E' il quotidiano della minoranza slovena in Italia. Per anni testata ''di frontiera'', ora si trova nel cuore della nuova Europa e descrive un mondo che cambia rapidamente. Ce lo racconta una sua giornalista. Un'intervista a Breda Pahor
Ci può descrivere brevemente il vostro quotidiano?
E' un quotidiano disegnato sulla fattispecie dei quotidiani nazionali in quanto copre sia le notizie internazionali sia quelle locali, anche se in qualche modo tratta con particolare evidenza le questioni che riguardano la minoranza slovena in Italia. Potrei dire che siamo stati espressione di quella che una volta si chiamava comunità Alpe-Adria e che ora è l'Unione europea allargata. Se prima eravamo "di frontiera" ora siamo proprio nel mezzo di questa nuova Europa, così vogliamo collocarci e programmare il nostro lavoro pur restando, come ho detto prima, un quotidiano della minoranza slovena. Siamo l'unico quotidiano che esce in Italia in lingua slovena.
Siete riusciti, dal vostro osservatorio privilegiato, a precorrere in alcuni aspetti i cambiamenti avvenuti con l'integrazione della Slovenia nell'Unione europea?
Per alcuni versi sì. Già da tempo, prima dell'entrata della Slovenia nell'Unione europea, abbiamo disegnato sulle nostre pagine un contenitore unico per il goriziano, che comprende sia Gorizia dove chiaramente c'è una compatta minoranza slovena, sia Nova Gorica. Abbiamo in questo modo cercato di dare a quel territorio quel respiro che aveva prima della divisione del '47.
Come cambia questo luogo ora che è iniziata l'era Schengen, di libera circolazione tra Slovenia e Italia?
Con il nostro lavoro abbiamo sempre avuto molti contatti oltreconfine. E quindi ora non si scopre certo l'ignoto, tutt'altro. Questo, anche durante gli anni della guerra fredda, era la parte di confine più aperta d'Europa. Passavano le persone, passavano le notizie... però il fatto che non ci sia fisicamente più alcuna barriera è senza dubbio un fatto importante. Ecco, tutto sta diventando più normale. Mi ha fatto piacere recentemente passeggiare verso Miramare e incrociare molti sloveni, venuti a Trieste non a fare compere ma solo a farsi una bella passeggiata sul lungomare. Conosco persone che indifferentemente vanno al cinema o a teatro da una parte o dall'altra del confine. Ecco, questo sta diventando sempre più un luogo di tutti.
Negli ultimi anni qui nel comune di Trieste sono sempre più le famiglie italiane che decidono di iscrivere i loro figli a scuole o asili di lingua slovena. Questo faciliterà la nascita di un effettivo plurilinguismo in città?
Già da tempo ormai la scuola slovena non è solo la scuola degli sloveni. Vi sono numerosi matrimoni misti e possiamo affermare che ormai tra i bambini che frequentano queste scuole solo la minoranza ha entrambi i genitori di lingua slovena. Questo è un dato naturale, molto normale. Inoltre, vi sono anche famiglie italiane, spesso quelle che abitano nei piccoli comuni limitrofi a quello di Trieste, che iscrivono i propri figli ad esempio all'asilo in lingua slovena, per poi continuare nelle scuole italiane. Il fatto di dover insegnare lo sloveno a bambini che non hanno una buona padronanza della lingua è diventato una costante. Ma questo è un problema che deve affrontare non solo la scuola slovena, ma un po' tutta l'istruzione pubblica italiana dato l'alto tasso di figli di immigrati presenti nelle scuole.
L'intera nostra società sta cambiando rapidamente. La scuola non è più un luogo dove vi è una sola cultura, una sola lingua. Gli insegnanti devono sapere che hanno a che fare con bambini che provengono da altre culture, da altri ambiti linguistici, culturali, religiosi per cui il loro lavoro diventa più complesso.
In merito invece al plurilinguismo mi sono sempre stupita, come persona, non come appartenente alla minoranza slovena, del disinteresse della comunità italiana nei confronti della cultura slovena. Naturalmente la lingua, posso capire, può sembrare un po' ostica ma un po' di curiosità me la sono sempre aspettata. Ora qualcosa sta cambiando, l'affermarsi dello stato sloveno ha portato visibilità e un po' d'interesse verso la Slovenia, la sua lingua, la sua cultura.
In questo contesto è difficile a Trieste fare un quotidiano in lingua slovena? La città lo vive come una ricchezza? Oppure domina la città lacerata dallo scontro destra/sinistra descritta spesso da chi a Trieste non abita?
Trieste è una di quelle città dove la divisione fra destra e sinistra - se si può ancora parlare di una simile divisione in Italia - rimane netta. E l'astio della destra triestina è sempre stato puntato verso gli slavi. E gli slavi siamo noi. Ma noi siamo sempre stati qui. A Trieste quella slovena è la minoranza autoctona più numerosa. Come diciamo spesso: sono i confini e gli stati che si spostavano, noi qua eravamo, qua siamo rimasti, qua vogliamo vivere.
D'altra parte, però, bisogna dire che come giornale, o come giornalisti noi abbiamo contatti con tutti, siamo inseriti in tutti gli organismi, la città, le istituzioni, i partiti, i colleghi riconoscono il nostro lavoro e con loro abbiamo rapporti normali. Ma non mi sentirei di dire che Trieste ci vive come parte integrante della città, forse non più come un pericolo, però non tutti ci riconoscono la cittadinanza paritaria a tutti gli effetti.
Poi capita che quando la polemica s'accende, ad esempio sul tema delle foibe, dell'esodo, le responsabilità non vengono ascritte a chi ha causato questi eventi, ma viene sempre tirata in ballo la comunità slovena di Trieste. La comunità slovena in Italia ad esempio non c'entra nulla con l'esodo. Ed anzi l'arrivo degli esuli a Trieste ha fortemente penalizzato la comunità slovena perché sloveni ed esuli sono stati messi gli uni contro gli altri. Mi sembra che queste questioni siano ancora più di cuore che di testa, le reazioni vengono mosse dalle emozioni e non dai ragionamenti. Trieste tutta intera dovrebbe superare queste annose questioni, staccarsi un po' dalle vicende passate e pensare un po' al futuro, perché le premesse ci sarebbero, però...
Questi anni, in effetti, sono evidentemente pieni di opportunità per quest'area ...
Ma la sensazione è che non vengano sfruttate appieno. Un esempio è il tentativo di collegare i porti di Trieste e Capodistria. Riesce difficile pensare in maniera costruttiva e accettare che l'unico modo di avere successo è di immaginarsi come territorio integrato. Senza troppe paure.
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