"Mama" Vera - nel giardino di casa

Bergamo e Kakanj sono state legate per anni da un lungo percorso di cooperazione decentrata. Pochi giorni fa è venuta a mancare una figura chiave di questa stretta relazione. Riceviamo e volentieri pubblichiamo

24/10/2008 -  Anonymous User

Sull'onda solidaristica che ha mobilitato la società civile italiana nella ex-Jugoslavia attraversata dal conflitto, nel dicembre del 1992 nasce a Bergamo un comitato cittadino. Ne fanno parte l'amministrazione comunale, ACLI, ARCI, CARITAS e tanti altri piccoli gruppi e associazioni. Il 'Comitato Bergamo per Kakanj' si amplierà negli anni coinvolgendo altri enti locali del territorio, i sindacati, molte scuole, associazioni giovanili che si impegneranno nel percorso di cooperazione decentrata con la città bosniaca di Kakanj, sostenuto da finanziamenti di molti donatori tra i quali il Comune di Bergamo, la Regione Lombardia e l'Unione Europea. Un ponte tra due città che si è creato anche grazie ad una figura semplice ma importante: Vera, una donna che ha rappresentato il perno dell'incontro tra due mondi.

Venerdì scorso "Mama Vera" ci ha lasciati. La incontrammo la prima volta nel giugno del 1994, quando arrivammo a Kakanj in Bosnia centrale, dopo un lungo e pericoloso viaggio passando decine di posti di blocco delle varie fazioni in guerra. Da tempo seguivamo il campo profughi di Pineta in Istria, dove si erano rifugiati i cittadini della comunità croata di Kakanj fuggiti dal conflitto che infuriava in Bosnia centrale da due anni. Volevamo raggiungere la loro città di provenienza per iniziare a ricostruire ponti tra le diverse comunità allora contrapposte, incontrando le autorità locali e i pochi rappresentanti religiosi cattolici rimasti.

Dai primi mesi del 1993 avevamo accolto nella nostra città, Bergamo, più di cento profughi scappati dalla Bosnia Erzegovina. Tra loro c'era anche Sonia con il figlio, cittadina croato-bosniaca di Kakanj. Suo marito Jelenko si era nascosto in Serbia perché non voleva arruolarsi. Con non poche difficoltà riuscimmo a portarlo in Italia per ricongiungersi con moglie e figlio.

Il resto della famiglia di Jelenko, serbo-bosniaco di Kakanj, era tra le poche rimaste in città che non avevano voluto cadere nel gioco delle contrapposizioni etniche: lì erano vissuti, avevano la loro casa, la loro terra, e lì avevano deciso di rimanere. A quel tempo rappresentavano il nostro appoggio in loco, non il più sicuro vista la situazione per i cittadini di origine serba, ma l'unico su cui potevamo contare. A fatica eravamo riusciti ad avvertire la madre di Jasenko, Vera, che due italiani avrebbero provato ad arrivare a Kakanj per portarle notizie del figlio di cui non sapeva più nulla da un anno.

Vera abitava in una casa povera ma dignitosa, in una zona collinare a poca distanza dal centro città. Questa fu la nostra prima dimora e il momento in cui lei divenne la nostra "Mama Vera", e poi esserlo per le centinaia di persone che negli anni hanno avuto rapporti con Kakanj nell'ambito del progetto di cooperazione decentrata avviato dalla città di Bergamo.

Sin dal primo incontro questa donna dolce, premurosa, intelligente e aperta ci ha accolti come figli, ci ha insegnato la tolleranza, ci ha raccontato la quotidianità sua e della sua città prima della guerra: come le feste religiose ortodosse, cattoliche, musulmane fossero grandi momenti di incontro, di visite reciproche, di condivisione delle gioie e dei dolori.

Riuscì a farci comprendere quanto fosse difficile, complesso e allo stesso tempo incomprensibile ciò che stava avvenendo, raccontandoci la tristezza della separazione dai figli - solo una figlia, Dana, era rimasta con lei - dai tanti parenti e dagli amici. Ci raccontò della tristezza di essere salutata a fatica anche da coloro che prima frequentavano la sua casa, della durezza dell'inverno appena passato senza nulla da mangiare oltre ad erbe e radici per cena e pannocchie senza più mais per pranzo. Era dimagrita venti chili in pochi mesi. Ma il suo sorriso era onnipresente e alla fine di ogni racconto chiudeva sempre con note di speranza e positività: "Adesso è passato. Bisogna andare avanti e andrà bene".

Fino alla fine del conflitto la sua casa ha rappresentato un rifugio accogliente per tutti coloro che arrivavano in Bosnia centrale: dagli operatori dell'ICS - Consorzio Italiano di Solidarietà che ne erano abituali frequentatori e noi, del "Comitato Bergamo per Kakanj", che dal novembre '94 avevamo aperto in loco un ufficio.

La memoria di Mama Vera era straordinaria. Ricordava ogni data, ogni attimo delle nostre presenze, ogni nome di coloro che erano entrati nella sua casa. Aveva istituito un diario su cui ogni ospite poteva scrivere pensieri, disegnare, e sul quale lei annotava riflessioni e ricordi passati e recenti che spesso poi ripercorrevamo insieme. Ogni persona nuova veniva accolta come un figlio: quando, dopo il conflitto, cominciarono ad arrivare numerosi gruppi giovanili di Bergamo per partecipare ai campi di lavoro, lei voleva conoscerli tutti e averli ospiti nella sua casa anche solo per una cena.

Mama Vera riceveva pochi marchi convertibili di pensione e sua figlia Dana per lungo tempo non ha avuto un lavoro. Era molto dura anche per la maggioranza musulmana della città, figuriamoci per una donna che, a causa del conflitto, si ritrovava addosso l'essere serbo-bosniaca come un marchio. Eppure, in una stanza dignitosa ma priva di comfort, su due divani ormai non più in forma hanno cenato a patate e pollo - cucinati nella sua stufa a legna - decine di giovani. Se arrivava qualcuno dall'Italia, Vera riusciva sempre a trovare la farina per la sua memorabile pagnotta gigante e ad offrire kajmak, prodotto dal latte della mucca che condivideva con Risto, fratello del marito deceduto. Raramente mancava la "bosanska medicina", come lei chiamava la rakja (grappa) fatta in casa.

La soglia della casa di Mama Vera è stata varcata da parlamentari, consiglieri regionali, sindaci, assessori italiani. Negli anni della guerra è stato un povero ma caloroso rifugio di giovani e adulti, persone "importanti" o "semplici" volontari. Che parlassero e capissero la lingua, era indifferente: Vera raccontava anche con le mani, sorrideva e riempiva di calore, rincuorava nei momenti difficili e spronava ad andare avanti a ricostruire i ponti rotti dal conflitto.

Era impossibile non passare regolarmente da Vera per Robi, Guido, Sanja; per Nicola, Livio e Nicole, operatori permanenti presso l'ufficio di Kakanj del "Comitato di Bergamo", assieme ai colleghi locali Bojana, Miljenko, Asim, Emir e Jasenko; per Mario, Giorgio, Bruno, tra i primi operatori di ICS (Consorzio Italiano di Solidarietà) nei Balcani. Ma anche per giovani e meno giovani della città come Fahro, Sejo e tanti altri. A volte bastava un veloce caffè, quasi sempre erano lunghe cene che si trasformavano in momenti di serena convivialità e festa.

Dal 1994, fino alla chiusura dell'ufficio di Kakanj avvenuta nel 2000, Vera è stata la nostra "Mamma bosniaca". Concluso il progetto di cooperazione decentrata ognuno di noi ha seguito altre strade ma molti tra coloro che l'avevano conosciuta hanno mantenuto il legame con lei. Alcuni facendo il viaggio da Bergamo a Kakanj solo per vederla, passare una serata a ripercorrere insieme la bellezza dei "ponti" che si erano creati e che continuavano ad esistere tra le nostre due città, nonostante la chiusura dell'ufficio.

Mama Vera, ci dicevi che eravamo noi a darti la forza ed il coraggio e che noi ti avevamo dato la voglia di continuare a credere nella convivenza e nella tolleranza. E' esattamente il contrario: ci hai donato affetto, serenità, ci hai aiutato a comprendere meglio ciò che accadeva e ci hai spinto a riflettere sulla complessità della realtà senza dimenticare la semplicità dei tuoi insegnamenti. Ci hai dato la forza di rimanere tanti anni a Kakanj a tentare di ricostruire il dialogo tra le diverse comunità. Ci hai insegnato che non si deve guardare alle "appartenenze etniche" ma a ciò che ogni individuo E' e a come agisce nella quotidianità.

Se la Storia fosse in grado di ricostruire i percorsi della gente semplice, Mama Vera sarebbe un'icona della resistenza alla barbarie della guerra, sarebbe una degli Eroi di fine '900, un'icona dei Costruttori di pace.

Mama Vera, il tuo sorriso resterà nel nostro cuore. Siamo certi di parlare a nome di tutti coloro che ti hanno conosciuta: avremmo voluto essere lì con te anche in questo momento, quando ci hai improvvisamente lasciati. Avremmo voluto esserti vicino, per restituirti ancora una volta almeno parte di ciò che ci hai donato.

I tuoi "figli" del Comitato/Komitet Bergamo-Kakanj


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