L'Abkhazia è di nuovo in crisi: nell'ultimo mese una serie di eventi e proteste scatenate da una proposta di legge a favore degli investimenti russi hanno portato alle rocambolesche dimissioni del presidente Aslan Bzhania e ad elezioni anticipate, fissate per il prossimo febbraio
Il 30 ottobre 2024 Russia e Abkhazia hanno firmato un accordo di investimento, che consente alle aziende russe di finanziare progetti in Abkhazia con sostanziali vantaggi fiscali e doganali, tra cui l’IVA al 5% ed esenzioni dalle imposte sulla proprietà e sugli utili.
I progetti devono soddisfare un investimento minimo di due miliardi di rubli [circa 18 milioni di euro]. Mentre il governo abkhazo ha presentato l’accordo come una spinta per l’economia, per i leader dell’opposizione questo mina gli interessi nazionali e avvantaggia gli oligarchi stranieri senza contribuire al bilancio locale.
L’11 novembre 2024 il parlamento abkhazo ha approvato una legge che regola le misure necessarie all’accordo di investimento. La sera le forze di sicurezza hanno arrestato quattro attivisti dell’opposizione, tra cui anche degli ex parlamentari, dopo un incontro pubblico. L’opposizione ha condannato le detenzioni come motivate politicamente ed eccessivamente dure, sostenendo che gli attivisti sono stati perseguitati per aver criticato il governo.
Sono quindi scoppiate proteste per chiedere il rilascio degli attivisti detenuti. I manifestanti hanno bloccato le strade principali e i ponti vicino a Sukhumi, e alcuni hanno tentato di assaltare l’edificio del Servizio di sicurezza dello Stato.
A seguito di negoziati, le autorità hanno promesso di rilasciare i detenuti, portando alla riapertura temporanea di uno dei ponti bloccati. Il 12 novembre, tutti e cinque i detenuti sono stati rilasciati e il procedimento giudiziario contro tre di loro è stato archiviato per mancanza di prove. I manifestanti hanno quindi sbloccato i restanti ponti, ponendo fine alla situazione di stallo.
L’assalto al parlamento
Il 15 novembre era il giorno della prevista ratifica dell’accordo in parlamento e le proteste si sono intensificate quando prima in centinaia, poi in migliaia, si sono riuniti davanti al Parlamento. I manifestanti hanno chiesto il ritiro dell'accordo e le dimissioni del presidente Aslan Bzhania.
La sessione del Parlamento è stata annullata, ma i disordini si sono intensificati con scontri tra manifestanti e polizia, provocando feriti. Secondo quanto riferito dai media, alcuni agenti di sicurezza hanno disertato passando dalla parte dei manifestanti, che in seguito hanno circondato e occupato importanti edifici governativi, inclusa l’amministrazione presidenziale.
Il governo ha annunciato l’intenzione di ritirare il controverso disegno di legge, ma senza dar seguito all'intenzione. I leader dell’opposizione hanno proposto una leadership ad interim, mentre Bzhania ha rifiutato di dimettersi, provocando un ultimatum e minacce di ulteriori azioni. I media governativi hanno riferito che Bzhania ha tentato di radunare le forze di sicurezza, ma queste ultime hanno rifiutato l’ordine di riconquistare gli edifici governativi. Bzhania ha quindi lasciato Sukhumi.
L’opposizione ha formato un Consiglio di coordinamento e ha promesso di aumentare la pressione man mano che la crisi politica si aggravava.
Il 16 novembre, Bzhania, che aveva lasciato la capitale, rivolgendosi ai sostenitori nel suo villaggio natale di Tamishi ha espresso la disponibilità a dimettersi se i manifestanti avessero lasciato gli edifici governativi a Sukhumi. Ha poi proposto il vicepresidente Badra Gunba come presidente ad interim e si è impegnato a candidarsi alle elezioni anticipate. I manifestanti a Sukhumi hanno rifiutato l’offerta, chiedendo le dimissioni immediate e continuando l’occupazione con una partecipazione in costante crescita.
Il 17 novembre Bzhania, sempre a Tamishi, ha ritrattato la propria disponibilità a dimettersi. I manifestanti hanno smantellato le barriere attorno al complesso governativo, lasciando simbolicamente un tratto di recinzione come promemoria per i futuri leader.
Elezioni anticipate
La situazione di stallo ha lasciato l’Abkhazia divisa tra due centri di potere: l’amministrazione di Bzhania a Tamishi e le forze di opposizione che controllavano il quartiere governativo di Sukhumi. Le parti hanno avviato colloqui per mediare la crisi, con interlocutori il parlamento abkhazo e la Camera pubblica.
Nella notte tra il 17 e il 18 novembre sono stati esplosi colpi di arma da fuoco vicino all'edificio della compagnia televisiva e radiofonica statale dell'Abkhazia.
Il 18 novembre sono iniziati i negoziati diretti tra rappresentanti del governo e dell’opposizione, moderati dal presidente del parlamento Lasha Ashuba. Il vicepresidente Badra Gunba, il presidente delle dogane statali Otar Khetsia e il membro della Camera pubblica David Pilia rappresentavano la fazione di Bzhania. All'incontro hanno partecipato i leader dell’opposizione Adgur Ardzinba, Kan Kvarchia e Levan Mikaa. L’oggetto dei negoziati erano le dimissioni di Bzhania e degli accordi transitori, con Gunba proposto come presidente ad interim.
Sono emerse notizie secondo cui la milizia guidata da Akhra Avidzba, attiva nel Donbas dal 2014, sarebbe stata inviata in Abkhazia. Avidzba ha confermato il suo coinvolgimento attraverso un post sui social media, aggiungendo un elemento controverso alla crisi in corso, e dimostrando di nuovo l’effetto spin-off della guerra in Ucraina in Abkhazia, con i miliziani coinvolti nel conflitto che hanno acquisito un peso notevole, nonché potere di ricatto.
All'alba del 19 novembre, dopo sette ore di negoziati, il presidente Bzhania ha presentato una lettera di dimissioni. Tuttavia, ha dichiarato la sua intenzione di ritirarle se i manifestanti non avessero lasciato gli edifici governativi occupati. Il parlamento ha approvato le dimissioni il giorno stesso. Dopo le sue dimissioni, il vicepresidente Gunba ha assunto la presidenza. Sono state annunciate le elezioni presidenziali anticipate a metà febbraio 2025.
L’Abkhazia entra quindi in campagna elettorale. Anche il primo ministro Alexander Ankvab e il capo del servizio di protezione statale Dmitry Dbar si sono dimessi.
Ankvab aveva subito la stessa sorte dal presidente Bzhania, nel 2014. All’epoca da Sukhumi - dove erano stati presi d’assalto i palazzi governativi - si era rifugiato in una base militare russa. Era stato poi succeduto alla presidenza da Raul Khajimba, a sua volta costretto dalle proteste per brogli elettorali a non assumere il secondo mandato nel 2020. Bzhania, eletto al suo posto nel 2020, avrebbe dovuto portare avanti la presidenza fino alla primavera 2025, ma il suo primo mandato non è arrivato al termine.
Nessuna di queste proteste che portano al ricorrente rovesciamento della presidenza è anti-russa. Le lotte intestine dei vari clan e piccoli potentati abkhazi, con le loro frange armate, inclusi i veterani delle guerre abkhaze e i combattenti di quella ucraina, si spartiscono una fetta di potere ipotecata alla mano di Mosca.
I margini per le rivendicazioni e le preoccupazioni della società civile su questo accordo, così come sui numerosi capitoli di scontro con la Russia, erano e rimangono residuali.
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