Capofila del movimento femminista in Turchia, Fätmagül Berktay ha difeso il diritto agli studi anche per le universitarie che indossano il velo. La costituzione kemalista ha fatto molto, ma non ha inciso sulla violenza domestica, diffusa in ogni classe ed etnia. "La Ue ci renderebbe più forti"
Autrice di due saggi, “Women and Religion” e “The Gender of History”, pubblicati anche in Canada, Usa e Regno Unito, ma mai tradotti finora in italiano, oltre che direttrice del dipartimento di Relazioni internazionali, presso la facoltà di Scienza Politiche all’università di Istanbul, Fätmagül Berktay oggi è elemento di punta delle movimento femminista turco.
Qui ad Istanbul le donne sono sempre più visibili, ma cresce anche il numero di quelle con il velo.
E’ così, stiamo conquistando più spazio pubblico. È un aspetto della modernizzazione e puntiamo a fare ancora meglio. Certo, molte si coprono il capo col velo, ma almeno con quello possono uscire di casa e allontanarsi dalla famiglia. Tuttavia va detto che in questa fase di espansione per la Turchia, le donne sono più discriminate sul lavoro al momento dell’assunzione. Forse accade anche in altri Paesi, ma di certo qui per le donne è un momento di regressione economica.
Sono retribuite peggio dei colleghi maschi, e per lo stesso lavoro rivestono di solito ruoli inferiori. Per questo dobbiamo puntare a più visibilità, più occupazione, più educazione, e dobbiamo farci le ossa per riuscire a recuperare il nostro gap rispetto all’Europa. Va detto però che gli europei dimenticano in fretta la loro storia, dal momento che molto a lungo sono stati come noi oggi, e i diritti delle donne sono piuttosto recenti. Così anche in Turchia sarà questione di tempo.
Ma i diritti delle donne oggi a che punto sono sull’agenda politica in Turchia?
Nel nostro Paese ci sono sempre stati, fin dall’inizio, grazie ai padri fondatori della nostra Repubblica. Fu importante, perché l’impero ottomano era governato dalla sharia e non era previsto alcun ruolo per le donne nello spazio pubblico. Il loro destino era un’estrema segregazione. La Repubblica invece ci ha riconosciuto come cittadine.
D’altra parte, le donne della classe media hanno profondamente interiorizzato l’ideologia ufficiale al punto da pensare oggi "ok, ora ho il diritto di voto, perciò non devo battermi per molto altro". Quelle prime riforme repubblicane ebbero sì un impatto positivo, per esempio per l’accesso delle studentesse all’università, con iscrizioni oggi più alte di quelle della Svezia. Ma questo non ha ridotto la violenza sulle donne che anzi è assai diffusa in Turchia. Il nostro resta un Paese paradossale col il 38% di laureate e ben il 18% di analfabete.
Parliamo della violenza nella società turca. È un problema solo di alcune comunità?
Siamo divisi, e anche le donne lo sono tra loro. È come se non ci fosse una sola Turchia, ma due o tre. Di certo però la piaga della violenza non è circoscritta al solo Sud-est del Paese, affligge anche Istanbul. Si usano termini odiosi come ”delitto d’onore” o ”movente passionale” ma si tratta di aggressioni contro le donne, punite con brutalità col pretesto della gelosia. È un problema per tutte le donne in Turchia, non solo per quelle curde.
Direi anzi che oggi quelle curde in particolare stanno facendo una lotta impressionante, nonostante l’oppressione feudale che le circonda. Forse sono loro oggi il fronte più vitale delle rivendicazioni femminili in Turchia. Diyarbakir è stata perfino dichiarata ”città delle donne”. Poi ci sono le donne kemaliste e le osservanti religiose, è vero. Ma anche quelle come me, e sono tante, che non aderiscono ai macrogruppi ma sono convinte che insieme ci faremo valere. Per questo ho firmato la petizione per ammettere le studentesse col velo all’università, anche se non sostengo assolutamente l’islam politico.
Siamo donne di classi, ideologie, etnie e religioni differenti, ma raggiungeremo insieme questi obiettivi. Ho fiducia nel futuro. Magari perchè lavoro con i giovani e con le organizzazioni femministe, ma direi che la Turchia è una società aperta.
Anche le donne curde fanno
una lotta impressionante
contro l’oppressione feudale
che le circonda. Forse sono loro oggi
il fronte più vitale delle rivendicazioni
femminili in Turchia
Con la maggioranza islamico-moderata al governo, cos’è cambiato per le donne in Turchia?
So che questa maggioranza è vista talvolta come una minaccia, ma ad esempio nella nuova Costituzione e nel primo articolo approvato dal governo Erdogan ci sono azioni positive per i diritti delle donne. Certo, i paradossi non sono finiti: il governo è conservatore-islamico, ma punta ad entrare nell’Unione europea e sostiene alcuni diritti delle donne.
In che senso considera la Turchia un Paese complesso, paradossale?
Le farò un altro esempio. Abbiamo avuto un dibattito infuocato per ammettere all’università donne col velo. Penso che sia diritto anche delle donne col velo studiare negli atenei, come quelle che partecipano ai miei corsi su donne e religioni. Le religioni sono in un certo senso ideologie patriarcali. Allora perché no, che partecipino velate, purché possano studiare.
La Ue che tipo di sostegno rappresenta per la condizione delle donne in Turchia?
Per noi sarebbe meglio entrare nell’Unione europea. Non so se economicamente sarebbe conveniente per la Turchia, ma politicamente sarebbe di grande aiuto: la gran parte delle riforme avviate nel nostro Paese negli ultimi anni sono targate Ue, realizzate proprio con l’obiettivo di aderire ai parametri richiesti da Bruxelles. Oggi sostenere l’adesione Ue della Turchia significa sostenere la nostra società civile, le donne e tutte le forze politiche progressiste del Paese. Abbiamo ancora un gran bisogno della Ue, e le donne turche lo sanno. Per questo tutti i sondaggi evidenziano che sono più europeiste degli uomini, sono le maggiori sostenitrici dell’adesione.
Pensa che alla fine il futuro della Turchia sarà europeo?
Magari non avverrà presto, ed è un peccato. La Turchia potrebbe stancarsi di aspettare, potrebbe prevalere la frustrazione. Ma non dovremo attendere per sempre, dal momento che siamo ormai una potenza di medio calibro, economicamente autosufficiente rispetto ai Ventisette.
Sotto il profilo economico è più la Ue ad aver bisogno della Turchia, che la Turchia della Ue, anche se a Bruxelles sembrano non capirlo.
Perfino io sono provata da quest’eterna d’attesa in cui siamo confinati e dei doppi standard mostrati dalla Ue: ritiene la Turchia troppo povera, ma poi ammette nel club Bulgaria e Romania. Andate a Sofia e fate il paragone con Istanbul! Non c’è partita.
Purtroppo un altro ostacolo è legato alla religione. Ma non la chiamerei semplicemente religione: è una sorta di barriera ai diritti delle donne, che ha origini socio-economiche. Ha le stesse fondamenta del patriarcato, basato su relazioni impari tra uomini e donne. E’ un male da cui ogni società è contagiata, anche quella europea. Ma oggi in Europa c’è un nuovo nemico ufficiale, ed è l’islam, così come prima era il comunismo.
Che cos'è per lei la Ue?
Per me la Ue è un progetto di civilizzazione, è un’aspirazione non solo per la Turchia o qualunque altro Paese ai suoi confini, ma per gli stessi Paesi membri che non hanno ancora raggiunto l’obiettivo. Per questo l’idea di Unione europea non può essere limitata ad un progetto religioso, non è un club di Stati cristiani, e se vuol esserlo bisognerebbe dirlo apertamente.
Ma a Bruxelles fanno il contrario: negano che sia così, agendo però comunque in base ad una piattaforma religiosa, e questo non è corretto, nè imparziale.
In tutti i sondaggi le donne
sono più europeiste degli uomini,
sono loro le maggiori sostenitrici dell’adesione.
Vuol dire che è la religione il vero impedimento all’adesione Ue della Turchia?
Da un lato sì, anche se non viene detto apertamente. Ovviamente so bene che le migrazioni creano grandi difficiltà in Europa, per lo più quelle da Africa e Medioriente, accomunate dalla matrice islamica, che la gente teme.
Penso però non sia un problema di islam, ma di migrazioni, di povertà e di relazioni globali diseguali. È più facile dare la colpa all’islam che mettere mano a queste sfide concrete.
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