Il ruolo della società civile nelle elezioni del 3 ottobre in Bosnia Erzegovina. Il potere di deridere e mobilitare, il successo di artisti e media attivisti in una competizione elettorale che ormai si svolge stabilmente a livello delle entità e non dello Stato. Le nuove voci della politica bosniaco-erzegovese
I risultati delle elezioni 2010 in Bosnia Erzegovina
La vera vittoria in queste elezioni l'hanno ottenuta internet e le organizzazioni non governative che, grazie alle proprie campagne informative, sono riuscite a contenere l'astensionismo. Internet è stato il motore dell'informazione contro i partiti al potere, un'informazione spesso ripresa ed amplificata dai grandi media della carta stampata e della televisione. Internet ha significato produzione di video, articoli, analisi, strumenti come il “verito-metro” , razglasaj.ba o come “puliamo il parlamento” che con un click impietoso hanno offerto il confronto fra grandi promesse, strepitosi stipendi ed appannaggi di politici e funzionari, e una miseria sempre più diffusa fra la popolazione. Ha fatto eccezione la campagna 101 ragioni per votare le donne che, anche se ha contribuito a motivare il voto, non è riuscita a produrre una maggiore presenza femminile nel parlamento.
La corsa verso il 3 ottobre di cittadini e cittadine si è dimostrata innovativa, caratterizzata da un'attività febbrile, con miriadi di azioni e anche mega-campagne costate centinaia di migliaia di euro. Una prova di una nuova maturità della società civile bosniaca, sostenuta dalla comunità internazionale, donatori inclusi, speranzosi di vedere accadere quello che le cancellerie sembrano non essere in grado di fare.
Quanto ai partiti, la corsa verso il 3 ottobre ha visto da un lato i partiti politici al potere agire certi di essere riconfermati nella propria intoccabilità. Quelli all'opposizione invece, o gli emergenti, hanno scelto tattiche aggressive e di denuncia nella speranza di afferrare finalmente le leve del comando.
Tutti contro tutti
In questa prima settimana di risultati non-ufficiali, ma comunque sufficienti a dichiarare vincitori e vinti, è partita una guerra di tutti contro tutti, con poche eccezioni.
I partiti vincenti SDP (Partito socialdemocratico della Bosnia Erzegovina) e SNSD (Unione dei socialdemocratici indipendenti), in vista della costituzione del governo statale, hanno cominciato ad affilare le armi della retorica, il primo pan bosniaco-erzegovese, il secondo separatista. Gli sconfitti eccellenti della Republika Srpska (RS), il Partito del progresso democratico (PDP) e il Partito democratico serbo (SDS), e l'Unione per un futuro migliore (SBB) nella Federazione, urlano che non riconosceranno i risultati delle elezioni presidenziali, parlano di macchinazioni e truffe nei seggi. Il partito croato numero uno invece, l'Unione democratica croata (HDZ), dichiara giunto il tempo per la costituzione della terza entità croata, furibondo per essere stato “defraudato” del proprio rappresentante etnico alla presidenza.
Le presidenze etniche
Durante la campagna elettorale è emersa una nuova retorica, una retorica degli orti. La competizione si è spostata dal piano nazionale a quello interno delle entità. Quest'anno gli scontri più accesi sono stati fra i partiti con candidati alla presidenza e, dato l'apartheid elettorale, i politici della RS si sono attaccati fra di loro per il rappresentante serbo, mentre quelli della Federazione per i rappresentanti croato e bosgnacco. Così i croati dell'HDZ hanno combattuto rilanciando una campagna fortemente etno-centrica, che li ha visti stra-vincenti nei propri territori (con punte superiori al 40%) ma sconfitti alla presidenza. Li ha giocati il candidato dell'SDP, Komšic, che ha a sua volta puntato su una carta di identificazione nazionalista, anche se non etnica, ed è stato votato in maniera trasversale da una popolazione bosniaco-erzegovese che non si identifica nell'essere bosgnacca. Puntando al mito del paese unico ha raccolto i voti di bosgnacchi liberali, serbi della federazione, croati non nazionalisti e soprattutto dei famosi “ostali”, gli “altri” [né serbi, né croati né bosgnacchi, ndr] che in questo paese servono solamente da abbellimento multietnico per le visite internazionali mentre aspettano di avere un giorno uguali diritti politici attivi e passivi come gli altri cittadini.
Media, megafoni dei poteri
Queste elezioni, alle quali molti si sono riferiti come “l'ultima opportunità per il cambiamento”, hanno rivelato in maniera impietosa gli orientamenti di media e giornalisti, sopratutto della TV e della carta stampata. I casi più eclatanti sono stati quelli di Dnevni Avaz e TV Alfa, dalla parte del loro proprietario Radončić, leader dell'Unione per un futuro migliore SBB (di ispirazione berlusconiana, come esplicitamente dichiarato dal suo fondatore). Abbiamo assistito poi al lancio di TV1, fondata dalla miliardaria Jenkins di origini bosniache che, insieme a Dani, uno dei maggiori settimanali della Federazione, hanno preso posizione a favore di Haris Silajdžić (presidente uscente e vero sconfitto nella corsa elettorale), costruendo una campagna contro l'SDP e contro gli altri partiti “bosgnacchi”. La TV federale invece, con Bakir Hadžiomerović (il redattore di “60 minuti”, una delle trasmissioni politiche più seguite), ha fatto apertamente campagna per l'SDP. Quanto all'RS, Dodik ha mantenuto saldamente il controllo su tutti i media tradizionali, fino a “negare” il diritto di Alternativna TV a fare reportage sulle elezioni.
Nuove voci
Adesso i cittadini e le cittadine della Bosnia Erzegovina possono scegliere di rintanarsi nei propri gusci, tapparsi le orecchie e fare finta di niente per i prossimi 4 anni, oppure possono comprendere che hanno di fatto avviato un cambiamento. Il cambiamento non sta tanto nel voto, ma nel potere (dimostrato) di deridere e di mobilitare. La guerriglia mediatica fatta da pritisak contro Dodik “Pritisni i za malo vode Mile ode” [tira l'acqua (dello sciacquone) e Dodik se ne va, ndr] alludendo a come tirando la catenella anche Mile (Milorad) può essere sciacquato via, è solo un esempio a cui vanno aggiunti spot satirici prodotti da gruppi e cantanti apprezzati come Frenkie a Dubioza Kolektiv, video quali gdjelova.ba (dove sono i soldi), le passeggiate politiche delle Glavuse di Akcija gradjana (grandi teste in cartapesta, caricature dei leader politici al potere) a Banja Luka, Sarajevo e Mostar indicano che la paura, il rispetto verso il potere è messo in questione da più parti. Quello che emerge è che nessun partito ha vinto, non ci sono maggioranze strabilianti e perfino la macchina dell'SNSD di Dodik esce ammaccata e meno forte. Ancora una volta emerge una Bosnia Erzegovina intrappolata nelle alchimie etniche di Dayton ma quello che c'è di nuovo, autoctono e trasversale è una coscienza civica che usa l'arte e il multimedia per farsi spazio. Pronta a desacralizzare i signori della politica e a deriderli, creando alla lunga lo spazio necessario affinché quei messaggi che si basano su programmi e visioni conciliative, come quelli promossi da Naša Stranka e dalla campagna di Raguz, candidato croato di HDZ 1990 alla presidenza, possano essere colti e non passare inosservati.
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