I Giochi Olimpici di Sochi, pochi chilometri dal confine abkhazo, non hanno coinvolto né le imprese né gli atleti della repubblica de facto. Reportage
Dai piani alti dei palazzi di Tsandripsch la vista spazia fino a Adler, una delle sedi delle Olimpiadi di Sochi. Ma le luci dei fuochi d’artificio che illuminano a giorno il cielo sul Mar Nero sono l’unica festa alla quale la cittadina abkhaza, a meno di cinque chilometri dal confine russo, potrà partecipare. Guardando da lontano. L’Abkhazia, la repubblica separatista georgiana riconosciuta solo da cinque paesi al mondo, tra i quali la Russia, è rimasta fuori dai giochi. Non solo olimpici.
Le speranze di riavviare l’immobile economia abkhaza ritagliandosi uno spazio nelle più costose Olimpiadi della storia si sono dissolte come neve al sole. Le imprese abkhaze non hanno vinto nessun appalto dell’immenso cantiere, e solo pochi operai sono riusciti a ottenere un contratto di lavoro. Mosca ha imposto significativi limiti al confine, facendo così svanire la speranza di un’ondata di turisti fuori stagione sulle spiagge ciottolate e negli hotel dal sapore Soviet agit-prop.
Il movimento dei pedoni sullo stretto ponte sul fiume Psou, che segna il confine con la Russia, rimane libero, ma dal 7 gennaio un sistema di quote regola il transito di auto e cargo. Da parte sua Sukhumi, per calamitare turisti e curiosi, ha semplificato le procedure per entrare nel Paese: dal 10 febbraio e per tutto il periodo delle Olimpiadi sarà possibile ottenere il visto direttamente sul fiume Psou, anziché fare domanda online.
I 20 milioni di tonnellate di ghiaia e sabbia trasportate oltre confine rimangono poca roba rispetto alle previsioni dell’ex leader abkhazo, Sergei Bagapsh. Nell’aprile 2008, l’ex presidente (deceduto nel 2011) aveva parlato di oltre $300 milioni di investimenti russi, con la possibilità di riaprire l’aeroporto di Sukhumi, inattivo dalla guerra del 1992. Gli aerei non sono tornati a volare e anche i treni per Mosca, via Sochi, sono sospesi fino alla fine delle Para Olimpiadi in marzo.
Viaceslav Chirikba
Dal suo ufficio nel centro di Sukhumi, Viaceslav Chirikba, ministro degli Esteri, ammette che “l’impatto sull’economia abkhaza è stato contenuto e si è limitato alla fornitura di ghiaia.” Ma sostiene l’importanza della collaborazione “con le autorità russe nella sfera della sicurezza,” perché, spiega “non vogliamo che alcuna minaccia ai Giochi arrivi dal nostro territorio,e le forze di sicurezza abkhaze e russe lavorano fianco a fianco.”
Una precauzione giustificata. Lo scorso 19 settembre Yusup Lakayev, russo di etnia cecena, è stato arrestato a Batumi con l’accusa di aver ucciso dieci giorni prima a Sukhumi il primo segretario dell’ambasciata russa in Abkhazia, Dmitry Vishernev, e sua moglie Olga. Dal 20 gennaio le autorità russe hanno creato una nuova area di sicurezza che si estende 11 chilometri in territorio abkhazo.
Da Tbilisi, che considera l’Abkhazia parte integrante della Georgia, il governo ha definito la decisione “un’azione illegale” in territorio georgiano e da Bruxelles il Segretario Generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, si è detto “molto preoccupato”, affermando che il Patto Atlantico “sostiene fermamente la sovranità e l’integrità territoriale della Georgia nei suoi confini internazionalmente riconosciuti.”
Da Sukhumi, Chirikba smorza i toni.
“Si tratta di una zona di sicurezza, non di un confine. Il confine rimane dove deve essere, sul fiume Psou. È un provvedimento temporaneo, dopo le Olimpiadi tutto tornerà alla normalità.”
Dei cinque paesi che riconoscono l’Abkhazia come paese indipendente (il sesto, Vanuatu, lo stato-arcipelago nell’Oceano pacifico, riconobbe l’indipendenza nel maggio 2011, salvo poi revocarla il mese successivo), è il peso massimo russo a fare la differenza. Dal riconoscimento ufficiale nel 2008 – successivo al breve conflitto russo-georgiano scatenatosi per il controllo della gola di Kodori (oggi sotto controllo abkhazo) e per l’altra regione separatista della Georgia, l’Ossezia del sud – il Cremlino ha sostenuto l’Abkhazia con oltre $300 milioni e ha stanziato altri $90 milioni per i prossimi tre anni.
Il think tank International Crisis Group ha stimato che nel 2012 i sussidi russi al budget statale abkhazo sono stati nell’ordine del 70 percento.
In una regione dove edifici dalle facciate crivellate e palazzi danneggiati dalle bombe sono una vista quotidiana, questo sostegno è essenziale.
Il 27 settembre 1993, dopo tredici mesi di combattimento, l’esercito georgiano capitolò e le forze abkhaze conquistarono Sukhumi. Si chiudeva così, con la bandiera bianco-rosso-verde issata sul palazzo del governo, uno dei conflitti più sanguinosi seguiti alla rottura dell’Unione sovietica.
Lo scheletro bruciato del palazzo del governo si staglia nel cuore della città a monumento di una violenza che ha lasciato sul campo migliaia di morti, oltre 250mila sfollati georgiani e circa 1.800 dispersi. Gli stendardi issati per il ventennale che si sollevano alla brezza marina rimandano a un’amara vittoria. Vent’anni di decadenza e abbandono hanno steso uno spesso velo di abbandono sulla Riviera del Mar Nero, per decenni meta privilegiata dell’elite moscovita. Moli arrugginiti e rosi dalla salsedine punteggiano la costa; erbacce circondano gli eleganti palazzi liberty del primo Novecento, dove porte e finestre mancanti rimandano all’embargo che ha isolato la regione dal resto del mondo. Stabilimenti termali e balneari mantengono una decadente austerità sovietica, grandiose stazioni dei treni in puro stile gotico-staliniano si stagliano su binari morti.
Ricordi della prosperità che fu, sullo sfondo di una natura meravigliosa di palme, alberi di agrumi e cipressi ai piedi del Caucaso, di fronte al profondo blu del Mar Nero.
Mondiali di domino
L’amarezza per le occasioni mancate è anche sportiva. Mancando il riconoscimento internazionale, la bandiera abkhaza è esclusa dalle competizioni olimpiche e dalla gran parte delle competizioni sportive internazionali. Per gli atleti promettenti l’unica via di uscita è prendere il passaporto russo, andare a Mosca e gareggiare per la Federazione russa. Come Denis Tsargush, lottatore e vera icona in Abkhazia, due volte campione europeo e medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Londra del 2012.
“Coltiviamo il talento dei nostri atleti, ma poi dobbiamo lasciarli andare,” spiega Yuri Logua, vice-ministro dello Sport e delle attività giovanili. Logua, ex calciatore nelle fila del Dinamo Sukhumi, poi allenatore, è uno sportivo prestato alla politica che pensa però che “la politica dovrebbe essere lasciata fuori dallo sport. Come si fa a spiegare a un ragazzino promettente che non può gareggiare per il suo paese?”
Le possibilità sono poche, ma ci sono.
Nella piccola palestra dove allena la nazionale di shotokan karate, Akhra Abukhba è meno amaro.
“Il karate non è ancora disciplina olimpica come il judo,” spiega l’ottimista cintura nera “il che significa che la federazione internazionale e i singoli paesi decidono se e chi può partecipare a tornei e campionati. La nazionale abkhaza ha partecipato alla Coppa del Mondo in Spagna nel 2010, vincendo la competizione a squadre. Lo scorso autunno eravamo in Messico, a giugno saremo a Cuba.”
Ottenere l’ok a partecipare non è l’unico ostacolo. Il passaporto abkhazo non è riconosciuto e per ottenere il visto gli atleti utilizzano quello russo (si stima che il novanta per cento dei 240,000 abkhazi abbia un passaporto russo), ma non potendo provare la residenza in Russia, spesso la richiesta di visto viene rigettata.
L’alternativa è ospitare sul proprio territorio competizioni internazionali. Nel 2011, Sukhumi è stata scelta per il Campionato del mondo di domino, un evento che ha portato nella città oltre 200 partecipanti in rappresentanza di 25 paesi.
“Certo il domino non è un’Olimpiade, ma essere scelti come sede dei mondiali è stato un grande riconoscimento. È servito per aggiungerci alla mappa geografica di centinaia di persone che non avevano mai sentito parlare dell’Abkhazia.”
Incantevole Abkhazia
I rubli del Cremlino hanno certamente portato una ventata di ottimismo e ricchezza. Sono stati costruiti nuovi hotel, ristrutturati stabilimenti termali, e realizzate nuove strade. Sulla lunga promenade mamme con eleganti passeggini si fermano a guardare le partite di domino e scacchi, i café offrono wi-fi gratis, e teenagers scattano selfies con iPhones e Galaxy.
Sono proprio i giovani in Abkhazia – o Apsny, Terra dell’Anima – a sapere che spetta loro costruire il futuro del loro paese. E proprio ai giovani il ministero degli Esteri ha affidato il ruolo di testimonial per un video turistico promozionale che ha acceso i social media. In Enchanting Abkhazia (Incantevole Abkhazia), sette ragazzi invitano a visitare le montagne e il mare della repubblica parlando sette lingue diverse. Un invito a vedere con i propri occhi.
“I giovani abkhazi che viaggiano e studiano all’estero sono gli ambasciatori non ufficiali della repubblica,” spiega Madina Sulava, un’attivista giovanile. “Ma il riconoscimento non è l’unico problema. Il nostro sviluppo interno è fondamentale, dimostrare che siamo un paese democratico e indipendente, che possiamo stare in equilibrio sulle nostre gambe, da soli.”
A ben vedere però è ancora presto per recidere il cordone ombelicale con Mosca. Circa 30mila pensionati che ricevono la pensione da Mosca, il prefisso internazionale è quello russo, la moneta il rublo. Il russo, accanto all’abkhazo, è lingua ufficiale e di gran lunga la lingua più comune per le strade e nei café.
Secondo Chirikba, circa 3.500 soldati e ufficiali dell’FSB russi – Federal'naya sluzhba bezopasnosti Rossiyskoy Federatsii, erede del KGB – sono di stanza in Abkhazia dove aiutano le forze abkhaze nel controllo del confine con la Georgia. Tbilisi, e la maggior parte dei paesi del mondo, definisce la linea di demarcazione un confine amministrativo, non internazionale.
“Mosca ci aiuta a essere indipendenti, a essere liberi, protetti e sicuri, insiste Chirikba. [Ci aiuta] a sviluppare l’economia, a far piani per le nostre famiglie, a crescere i nostri figli. L’assistenza della Russia è un fattore positivo, non negativo. Molti sono rimasti alla Guerra fredda. No, ora è diverso, la Russia non è l’Unione sovietica.”
Hai pensato a un abbonamento a OBC Transeuropa? Sosterrai il nostro lavoro e riceverai articoli in anteprima e più contenuti. Abbonati a OBCT!