Vent'anni di cooperazione, solidarietà e sviluppo attraverso l'esperienza di Caritas. Due recenti report affrontano il passato e il futuro delle relazioni territoriali fra Italia e Balcani
Due recenti report hanno analizzato, attraverso l'esperienza Caritas, il lavoro che il volontariato e la cooperazione italiana hanno svolto negli ultimi anni nei Balcani e le sue prospettive future. Il primo, "La solidarietà dei genovesi: l'esperienza nei Balcani", è dedicato a un bilancio del volontariato ligure dalla prospettiva di chi ha lavorato durante e dopo i conflitti degli anni Novanta. Il secondo, "Prospettive e strategie per lo sviluppo del settore agricolo in Bosnia e Erzegovina, sulla base dell'esperienza dei progetti Caritas", raccoglie valutazioni e riflessioni sulle strategie per lo sviluppo rurale.
La ricerca "La solidarietà dei genovesi: l'esperienza nei Balcani", presentata il 20 aprile 2009, si propone di fare un bilancio della partecipazione di volontari, organizzazioni religiose e civili della provincia di Genova che hanno costruito relazioni, progetti e interventi a partire dal 1992, documentandone il patrimonio di energie, conoscenze, attività, storie e fotografie. L'indagine quantitativa ha raccolto, attraverso una serie di questionari, dati sul profilo e le caratteristiche dei partecipanti, il radicamento nel tessuto del volontariato, la tipologia di partecipazione, le conseguenze personali e una valutazione dell'esperienza vissuta. Il progetto utilizza categorie temporali e memoriali per tracciare una riflessione socio-antropologica sull'esperienza e sul profilo di volontarie e volontari durante la guerra, la crisi del Kosovo e il periodo post-conflitto.
Dall'indagine emerge un profilo di persone in età matura, con formazione universitaria (il 63% detiene una laurea) e già occupate, che hanno partecipato ad esperienze organizzate tramite una pluralità di associazioni o hanno operato a livello individuale; gli anni di conflitto più intenso vedono una prevalenza maschile, con un sorpasso femminile a partire dal 2000. Il paese nel quale si è concentrata maggiormente l'attività dei volontari genovesi è la Croazia; seguono Bosnia, Albania, Serbia e Kosovo. Alla ricerca quantitativa si accompagna la raccolta di storie di vita, prassi ed esperienze personali mirate alla comprensione e ricostruzione dell'esperienza di volontariato. La riflessione che ne emerge mette in luce le motivazioni solidali, conoscitive, relazionali ed esperienziali di volontarie e volontari, nonché il ruolo di questa esperienza nel loro percorso di vita. Ad esempio, l'opportunità di vedere da vicino le conseguenze di un conflitto risulta una motivazione importante soprattutto per chi è partito durante la crisi del Kosovo, mentre chi si è recato in ex Jugoslavia durante il periodo della guerra e in
anni più recenti è stato mosso maggiormente da spinte relazionali, vale a dire dalla possibilità di conoscere persone, realtà e posti nuovi. In oltre la metà dei casi, la prima esperienza di volontariato ha portato ad un coinvolgimento reiterato o a una professionalizzazione dell'interesse per i Balcani nell'ambito della ricerca o della cooperazione: i Balcani hanno rappresentato per queste persone un'occasione di apertura verso il mondo internazionale. L'esperienza del volontariato ligure durante il conflitto ha quindi costituito, nelle proprie molteplici forme, un vero e proprio test di cooperazione decentrata che ha posto le basi di relazioni radicate e durature.
Il report "Prospettive e strategie per lo sviluppo del settore agricolo in Bosnia e Erzegovina, sulla base dell'esperienza dei progetti Caritas" si concentra invece in modo specifico sul settore dello sviluppo rurale attraverso il lavoro svolto dalla Caritas Italiana dai primi anni Novanta. Le prime esperienze del progetto nascono infatti dalla necessità di aiutare i profughi interni a tornare nelle loro case. I programmi di emergenza delle istituzioni internazionali umanitarie non includevano l'agricoltura nello scenario di intervento post emergenziale. A fronte di questa lacuna, Caritas si è proposta di sostenere la promozione socio-economica attraverso lo sviluppo agricolo, agro-alimentare e zootecnico, sostenendone l'evoluzione da un'agricoltura di sussistenza verso attività svolte professionalmente, orientate al mercato, in un'economia di scala che si allarghi e includa le istituzioni locali.
Questo processo partito sulla falsariga tradizionale dell'aiuto umanitario di emergenza si è gradualmente sviluppato evolvendosi, dal 2000 ad oggi, in un programma integrato di intervento sociale e formativo finalizzato alla riabilitazione e allo sviluppo delle attività agricole nell'area della Bosnia Erzegovina. In questo ambito, i progetti hanno coinvolto il recupero tecnico-professionale dei giovani in aree a vocazione rurale, la formazione e la riabilitazione di attività agricole di aziende familiari. Dal rapporto emerge un bilancio di risultati e difficoltà del lavoro svolto: da un lato, la riduzione della percezione di insicurezza collegata a una migliorata capacità di auto-sostentamento, la riattivazione di legami interpersonali tra i nuclei famigliari attraverso il rientro nelle aree d'origine e il miglioramento del livello di meccanizzazione agricola (che ha permesso il mantenimento nel tempo dell'attività agricola come fonte di reddito familiare e come scelta di sviluppo sostenibile nel tempo); dall'altro, il fallimento di un'associazione locale istituita in seguito all'avvio di un progetto e relativa dispersione dei fondi, il mancato coinvolgimento e responsabilizzazione delle municipalità locali e il sostanziale disinteresse dei giovani. In generale, si segnala l'esigenza di uscire da un'ottica di "progetto", entrando in una prospettiva di "processo", ovvero di una modalità operativa costante e di medio-lungo periodo; analizzare con continuità le povertà esistenti nel paese evitando dunque risposte "universalistiche"; puntare allo sviluppo comunitario in un'ottica di sostenibilità.
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