A più di un anno dall’ultima manifestazione e a quattro mesi precisi dalle prossime elezioni politiche, l’opposizione albanese è scesa in piazza per chiedere la formazione di un governo tecnico che porti il paese al voto
Partiti da molte città d’Albania, con le bandiere blu e bianche in mano e, dicono le bene informate malelingue, il gettone di presenza in tasca, migliaia di sostenitori del Partito Democratico si sono radunati sabato mattina davanti alla “sede blu” nel centro di Tirana. A mezzogiorno, la folla è partita guidata dal leader Lulzim Basha e sovrastata da tre grandi pupazzi con le sembianze di alcuni dei protagonisti più discussi del governo, il premier Edi Rama, il ministro dell’Interno Saimir Tahiri e il ministro della Sanità Ilir Beqaj.
Nella piazza davanti al Palazzo del Governo, mentre i manifestanti incendiavano i fantocci, il leader del PD Basha accendeva la folla e annunciava che questa sarà una protesta ad oltranza, che potrà concludersi solo con la proclamazione di un governo tecnico che possa garantire la regolarità delle imminenti elezioni politiche, in programma il 18 giugno prossimo. È stato un intervento insolitamente grintoso quello di Basha, un chiaro invito ai suoi sostenitori alla battaglia e al sacrificio. “Siamo disposti a tutto per una vita più dignitosa, per separare la politica dal crimine, soprattutto per avere elezioni regolari, nel rispetto degli standard europei”, ha affermato il leader del Pd prima di unirsi ai manifestanti seduti a terra.
Subito dopo sono arrivati dei camioncini a confermare le voci che erano circolate nelle ore precedenti: un grande tendone sarebbe stato allestito sul Boulevard, per occupare lo spazio davanti alla Presidenza del Consiglio fino alle dimissioni del premier Rama. “Questo è l’inizio della rivoluzione”, ha aggiunto l’ex premier e leader storico e incontrastato del Partito Democratico, Sali Berisha, anche lui seduto in piazza con i manifestanti.
Il futuro del Partito Democratico
Lulzim Basha ha ereditato da Berisha nel 2013 un partito logorato da otto anni di governo e innumerevoli scandali legati alla corruzione, ma in questi anni non è riuscito a rinnovarne né il modo di fare opposizione, né l’immagine agli occhi degli elettori.
Consapevole che il suo Pd molto difficilmente riuscirà a tenere testa all’alleanza – seppure in attesa di ufficiale conferma - tra il Partito Socialista di Edi Rama e il Movimento Socialista per l’integrazione di Ilir Meta, con la manifestazione di sabato e l’occupazione della piazza, Basha ha portato l’opposizione albanese ad un punto di non ritorno: ha scelto un percorso radicale, visto da più parti come disperato, per limitare i danni dell’imminente confronto elettorale, di cui sarà probabilmente lui il primo a farne le spese.
Ormai è chiaro a tutti che non basterà incendiare tre fantocci in piazza per frenare la corruzione del governo, né ci potranno essere dentro il tendone montato in piazza riti apotropaici abbastanza efficaci da tenere lontane le temute elezioni. Dopo il già disastroso risultato delle amministrative del 2015, questa volta per il capo del Pd non si prevedono sconti, né dagli elettori, né dai compagni di partito.
La rivoluzione e la democrazia
Nel tour intrapreso in molte città dell'Albania, in vista della “più grande manifestazione degli ultimi 27 anni”, Basha ha continuamente invitato i cittadini e soprattutto i giovani a scendere in piazza, a fare la rivoluzione seguendo l’esempio della Romania, per opporsi alla corruzione, ai legami del governo con la criminalità organizzata, alla dilagante coltivazione di cannabis nel paese, al collasso del sistema sanitario e dell’istruzione.
Nel caso albanese però è evidente che nessuna rivoluzione, nessun rovesciamento dell’attuale ordine politico potrà verificarsi se a guidarla sarà una stessa fazione di quel potere, ugualmente responsabile e imputabile della povertà e del degrado che va denunciando. Su quel Boulevard di Tirana le responsabilità sono comuni e i metodi gli stessi, ad essere cambiato negli anni è solo lo stile.
A capo dell’opposizione nel gennaio 2011, politicamente solo ed inerme di fronte all’inarrestabile corruzione del governo Berisha, Edi Rama scelse quella stessa piazza come ultima possibilità per far arrivare ad elettori e internazionali l’immagine di una realtà anomala e fuori controllo. I colpi di arma da fuoco che stroncarono i quattro manifestanti socialisti fecero il resto.
Sabato scorso, ad attendere i manifestanti in piazza c’era una prima fila di agenti donne, messe avanti allo scopo di attutire eventuali sfoghi violenti della folla. Non c’erano più le sbarre che i socialisti assalirono nel 2011 e che Rama ha fatto togliere appena insediato, né tantomeno i tiratori appostati dentro il Palazzo del Governo con la mano sul grilletto. All’epoca, non dimentichiamo, a capo del ministero dell’Interno c’era proprio Lulzim Basha.
Questo sabato, appena scaduto il permesso per la manifestazione, l’attuale ministro dell’Interno è subito intervenuto per confermare che non sarebbe stata intrapresa nessuna azione per allontanare i manifestanti. “Ce ne faremo carico, non li uccideremo”, sono state le testuali parole di Tahiri. Sulla stessa linea anche il premier Rama che, ricordando le vittime del 2011, ha sottolineato l’orgoglio per una manifestazione senza cecchini e filo spinato. Di quell’infelice gennaio del 2011 il Partito Socialista oggi al potere ha fatto lezione ed ha ben chiaro che qualsiasi risposta, anche ad atti di violenza, sarebbe solo controproducente.
A ben guardare, in tutti questi anni a Tirana si è passati semplicemente da un governo che spara sulla folla ad un altro che si fa vanto di non farlo. La democrazia invece rimane ancora in una fase embrionale, tanto in piazza quanto nelle istituzioni adiacenti.
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