La presidenza slovena dell'UE promuove un appello affinché le organizzazioni della società civile divengano reali protagoniste del policy making, sia a livello nazionale che europeo. Il primo di due articoli
In un convegno internazionale tenutosi a Brdo, una splendida località a 30 km a nord dalla capitale, la Slovenia ha accolto all'inizio di aprile 140 rappresentanti delle organizzazioni non governative e dei governi di: balcani occidentali, paesi orientali della Politica Europea di Vicinato, Federazione Russa e Turchia. Obiettivo, aprire un dibattito a livello europeo sulla necessità di dar voce alla società civile.
Con la "Ljubljana Declaration", la Presidenza Slovena si fa portavoce presso Bruxelles delle esigenze dei popoli dell'Est Europa, invitando le istituzioni dell'Unione Europea e i governi nazionali ad ascoltare i cittadini, sviluppare una strategia di sostenibilità sociale a lungo termine, mettere in pratica il principio di partenariato e rafforzare il potere d'azione delle ONG locali.
Il documento stilato a Lubiana è il risultato di due giorni di discussione e confronto tra i partecipanti al convegno: diplomatici, membri di organizzazioni non governative, ministri e commissari europei provenienti da sedici paesi attualmente candidati a Schengen, o aspiranti a negoziare il proprio ingresso, oppure paesi inclusi nella politica di vicinato.
L'intesa auspicata è stata infine raggiunta nel tentativo di formulare, fuori dalle relazioni ufficiali dei singoli governi con l'UE, un appello comune sottoscritto da Croazia, Serbia, Bosnia Erzegovina, Macedonia, Montenegro, Albania, Russia, Moldavia, Bielorussia, Ucraina e Turchia, a cui si è aggiunta la presenza e il relativo apporto di Polonia, Slovacchia, Ungheria, Kosovo e Repubblica Turca di Cipro Nord.
Un appello affinché l'UE includa nei suoi programmi la società civile, che «deve cominciare a giocare un ruolo più importante nel promuovere la democrazia e i diritti umani, nel costruire la stabilità delle aree geografiche ai margini dell'Europa e nel partecipare al processo di riforme politiche ed economiche del proprio paese», secondo uno dei principi firmati dagli 11 paesi.
Organizzato da CNVOS (Centro per l'informazione, la cooperazione e lo sviluppo delle ONG) e ECAS (European Citizen Action Service), il convegno sloveno apre un percorso che avrà le sue tappe successive nei prossimi mesi con workshops dedicati allo stesso tema, fino all'incontro conclusivo che si svolgerà a Zara tra 25 e 26 settembre 2008.
Incrementare la partecipazione pubblica, migliorare l'accesso all'informazione, favorire le ONG più piccole e quelle situate nelle aree periferiche più remote, affinché ricevano supporto e sviluppino i loro microprogetti, creare una rete di collegamento sovranazionale dove si inseriscano tutte le organizzazioni della società civile, dando vita a una coalizione che diventi un interlocutore unico di fronte all'Unione Europea: sono queste alcune delle raccomandazioni indirizzate alle istituzioni attraverso il documento conclusivo.
«Dopo un decennio o più di sperimentazione e progetti che hanno portato a un significativo sviluppo delle ONG, questa comunità deve adesso divenire protagonista nel fare politica, sia a livello nazionale che europeo», recita la Dichiarazione nelle sue premesse. E prosegue: «Le organizzazioni rappresentanti della società civile esprimono la loro volontà di lavorare insieme alle istituzioni europee ai governi nazionali in modo da stabilire meccanismi strutturati e trasparenti per la cooperazione, adattati alle specificità di ogni paese».
Insistendo sul nuovo ruolo che le ONG si sono ritagliate, il documento sancisce che «le organizzazioni della società civile dovrebbero essere trattate come partner attivi nella valutazione e nella pianificazione nazionale con l'assistenza esterna dell'UE, e non solo come potenziali beneficiari di fondi, così come insegna l'esperienza positiva dei nuovi stati membri dell'UE, dove una rapida capacità costruttiva ha creato una valida piattaforma per le organizzazioni della società civile che permette loro di avere un più ampio accesso alle risorse dell'Unione».
La conferenza tenutasi lo scorso autunno a Bruxelles, intitolata New external financial instruments - new opportunities for civil society in the EU neighbourhood, aveva focalizzato l'attenzione sul potenziale impatto di un più forte coinvolgimento della società civile nel monitoraggio delle politiche esterne dell'UE e dei programmi IPA (Instrument of Pre-Accession Assistance). Anche il progetto conosciuto come DECIM (Donor Exchange, Coordination and Information Mechanism), promosso dalla Commissione Europea e dalla Banca Mondiale, si muove in questa direzione, puntando a riservare alla società civile un ruolo rilevante nel processo di sviluppo.
In astratto il ruolo cruciale della società civile è innegabile e pienamente riconosciuto sia dall'UE sia dalle autorità nazionali. Ma nella pratica le organizzazioni della società civile non sono ancora state legittimate come partner in grado di partecipare in totale autonomia al dialogo politico. Il loro contributo nella politica è quasi inesistente e manca un effettivo meccanismo di consultazione presso l'UE, oltre che un riconoscimento pubblico del loro contributo a livello nazionale.
Nel perseguire le riforme necessarie per il rispetto dei diritti umani, l'indipendenza del sistema giudiziario, la garanzia sulla consegna dei criminali di guerra e la riconciliazione, si pone il rischio che la società civile rimanga un mero strumento in funzione delle priorità imposte dai centri di potere. Occorre invece instaurare una strategia di lungo periodo che coordini le diverse attività degli enti donatori proprio attraverso una regolamentazione dal basso.
È tempo inoltre che l'UE stringa e approfondisca relazioni mature con i paesi balcanici, rendendo la prospettiva della futura integrazione più concreta per i cittadini di quest'area così importante per la sicurezza e la prosperità dell'Unione.
Pensando ad un contesto più ampio che include nel ragionamento anche i ruoli di Russia e Turchia, la "Dichiarazione di Lubiana" esorta l'UE a seguire le raccomandazioni presentate, che «mostrano una forte convergenza d'azione, nella richiesta di creare uno spazio comune per la società civile europea. Il notevole progresso degli ultimi 10 anni è un segno che una tale prospettiva non solo sia possibile ma sia anche realistica. Questa visione condivisa da paesi così diversi tra loro sta emergendo a prescindere dalla fase raggiunta dai governi nelle loro relazioni con Bruxelles. La società civile infatti non fa distinzione tra paesi candidati e paesi vicini all'UE, bensì sostiene che l'impianto per una nuova cittadinanza competente dovrebbe estendersi attraverso tutta l'Europa geografica».
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