Dopo che per 40 anni le cooperative agricole sono state l'incubo di migliaia di lavoratori albanesi, un nuovo fenomeno sta riemergendo, quello delle nuove cooperative "volontarie" come unica alternativa possibile alla carità delle organizzazioni internazionali e alla liberalizzazione selvaggia
Di: Fatos Çoçoli, per Gazeta Panorama, 18 luglio 2006
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Lucia Pantella
La cooperativa "Viticoltori della Zadrima", nella provincia di Scutari, nel nord dell'Albania, ha presentato al pubblico alcuni giorni fa la propria nascita e i propri prodotti (in particolare il vino tipico di queste zone). È la prima cooperativa agricola creata in Albania negli ultimi 20 anni, dopo il collasso del progetto comunista quarantennale (1946-1986, con l'ultima cooperativa di Krutjes) delle cooperative agricole forzate. In considerazione di quanto avvenuto nel recente passato, qualcuno potrebbe pensare: "Di nuovo le cooperative?"
Questa nuova creatura, in realtà, nasce dall'unione volontaria di circa 30 agricoltori delle campagne di Scutari e Lezhe, al fine di mitigare l'aumento dei costi delle vigne e della produzione di vino e restare nel mercato delle vendite in un'Albania scombussolata da liberi vini e dalla concorrenza italiana, macedone e greca.
La cooperativa è intesa chiaramente come l'unione volontaria dei suoi soci, come unica via di uscita per la nostra agricoltura sulla base della riduzione dei costi e dell'aumento dei profitti. Tutti gli agricoltori dei paesi vicini, macedoni, montenegrini, per non parlare dei greci e degli italiani, hanno a disposizione una superficie di terreno da 3 a 10 volte più vasta della media albanese per famiglia. In questa situazione di mancanza di terra, gli agricoltori albanesi non hanno dunque nessun'altra scelta se non quella di unirsi nella produzione.
Finora le poche cosiddette società agricole sono state create "zoppe". Queste infatti sono state finora create grazie ai finanziamenti delle fondazioni internazionali o ai programmi dei donatori, i quali elargiscono alcune limitate risorse finanziarie agli agricoltori, in cambio della loro unione in organizzazioni, registrate con la sigla OJF corrispondenti alle nostre organizzazioni no-profit, ndt.
Una vera e propria assurdità, dal momento che gli agricoltori di tutto il mondo, se decidono ci cooperare (spesso prendendo il nome di cooperative sia in America che in Europa), è perché intendono aumentare i profitti del loro lavoro. E non è possibile che queste strutture vengano chiamate organizzazioni senza scopo di lucro. In questo senso la legislazione albanese è zoppa e manca di una precisa strategia, così come senza strategia sono le iniziative di milioni di euro spesi per finanziarie decine, anzi, centinaia di progetti per l'agricoltura albanese negli ultimi 15 anni.
Gli agricoltori albanesi non hanno bisogno dei consulenti stranieri che vengono dalle grandi città con i loro fuoristrada, ne' degli stessi colletti bianchi albanesi, che fanno dei bei discorsi, che cenano piacevolmente nel pittoresco paesaggio campestre, e che illustrano quale debba essere l'interesse degli agricoltori locali. E quando gli stranieri (siano essi la FAO, la Cooperazione Italiana, o la GTZ) affermano la necessità di lavorare insieme, i nostri contadini seguono le loro indicazioni non per convinzione ma per prendere i piccoli regali della comunità internazionale. Questo è anche il motivo per cui la maggior parte dei progetti termina subito, e queste organizzazioni svaniscono con la stessa rapidità con cui sono nate. Questo tipo di cooperazione nel settore dell'agricoltura può resistere nel tempo solo se l'iniziativa parte dai nostri agricoltori e dalle loro esigenze reali.
In Albania sono 400.000 (non è possibile chiamarle fattorie, dal momento che il concetto di fattoria implica che si posseggano almeno alunni ettari di terra) coloro che si dedicano alla coltivazione della terra. Perciò è da ammirare il coraggio degli agricoltori della zadrima che hanno deciso di costituire la loro "cooperativa", con tutte le pesanti implicazioni che questo nome porta con se', retaggio inevitabile del passato comunista. Lasciamo che la loro audacia e la loro iniziativa gettano le basi per una nuova rinascita dell'agricoltura albanese.
Nelle attività della cooperativa "Viticoltori delle Zadrima" è coinvolto anche il nostro ministro dell'Agricoltura. Per i settori tradizionali della produzione agricola albanese, come quello dell'uva e del vino, delle olive, dell'olio d'oliva, del miele, è giunto il momento che il governo albanese avvii dei programmi di finanziamento e tutela. Perciò, questa è la prima cosa che il governo deve fare per stimolare gli agricoltori a produrre di più. E perché non provare fin dalla seconda metà di quest'anno (attraverso i fondi del bilancio dello stato, dalle entrate maggiori provenienti dai dazi doganali) destinando due milioni di euro direttamente ai nostri agricoltori.
È chiaro che questi interventi richiedono un'attenzione particolare, una trasparenza nella gestione e un impegno sincero da parte delle strutture statali, affinché non si lasci spazio a possibilità di abuso e di illeciti. Altrimenti il processo rischia di essere compromesso fin dall'inizio, mettendo seriamente a repentaglio le possibilità di sviluppo della nostra agricoltura, così come viene richiesto da Bruxelles.
Eppure è necessario provare.
Il nostro Ministro dell'Agricoltura ha a disposizione gli specialisti necessari alla costruzione di uno schema realista di sovvenzioni e di aiuto a sostegno dell'agricoltura. Lo stesso premier oggi potrebbe fare molto di più affinché questo dicastero intraprenda delle misure coraggiose ed efficaci. "Audace e felice", direbbe il proverbio corretto per l'occasione, che si adatta meglio allo stato dello sviluppo moderno del paese. Con la rapida apertura dell'Albania, attraverso l'implementazione dell'Accordo di Associazione e Stabilizzazione con l'Unione europea, quel settore lasciato indifeso rischierebbe di essere colpito e spazzato via dalla stessa concorrenza dei prodotti sovvenzionati da Bruxelles, come l'agricoltura.
In questa fase, le cooperative (ovviamente nel senso attuale, e non in quello comunista) albanesi potrebbero essere l'unica ancora di salvezza.
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