Attraversare i confini, non solo geografici, e trovare una Bosnia Erzegovina diversa da quella che si era immaginata. Più di cento ragazzi del Trentino hanno recentemente partecipato ad un viaggio-studio un po' insolito. Un'intervista
Si è appena concluso il viaggio di quattro giorni che ha portato più di cento ragazzi del Trentino in Bosnia Erzegovina, nell'ambito di un piano di zona delle politiche giovanili al quale aderiscono otto comuni della Val di Non. Il piano prevede azioni a favore del mondo giovanile. Il viaggio è stato organizzato da "Viaggiareibalcani", progetto di promozione del turismo responsabile nato nel 2002 nell'ambito della trentina Associazione Progetto Prijedor che da anni è attiva in Bosnia con programmi di cooperazione comunitaria. Abbiamo incontrato Daniele Bilotta, di "Viaggiareibalcani".
Qual è stata la motivazione del viaggio conclusosi domenica scorsa che ha portato numerosi giovani del Trentino nei Balcani?
Il viaggio in Bosnia Erzegovina di un centinaio di ragazzi della Val di Non, nasce nell'ambito di un piano di zona che fa capo ad otto comuni della Valle, tra i quali il comune più importante quello di Cles. Il piano di zona prevede un viaggio annuale, con il quale si cerca di coinvolgere i ragazzi della valle che fanno parte di associazioni e gruppi giovanili a vario titolo, o che frequentano i centri giovanili. Quest'anno hanno pensato di aprirsi ai Balcani ed è arrivata la richiesta a Viaggiareibalcani, direttamente dall'assessore alle Politiche sociali del Comune di Cles, di organizzare un viaggio della durata di 4 giorni. Abbiamo dunque dato la nostra disponibilità, premettendo che oltre al viaggio era necessario predisporre delle serate di formazione, in quanto il nostro progetto non prevede solo viaggi in sé ma anche percorsi di formazione, in questo caso rivolto ai ragazzi che sarebbero partiti.
La scelta di questa meta è legata ad un percorso che avevano già fatto nel passato. Ad esempio l'anno scorso avevano organizzato un viaggio in Polonia, da Auschwitz a Cracovia, per fare un "viaggio del ricordo". Quest'anno, vista l'intenzione di proseguire sulla falsariga di quest'ultimo viaggio, è stata scelta la destinazione balcanica, dell'ex Jugoslavia, territorio che porta in sé importanti memorie legate al recente conflitto.
Qual è stato il percorso formativo di questi ragazzi?
Abbiamo predisposto cinque incontri prima del viaggio, e una serata al rientro in Italia come momento di elaborazione dell'esperienza che si era vissuta in Bosnia. Gli incontri hanno visto il coinvolgimento di tutti i partner che gravitano attorno a Viaggiareibalcani e che sostengono a diverso titolo il progetto. Ad esempio ad un incontro sono intervenuti Davide Sighele di Osservatorio sui Balcani che ha illustrato la situazione di Sarajevo e Annalisa Tomasi del Progetto Prijedor che ha parlato di quest'area specifica. Durante un'altra serata Michele Nardelli, sempre di Osservatorio sui Balcani, ha offerto un quadro storico dei Balcani. In un altro ancora si è spiegato che cosa significa fare "turismo responsabile", quindi quali sono i concetti e i criteri del turismo che cerchiamo di promuovere noi e quali differenze ha rispetto al turismo di massa. Ai ragazzi è stata inoltre proposta la visione del documentario "Souvenir Srebrenica" e l'incontro con l'autrice, Roberta Biagiarelli, ha rappresentato una momento di forte testimonianza di un fatto - quello dell'eccidio di Srebrenica del 1995 - tra i più tragici della guerra in Bosnia.
Per poter partecipare al viaggio, la frequenza agli incontri era obbligatoria. Hanno partecipato tutti i 126 ragazzi, tra i 16 e i 21 anni di età, e gli 11 accompagnatori ma le serate erano aperte anche a quei genitori che avessero voluto capire dove i figli sarebbero andati, nonché approfondire la conoscenza della storia dei luoghi che avremmo attraversato. Dato che il viaggio non ha coinvolto delle strutture scolastiche, gli accompagnatori non erano insegnanti ma persone adulte che si sono date disponibili ad assistere il gruppo. Ad esempio un vigile urbano, che aveva la figlia sul pullman, oppure il sindaco di uno dei comuni della valle, venuto non solo perché partecipava il figlio ma anche in rappresentanza del suo ruolo istituzionale. Hanno assunto il ruolo di accompagnatori anche i ragazzi che gestiscono lo spazio giovani di Cles... insomma un insieme variegato.
Quali sono state le prime reazioni da parte dei ragazzi, appena arrivati in Bosnia?
Lo stupore. Un grande stupore per l'apparente normalità che vedevano, mentre tutti si aspettavano ancora una Bosnia dilaniata, a pezzi. Ritrovarsi a vedere una Bosnia ricostruita, normale e pacifica, almeno all'apparenza, ha colto tutti impreparati, li ha sorpresi molto. Per cui ci chiedevano come avesse fatto la gente a tornare alla normalità, come fosse riuscita a ricostruire... era come se fossero rimasti fermi a 12 anni fa, al 1995. Forse perché le informazioni che arrivano a questi ragazzi, attraverso i media o altri strumenti, sono poche e ancora legate a eventi tragici come il ritrovamento di fosse comuni o l'arresto di criminali di guerra.
Quali sono state le tappe del viaggio?
Una prima tappa Trieste, preso la Risiera di San Sabba, proprio perché il nostro è stato un viaggio sulla memoria. Dunque si è scelto di affrontare anche la memoria di noi italiani in relazione agli eventi della Seconda Guerra mondiale. Da qui, prima di arrivare a Prijedor in Bosnia, è stata fatta una tappa a Jasenovac, campo di concentramento ustascia sempre del secondo conflitto mondiale. A Prijedor abbiamo avuto innanzitutto un incontro con i nostri referenti locali che portano avanti ormai da 3 anni la costruzione di una piccola rete di turismo rurale nella zona. Gli stessi referenti ci hanno fatto da accompagnatori in loco, secondo itinerari diversi per i tre pullman, attraverso i quali i ragazzi potessero conoscere la storia di Prijedor e l'esperienza di cooperazione comunitaria che viene portata avanti dal 1995 dall'Associazione "Progetto Prijedor", poi dal 2000 nell'ambito dell'Agenzia della Democrazia Locale. Il momento finale di riflessione su ciò che avevano visto o ascoltato, si è svolto nel parco del Kozara, altro importante "luogo della memoria" nel territorio della ex-Jugoslavia.
Sono avvenuti degli incontri tra i giovani viaggiatori italiani e giovani bosniaci? Quale l'atmosfera?
Tra i diversi incontri avvenuti a Prijedor vi sono stati quelli con i frequentatori dei centri giovani di Ambarine e di Ljublja, che sono centri supportati dalla ADL e dal Progetto Prijedor. In queste occasioni si è visto come i ragazzi riescono a superare subito e molto più facilmente qualsiasi ostacolo, da quelli legati alla lingua ad altri, cercando di superare pregiudizi e preconcetti. Un po' più in difficoltà ci sono sembrati gli adulti, gli accompagnatori. Dopo 5', giusto per capire dov'erano e prendere le coordinate, i ragazzi chiacchieravano già tra loro, ballavano insieme... anzi, hanno dimostrato apertamente grande dispiacere per aver dovuto chiudere l'incontro di saluto a Prijedor, a causa della tappa successiva. I ragazzi avrebbero voluto continuare con la serata, che da subito si è trasformata in una grande festa generale. Tanto che tra i ragazzi di Cles c'era un gruppo musicale che ha scambiato gli strumenti con il gruppo musicale di giovani di Prijedor, per suonare durante la festa.
Ultima tappa: Sarajevo...
All'arrivo a Sarajevo è stata organizzata una serata musicale con una band emergente di ragazzi della città. Anche qui abbiamo predisposto tre itinerari diversi di visita, dal centro fino ai luoghi storici e culturali, accompagnando con il racconto di quello che era Sarajevo nel passato, nella recente guerra e oggi. Hanno avuto modo di ascoltare testimonianze dirette di persone che durante la guerra hanno vissuto nella città assediata, dunque riflettere su cosa significa la guerra nella "normale" quotidianità. Abbiamo notato che questo ascolto diretto delle guide che raccontavano la propria esperienza personale in quegli anni, ha lasciato nei ragazzi molta più curiosità e predisposizione alla riflessione di quanto non sarebbe successo con un libro di storia.
Come si sono poi rapportati i ragazzi con questa realtà?
Superato il primo grande momento di stupore, i ragazzi si sono poi resi conto che la Bosnia è un paese con le sue caratteristiche ma quanto tanti altri paesi. Che le persone sono uguali a noi, che hanno ripreso a vivere dopo la guerra, che hanno ricostruito il proprio paese... secondo noi hanno mutato molto l'idea che avevano della Bosnia, dopo aver visto, dopo aver ascoltato i racconti. Altra cosa importante è che prima di partire molti ragazzi non sapevano cos'era l'Islam, immaginavano i musulmani come un'entità lontana, ignota, pericolosa. A Sarajevo invece hanno potuto incontrare dal vivo un Islam moderato, capire che non è un mostro che cerca di distruggere la cultura occidentale. Hanno potuto vedere come si è mescolato e ha convissuto con altre confessioni in maniera pacifica per tanti anni.
Alla fine del viaggio è stata espressa l'intenzione di continuare a tenere relazioni con i Balcani?
Lo stesso assessore alle Politiche sociali del Comune di Cles, Luisa Larcher, si è mostrata molto entusiasta di questa esperienza. L'ultima sera del viaggio ha chiesto se terminata questa esperienza fosse possibile "portarla" nei comuni della Val di Non, attraverso altri tipi di attività, culturali ad esempio, con mostre di artisti provenienti dalla Bosnia Erzegovina, oppure appuntamenti di cinematografia sulla ex-Jugoslavia, momenti di pubblica lettura di poesie di autori bosniaci. Quindi riportare a casa propria l'esperienza diretta vissuta e continuare a mantenere il rapporto con quel territorio.
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