla giornata internazionale per la fine dell'impunità di quest'anno, il rappresentante Osce per la libertà dei media, Dunja Mijatovic, ha invitato gli stati membri Osce ad "adottare misure reali per rintracciare e perseguire coloro che commettono crimini contro i giornalisti".
Mijatovic, in una dichiarazione rilasciata il 30 ottobre, ha detto che “la volontà politica di confrontarsi sul tema dell'impunità è semplicemente troppo bassa; in alcuni casi, addirittura inesistente. La retorica non è sufficiente: sono necessarie delle azioni concrete per rompere il ciclo di impunità.”
Mijatovic ha inoltre fornito una lista parziale di prominenti giornalisti, i cui assassini o i mandanti degli omicidi non sono mai stati messi sotto giudizio: tra questi, il serbo Slavko Curuvija (1999); l'ucraino Georgy Gongadze (2000), nato in Georgia; il serbo Milan Pantic (2001); la bielorussa Veronika Cherkasova (2004); il montenegrino Dusko Jovanovic (2004); l'americano Paul Klebnikov (2004), che era corrispondente a Mosca; l'azero Elmar Huseynov (2005) la russa Anna Politkovskaya (2006); l'uzbeko Alisher Saipov (2007); il turco-armeno Hrant Dink (2007); i russi Natalya Estemirova (2009), Khadzhimurad Kamalov (2011) e Akhmednabi Akhmednabiyev (2013).
Questa pubblicazione è stata prodotta con il contributo dell'Unione Europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto Safety Net for European Journalists. A Transnational Support Network for Media Freedom in Italy and South-east Europe.
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