Grazie alla prima edizione di Terra Madre Balcani, Sofia è stata palcoscenico delle esperienze che, nella penisola, puntano ad un'alternativa economica e culturale al monopolio dell'industria alimentare. In bilico tra nuove opportunità e ostacoli ancora da superare
“I Balcani sono vere 'autostrade del cibo'. Qui prodotti e tradizioni gastronomiche hanno viaggiato più che altrove, contaminandosi lungo la via, per arrivare fino al Maghreb a ovest e all'India a est”. Sofia, Bulgaria. Incontro Michele Rumiz, referente per i Balcani di Slow Food a pochi passi dall'Università. “L'idea di Terra Madre Balcani nasce da questa semplice considerazione: salvaguardare e promuovere la produzione di cibi tradizionali in quest'area è possibile soltanto attraverso una prospettiva regionale”.
160 delegati provenienti da 10 paesi (Albania, Bosnia-Erzegovina, Bulgaria, Croazia, Grecia, Kosovo, Macedonia, Romania, Serbia e Turchia), uno stand dove i produttori hanno potuto presentare ai consumatori i propri prodotti e scambiare esperienze, incontri tematici e workshop, momenti di discussione su eco-gastronomia e produzione sostenibile, con un occhio al turismo responsabile.
Organizzato a Sofia dall'Associazione dei Convivium Slow Food in Bulgaria, in collaborazione con Slow Food Internazionale e con istituzioni locali, dal 16 al 18 luglio scorso “Terra Madre Balcani” ha reso la capitale bulgara palcoscenico delle esperienze che nei Balcani puntano ad un'alternativa, economica ma anche culturale, al monopolio dell'industria alimentare.
Un incontro che nasce dal basso, dalla volontà dei partner sud-est europei di Terra Madre di incontrarsi e dialogare tra loro, ma anche con i cittadini e le istituzioni. Un network, quello di Terra Madre nei Balcani, che coi suoi 500 soci, 9 presìdi Slow Food, 47 comunità del cibo, 8 programmi di educazione alimentare e del gusto nelle scuole e 20 cuochi, è una realtà in rapida crescita.
La scelta di incontrarsi a Sofia non è casuale. La Bulgaria, membro a pieno titolo dell'Unione europea dal 2007, nonostante tradizioni gastronomico-culturali antichissime ha iniziato a porsi solo recentemente la questione di come salvaguardarle. Un'esperienza comune a tutti o quasi i paesi della regione.
“Per noi questo incontro è importante per sensibilizzare le istituzioni, che faticano a intervenire in modo mirato”. Desislava Dimitrova, biologa e coordinatrice dell'evento, racconta di un dialogo difficile e graduale con la politica. E in cui il ruolo dell'Unione europea diventa sempre più centrale.
“L'Ue per i Balcani rappresenta una grandissima opportunità, in termini di mercato e regolamenti per i prodotti gastronomici tradizionali”, sostiene convinto Rumiz. “Talvolta, però, le istituzioni locali si mascherano dietro alle norme europee, ad esempio sulle norme igieniche, per nascondere la propria passività, scoraggiando di fatto le produzioni tradizionali”.
Oggi, ad esempio, in Bulgaria non esiste una lista dei prodotti tradizionali da salvaguardare, col risultato che i produttori non possono accedere ai finanziamenti comunitari. Di fatto, nonostante molti passi avanti, è ancora impedita la vendita diretta dal produttore al consumatore.
Questo ancora impedisce di proporre iniziative come i Mercati della Terra, organizzati coerentemente alla filosofia Slow Food, e già attivo da due anni a Bucarest, in Romania.
“Il successo del Mercato della Terra è stato immediato. Abbiamo cominciato con una piccola iniziativa a Bucarest e oggi solo nella capitale ci sono 7 o 8 mercati di questo tipo, per non parlare del resto del paese”. Teodor Frolu, eclettico architetto impegnato nel settore dei media, nonché amante della scoperta del mondo attraverso il gusto, è una delle anime dell'iniziativa.
Secondo Frolu, evidentemente, “in Bulgaria la mafia dei grandi produttori è più forte che in Romania”. Una frase provocatoria che mette in evidenza uno dei grandi problemi che affliggono la regione: la presenza di pochi grandi produttori (in regime di quasi-oligopolio) e di moltissimi che a malapena raggiungono il livello di sussistenza. Manca quasi del tutto una classe media rurale dinamica.
“Molti contadini poveri potrebbero trasformarsi in produttori di cibi tradizionali, che come dimostra la nostra esperienza hanno un mercato in espansione”, prosegue Frolu. “Perché succeda, però, c'è bisogno di scelte politiche chiare”.
Un alleato di peso in questo senso potrebbe essere proprio un rumeno: Dacian Cioloş, commissario europeo per l'Agricoltura, che nei mesi trascorsi dalla sua nomina ha mostrato grande attenzione alle problematiche dei piccoli produttori.
I problemi da affrontare però non sono solo politici, ma anche culturali. “La collettivizzazione in stile sovietico ha rotto il legame tra il contadino e la terra”, sostiene Tzvetan Dimitrov, energico sindaco del villaggio bulgaro di Cherni Vit, che sta lottando per far rinascere la tradizione dell'unico formaggio erborinato dei Balcani. “Paradossalmente abbiamo molti prodotti tradizionali, ma sono le comunità locali che li producono ad essere disgregate”.
Qualcosa, in questo senso, si sta muovendo proprio grazie allo stimolo di Slow Food. Ne è un esempio il Convivium di Filipovci, in Bosnia, che opera non lontano da Goražde, zona difficile ed economicamente depressa. Nel 2004, al Salone del Gusto di Torino fu presentato il loro “slatko di prugne Požegača”, un prodotto allora “in via di estinzione”.
A partire da quell'evento, il gruppo di donne impegnato nella produzione dello “slatko” ha acquistato l'entusiasmo e la fiducia necessari per proporre sul mercato un prodotto pensato per l'esclusivo consumo casalingo . Oggi il loro “slatko” è distribuito a livello locale, e l'intera produzione trova acquirenti. Un'esperienza forse piccola, ma di grande valore simbolico, e che potrebbe fornire un esempio a molte altre comunità agricole dei Balcani.
A Sofia i partecipanti di Terra Madre Balcani si sono scambiati esperienze ed idee, i semi di nuovi progetti sono stati piantati, magari davanti ad un piatto di “prosciutto di Elèna” o di formaggio della regione di Prizren.
Una proposta particolarmente interessante parte dai forti legami, consolidati in questi anni di scambi ed incontri, tra Balcani e il Trentino. Un viaggio attraverso l’Europa lungo il Danubio, da lanciare nel 2011, alla scoperta dei suoi sapori.
Ne hanno parlato Michele Nardelli, Presidente del Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani nonché tra i fondatori di Osservatorio Balcani e Caucaso, e Paolo Di Croce, segretario generale di Slow Food Internazionale.
“Un viaggio che dia il senso di quell’Europa di mezzo 'tedesca-magiara-slava-romanza-ebraica'”, racconta Nardelli. “Un viaggio alla scoperta di saperi e sapori dei territori che il grande fiume attraversa, facendo tappa nei luoghi delle sue 'Comunità del cibo'. Un modo per elaborare chiavi di sviluppo locale ma, prima ancora, per costruire una cultura europea e mediterranea che degli 'attraversamenti' sia capace di fare tesoro”.
Un'“autostrada dei sapori”, stavolta sull'acqua che, al ritmo lento del pigro rollio del Danubio, possa ricreare legami e suggestioni, ma anche quel senso di identità meticcia che, in barba a visti e confini, lega indissolubilmente i Balcani al resto d'Europa. Anche a tavola.
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