Agricoltura e prodotti tipici. La valorizzazione del territorio nel sud-est Europa si scontra in parte con le normative dell'UE. Alcuni produttori lavorano con partner italiani per tutelare e sviluppare prodotti di qualità
L'ONG toscana Ucodep è impegnata da alcuni anni nel sostegno delle produzioni tradizionali, in particolare nell'ambito dell'agricoltura di qualità. Nei Balcani, ha cominciato in Albania con alcuni piccoli interventi nel settore dell'apicoltura nella regione della Zadrima, nel nord del paese. Oggi, grazie alla collaborazione del Ministero degli esteri, della Regione Toscana e di diversi enti locali italiani e balcanici, il lavoro di salvaguardia e sviluppo di prodotti tipici si è esteso anche ad altre aree dell'Albania, all'Erzegovina e alla Macedonia.
Sorinel Ghetau, coordinatore di Ucodep per il sud-est Europa, ci illustra le potenzialità del settore, le difficoltà nell'adozione della normativa europea e le speranze verso opportunità tutte da cogliere.
Quando avete cominciato ad operare in questo specifico settore?
UCODEP lavora in questo ambito da diversi anni, abbiamo cominciato con alcune iniziative simili in altri paesi nel mondo come l'Ecuador e la Repubblica Dominicana. In Albania abbiamo iniziato nel 2002 con piccoli progetti finanziati da Regione Toscana e Friuli Venezia Giulia, a cui poi è seguito un intervento di sviluppo dell'apicoltura nel Distretto di Lehze sotto cui ricade l'area di Zadrima. Si tratta di un progetto di salvaguardia di un miele caratteristico di quell'area, realizzato assieme ad altri partner italiani che già lavoravano nel settore specifico della lavorazione delle produzioni tipiche. Tra essi la Provincia di Arezzo, la Regione Toscana e l'Agenzia Regionale di Innovazione per lo sviluppo agricolo e forestale (ARSIA).
Inoltre, a quest'ultimo progetto stiamo legando una nuova proposta, che presenteremo a breve, da realizzarsi nella Valle del Teth - una zona di montagna a nord di Scutari - che prevede un programma integrato: sostegno alle attività artigianali, alle produzioni tipiche e interventi di valorizzazione del territorio nel suo complesso.
Più tardi avete esteso le attività alla Bosnia Erzegovina...
Tutto è nato nel 2004 quando un rappresentante della Provincia di Arezzo intervenne a Livno in occasione di un seminario sul tema specifico delle produzioni agricole tradizionali e sulla valorizzazione dei territori. Vari nostri partner dell'Erzegovina accolsero il seminario con grande entusiasmo e dunque decidemmo di avviare il lavoro di mappatura delle risorse di quell'area che ci ha portato a realizzare degli strumenti di promozione come la guida cartacea "Sapori d'Erzegovina" e il relativo sito.
Lavorando con diversi soggetti locali, dai produttori agli enti locali e tanti altri, si è arrivati a mappare un centinaio di prodotti. La mappatura è stata un lavoro importante, perché ci ha permesso di capire che il concetto della valorizzazione dei prodotti tipici era praticamente sconosciuto: non c'era consapevolezza né di che cosa significasse in astratto, né di quali fossero i prodotti tipici del territorio. Abbiamo poi avviato un progetto pilota con alcuni produttori di 'formaggio nel sacco' di Nevesinje e di miele nell'area di Trebinje e, nel 2008, un altro progetto finanziato dal Ministero degli affari esteri, di valorizzazione della produzione vitivinicola nell'area di Stolac e Buna.
La Bosnia Erzegovina incontra ancora a diversi ostacoli rispetto l'esportazione di prodotti alimentari. Cosa si sta facendo in questo campo?
Per recepire le normative che permetteranno il suo accesso all'Unione europea, la Bosnia Erzegovina si sta concentrando sull'adozione di un sistema di controlli igienico-sanitari che garantisca la sicurezza del consumatore. Dunque nel paese si vive come problema principale da risolvere l'attuale impedimento all'esportazione di qualsiasi prodotto di origine animale verso l'Europa, un problema legato alla messa in opera di controlli veterinari e di certificazione di qualità del prodotto secondo standard europei.
Ritengo che tutto questo sia giusto, affinché sia garantita la salute del consumatore. D'altro canto, concentrarsi solo su questo ambito, significa salvaguardare gli interessi di una sola parte del settore agricolo, cioè quella della produzione industrializzata che fa capo a grandi imprese agricole. Se però volgiamo lo sguardo verso il territorio e verso il suo grande potenziale, in termini di produzioni tipiche, constatiamo che esse non vengono ancora prese in debita considerazione, come invece accade in Italia o in altri paesi membri.
Mi spiego meglio. Esistono delle deroghe alle normative generali europee sugli standard igienico-sanitari, consentite solo per i prodotti tradizionali. Paesi come l'Italia, la Francia e altri paesi si sono adoperati per ottenere tali deroghe al fine di tutelare le proprie produzioni tradizionali. La Bosnia Erzegovina al momento sembra essere orientata a recepire la normativa europea sulla sicurezza alimentare in maniera estremamente restrittiva, senza prendere in considerazione tutta una serie di possibilità che la legislazione offre per tutelare le produzioni tradizionali.
Quali sono i motivi di questo orientamento?
Innanzitutto ritengo manchi una riflessione approfondita sulle potenzialità del paese e sulle opportunità che determinati prodotti possono creare in termini di sviluppo economico. D'altra parte, c'è la volontà di portare al più presto il sistema nazionale agli standard che consentiranno alle produzioni industriali del paese di poter circolare in maniera regolare sia sul mercato interno sia su quello internazionale. Tuttavia, focalizzarsi solo su questo rischia di far "perdere un treno" che dovrà essere ripreso da zero, fra 15-20 anni, come è già successo in Italia, dove abbiamo dovuto lavorare sulla valorizzazione delle aree rurali svantaggiate e delle produzioni tradizionali dopo che erano sparite totalmente, o quasi.
Invece, in Bosnia Erzegovina c'è ancora la possibilità di salvaguardare da subito ciò che esiste ed evitare gli errori fatti in passato in vari paesi dell'Unione europea.
I soggetti locali con cui lavorate sono consapevoli del problema? Riescono ad influenzare le politiche dei propri rappresentanti locali e nazionali?
Nelle aree in cui stiamo intervenendo essi sono in gran parte sensibilizzati e consapevoli del problema. Si stanno muovendo, ciascuno con propri mezzi o possibilità, affinché le misure di sostegno e di tutela siano recepite anche a livello normativo. Siamo ancora ai primordi di questi passaggi. C'è da fare un grande lavoro di lobby all'interno dell'Agenzia per la sicurezza alimentare, organo che sta elaborando le normative generali da adottare. Stiamo già ottenendo, ad esempio, che nel caso del formaggio venga prevista la possibilità di produrre con latte crudo: sempre secondo le possibilità legislative offerte dall'Unione europea e rispettando regole anche più restrittive rispetto al latte pastorizzato, però almeno consentirlo.
Piccoli passi ma importanti, a dimostrazione che i territori con cui lavoriamo si stanno muovendo in maniera compatta in questa direzione e stanno assumendo una certa capacità di incidere sulle politiche del paese "dal basso".
Operare in più aree del sud-est Europa vi ha permesso di portare di recente in Italia molti produttori coinvolti nei vostri programmi. Anche questo è servito a rafforzare le loro istanze?
E' successo all'edizione 2008 di Terra Madre, evento organizzato da Slow Food, giunto alla terza edizione e tenutosi quest'anno a Torino tra ottobre e novembre in occasione del Salone del Gusto e poi a Firenze durante Terra Madre Toscana, dove UCODEP ha anche partecipato all'organizzazione.
Sono stati molti i prodotti dell'Albania, della Bosnia Erzegovina e della Macedonia, presentati dai delegati delle comunità rurali con le quali UCODEP collabora. Per la Bosnia Erzegovina, insieme ai produttori del miele di Trebinje, del formaggio nel sacco dell'Erzegovina, del formaggio di Livno, dei fagioli Poljak, delle prugne di Gorazde, già presenti all'edizione del 2006, hanno partecipato anche i produttori del formaggio di Travnik e quelli di frutta e verdura biologica dell'Erzegovina. Dall'Albania, oltre ai produttori di miele della Zadrima, sono venuti produttori di formaggio, farina e miele della regione montana del Teth.
Per la prima volta, inoltre, è stata rappresentata anche la Macedonia, dove abbiamo appena avviato un progetto triennale di tutela ambientale, sviluppo economico e promozione del turismo eco-sostenibile nel Parco Nazionale di Mavrovo. Grazie alla collaborazione con la fondazione "Janecka Klina" e al "Convivium Slow Food" di Skopje, hanno partecipato produttori di miele e castagne della regione di Porecie, di funghi e miele della regione di Povadarije-Tikvesh, dei formaggi feta e Kashkaval della valle di Radika.
La loro presenza numerosa ha sicuramente rappresentato una tappa importante, non solo simbolica. E' stata un'occasione per far sentire ai responsabili delle politiche agricole europee la voce di coloro che, in vista della prossima integrazione, intendono sostenere strategie e modelli di sviluppo rurale a tutela degli interessi delle aree più svantaggiate, proteggendo le produzioni tipiche e promuovendo la diversificazione delle attività generatrici di reddito.
Quindici anni di cooperazione italiana nei Balcani hanno insegnato che la frammentarietà, la mancanza di coordinamento e il basso livello di riflessione sull'impatto degli interventi, li rende scarsamente sostenibili. Esiste oggi una collaborazione tra attori della cooperazione italiana sia nella fase di progettazione, sia in quella di realizzazione e sviluppo?
Fino a poco tempo fa la cooperazione italiana, sia quella decentrata che quella bilaterale diretta o la cooperazione attraverso le ONG, era vista - anche a ragione - come una cooperazione a pioggia con interventi disorganizzati e non coordinati. Oggi nel settore agricolo, anche grazie al lavoro svolto da Aldo Sicignano responsabile dell'Unità Tecnica Locale (UTL) dell'Ambasciata italiana a Sarajevo, si sta cercando di cambiare. L'UTL si è assunta il ruolo di facilitatore da un lato per favorire la circolazione costante delle informazioni e dall'altro per sostenere le relazioni tra i soggetti italiani che operano sul territorio bosniaco. Inoltre, questa modalità di lavoro si sta sviluppando anche in altre UTL del sud-est Europa e i programmi ne beneficiano.
Per fare un esempio, di recente sono venuti in missione in Bosnia Erzegovina rappresentanti dell'Istituto Agronomico Mediterraneo di Bari in relazione ad un programma di assistenza tecnica per la riconversione dei servizi pubblici all'agricoltura. L'UTL si è adoperata per organizzare degli incontri tra l'Istituto e tutti i soggetti presenti sul territorio. Abbiamo così avuto la possibilità di offrire ai rappresentanti dell'Istituto degli stimoli utili all'impostazione del loro programma, che oltretutto prevede il coinvolgimento degli attori locali con cui noi lavoriamo.
Ritengo però che andrebbe legato ad un lavoro di coordinamento fatto dalla sede di Roma, ancora non completamente efficace. Bisogna ammettere comunque che attraverso questo coordinamento in loco si è arrivati a dei primi risultati concreti: ad esempio con l'inizio della seconda fase progettuale di "SEENET" già approvata e che si avvierà nei prossimi mesi, che vede la Regione Toscana capofila e il forte coinvolgimento di altre Regioni italiane e della Provincia autonoma di Trento. Rispetto a quest'ultima, ad esempio, lavoreremo in collegamento con il programma di turismo sostenibile e sostegno alle produzioni locali in Serbia, su cui sta lavorando il Tavolo trentino con Kraljevo.
In ultimo, ho constatato che la volontà e la capacità di lavorare in maniera concertata è più intensa tra coloro che operano in loco. Per il futuro, auspicherei lo sviluppo di un sistema che preveda in Italia una maggior considerazione delle esigenze locali. Cioè che Regioni, Enti Locali o chiunque stia facendo cooperazione decentrata, parta dagli input provenienti da chi sta sul terreno da tempo e con costanza e dai partner locali con cui essi lavorano.
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