Artista, scrittrice, viaggiatrice. Edith Durham è una personalità complessa e per alcuni versi, al di fuori del mondo albanofono, poco conosciuta. Una recensione del libro che Marcus Tanner ha dedicato alla prima donna inglese divenuta vice-presidente del Royal Anthropological Institute di Londra
Chi era Edith Durham? E' una domanda che mi viene posta più spesso di quanto vorrei, perché questa donna formidabile meriterebbe di essere conosciuta di più. La risposta in ogni caso non è mai semplice.
Quando morì nel 1944, l'annuario degli artisti britannici, The Year’s Art, pubblicò una breve nota che sinteticamente la descriveva come una “viaggiatrice del mondo ed una vera artista”. Infatti, la prima identità pubblica di Edith Durham era proprio quella dell'artista, dato che esibiva i suoi acquarelli alla Royal Academy e contribuiva con sue illustrazioni al volume del Cambridge Natural History su anfibi e rettili.
Tuttavia, quando - alla fine della sua vita - si descrisse in una nota per l'albero di famiglia, creato per i suoi pronipoti, non menzionò la sua arte; ma si definì “autrice e viaggiatrice”. Sicuramente Edith Durham merita di essere conosciuta per entrambi questi aspetti: ha infatti scritto sette libri, tutti su temi balcanici, così come ha viaggiato ampiamente nei Balcani, più notoriamente negli altipiani albanesi, dove nessuna donna inglese era mai stata prima di lei.
Ma c'è molto di più da dire su Edith Durham: quando il programma tv albanese Fiks fare ha chiesto ad un bambino di una scuola di Tirana chi fosse Edith Durham, quest'ultimo ha risposto: “La nostra preside”. Non era ovviamente la risposta corretta, ma il motivo della confusione del bambino è rilevante: si trattava di un allievo di una scuola intitolata proprio ad Edith Durham. In Albania vi è infatti più di una scuola che porta il suo nome (ne conosco una in Kosovo come pure una a Tirana); molte vie le sono state intitolate (ne ho viste a Korca, Shkodra, Fushle Kosova, Tirana e Priština); le è stato pure dedicato un francobollo, prodotto dalla Repubblica del Kosovo, ed una placca commemorativa sulle cime delle montagne maledette, che segnano il confine tra Kosovo e Albania.
Ma perché questa donna ha un così durevole riconoscimento in un paese che non è la sua terra natia? Nessun illustratore del volume del Cambridge Natural History su anfibi e rettili è così rispettato e neppure la pubblicazione di sette libri può motivare una tale adorazione nazionale.
Oltre ad essere un'autrice, una viaggiatrice ed un'artista, Edith Durham era una grande amica dei popoli balcanici. Dal 1903 al 1914, i suoi viaggi nel sud-est Europa non erano semplicemente compiuti allo scopo di registrare quanto vedeva con i suoi occhi di artista: attenti ai dettagli, obiettivi e poco sentimentali; ma li faceva anche per dare una mano quando ve n'era bisogno. Oggi nei Balcani ci sono probabilmente decine di migliaia, se non centinaia di migliaia di persone che sono al mondo solo perché Edith Durham ha salvato i loro bisnonni o i loro trisnonni. Questa è la principale motivazione della sua enorme popolarità, in più, per gli albanesi di Kosovo e Albania, si deve aggiungere la sua attività di lobbying per la causa albanese una volta tornata permanentemente nel Regno Unito.
Queste svariate identità costituiscono una sfida per chiunque desideri scrivere un libro su Edith Durham: pittrice di acquarelli, autrice, viaggiatrice, infermiera ed eroina degli albanesi. Il mio libro Edith and I; on the trail of an Edwardian traveller in Kosovo, che è uscito lo scorso anno, viene archiviato sia sotto “biografie” sia sotto “viaggi” ed è dichiaratamente una visione parziale di Edith Durham attraverso il suo e il mio tempo passato in Kosovo.
Quest'anno, Marcus Tanner ha dato alle stampe il suo libro su Edith Durham intitolato Albania’s Mountain Queen; Edith Durham and the Balkans, che può essere posizionato contemporaneamente sotto “Storia Politica” esattamente come sotto “Biografie”.
Talvolta (nelle 18 pagine del primo capitolo ci sono solo 5 vaghi riferimenti ad Edith Durham, usata come gancio a cui appendere abilmente una sintesi abbozzata della storia politica di Croazia, Bosnia, Albania, Bulgaria, Montenegro e Macedonia), sembra quasi che non si parli affatto della Durham in questo libro. In altri punti, non sembra si parli di Albania (essendo una narrazione attorno ai suoi viaggi nei Balcani, solo cinque degli undici capitoli sono focalizzati su quel paese). Questo forse rende il libro di Tanner una lettura frustrante per chi volesse concentrarsi sulla regina delle montagne o sull'Albania, com'è stata incoronata dalla gente.
Comunque, ciò che il libro riesce a dare è una generale, ma vivace, informata e leggibile storia dei Balcani degli anni venti e di quegli anni di svolta in cui Edith Durham è stata attiva laggiù (a partire dal 1900). In questa storia generale, molto più che nelle sezioni focalizzate sulla Durham, Tanner va al di là delle fonti primarie delle sue lettere, diari e resoconti pubblicati e usa una serie di altri materiali per spiegare e contestualizzare i paesi dei Balcani e la relazione dell'Europa occidentale con ciascuno di loro - da Oscar Wilde con la Bulgaria a Tennyson con il Montenegro al componimento di G.K. Chesterton per celebrare il “Giorno del Kosovo", nel 1916.
Inoltre, i dettagli tratti dagli scritti di Durham sul suo lavoro umanitario sono una buona risposta a quel bambino della scuola albanese che conosceva il suo nome senza però sapere quello che aveva fatto. L'ammirazione per questo aspetto meno conosciuto della persona di Durham può solo crescere leggendo il racconto di Tanner, basato sui vividi racconti di Edith sul suo lavoro con i rifugiati: tra cani randagi e difficoltà a gestire un ospedale tra scontri culturali e relazioni con un personale poco formato e caratterizzato da molte superstizioni.
Ma quello che il libro aggiunge alla sua reputazione di volontaria lo detrae al suo essere antropologa. Il suo contributo in questo campo è probabilmente ciò che nella vita le ha attribuito maggior fama: lo dimostra il fatto che Edith Durham sia divenuta vice presidente del Royal Anthropological Institute (la prima donna ad acquisire l'incarico). Il modo in cui Tanner tratta del suo interesse per l'antropologia rasenta però il beffardo (“Edith Durham si è dovuta confrontare con il fatto che quella gente che indossava indumenti affascinanti e antichi – gli stessi che erano così belli nelle fotografie e negli acquarelli, che si appoggiavano a pozzi e che portavano secchi di acqua – riusciva spesso a farla infuriare”). Tanner non dà credito all'obiettività con cui la Durham sembra aver trattato le persone che vengono descritte nei suoi saggi antropologici. Ad esempio quando afferma che “la Durham trovava affascinanti gli amuleti rurali. Le sono in seguito piaciuti meno quando ha scoperto che i macedoni avevano maggior fede nella loro di capacità curativa che in quella delle medicine occidentali” si sofferma sulla sconnessione tra amuleti e scienza e non considera gli importanti contributi della Durham sullo studio degli amuleti.
Il libro di Tanner preferisce privilegiare la politica sul folclore, senza considerare la convinzione della Durham che il folclore è politica (e che davvero spesso nei Balcani la politica è folclore).
D'altra parte, la brutale onestà del libro a proposito degli ultimi anni di vita di Edith Durham è una rinfrescante correzione alla narrativa corrente, che la celebra come un tesoro nazionale, in particolare tra gli albanesi e gli albanofili.
La Durham si è dedicata con passione alla causa albanese negli ultimi 20 anni della sua vita, e gran parte delle sue pubblicazioni risalgono a questo periodo. Questi anni quindi hanno sempre rivestito un'importanza particolare nelle raccolte dei suoi lavori finora presentate al pubblico (la prima, Albania and the Albanians; selected articles and letters 1903-1944, realizzata da Bejtullah Destani, pubblicata nel 2004; la seconda The Blaze in the Balkans; selected writings 1903-1941, realizzata da Robert Elsie e Bejtullah Destani che è uscita quest'anno con una mia introduzione).
Questa non è la Edith Durham che vogliamo celebrare e fortunatamente non è la donna che rimane con noi dopo la lettura del libro di Tanner – invece ricordiamo i dettagli che condivide con noi dai suoi scritti, il suo eccentrico ascoltare il suo fonografo in un caffé di Sarajevo o aspetti pratici alla Moneypenny (Moneypenny è un personaggio della serie dell'Agente 007 James Bond, che ricopre il ruolo di segretaria di M, il capo della speciale struttura con cui viene identificato il Secret Intelligence Service britannico denominata MI6, ndr) necessari per portare a termine con successo una Mostra montenegrina presso al Earl's Court di Londra: il ministro degli Interni montenegrino “venne a Londra ma per poco non si presentò all'inaugurazione della mostra perché sosteneva di non avere la camicia adatta. La Durham allora s'affrettò fuori e gliene comperò una”.
Sia quel che sia le sue sfuriate passionali a giornali e autorità, con articoli sul quotidiano Man e le sue frequenti lezioni pubbliche sono state alla fine futili e le hanno portato esclusivamente la dubbiosa vittoria di essere entrata negli archivi del Foreign Office come ‘Durham, Mary Edith; non consigliabile corrispondere con lei’.
Tanner scrive in modo spietatamente accurato del suo libro del 1925 che “la vera colpa di The Sarajevo Crime non è che fosse sbagliato ma che era noioso... la Durham sembrava bloccata nel passato, ossessionata da chi avesse detto o fatto qualcosa negli anni prima del 1914, mentre tutti gli altri erano andati avanti”.
Edith Durham - nel suo essere artista, scrittrice, volontaria, antropologa e persino lobbista - è stata ed è tuttora una fonte di ispirazione; è un motivo di gioia che attraverso questo nuovo libro, la sua storia sia raccontata in modo ancora più esteso.
* Elizabeth Gowing è autrice di Edith and I; on the trail of an Edwardian traveller in Kosovo (Elbow Publishing, 2013) – www.edith-and-i.com
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