Kadaré l'ha definita la "città più ripida del mondo". E' Gjirokastra, nel sud dell'Albania, al confine con la Grecia. Anche la sua çarshija si estende su viuzze in salita. La struttura architettonica di quest'ultima si è mantenuta nei secoli, ma tarda a recuperare una nuova vita commerciale. Il nostro approfondimento all'interno del dossier sui mercati d'origine ottomana nei Balcani
“Gjirokastra è una città ripida, forse la più ripida al mondo”, scrive Ismail Kadaré in "Cronaca su pietra", uno dei suoi capolavori, dedicato alla propria infanzia vissuta in questa città del sud dell'Albania. E ripido è anche il bazar ottomano della città: si sale e si scende di continuo, seguendo il ritmo pendente del ciottolato e dei tetti delle case, ricoperti di lastre di pietra calcarea.
Il bazar è una combinazione di tonalità del grigio e del bianco luminoso delle facciate appena restaurate. Da quando Gjirokastra è diventata patrimonio dell'Unesco nel 2005, il bazar sta iniziando a recuperare la sua identità, anche se molto rimane da fare.
Gjirokastra è una città costituita da due nuclei urbani adiacenti, quello storico, che si inerpica in altitudine, e quello più recente, giù nella valle, sorto dopo la Seconda guerra mondiale. Una convivenza spesso non facile, un conflitto di epoche che si mescolano e si scontrano rischiando di provocare squilibri ai danni di uno dei patrimoni storici e culturali tra i più preziosi dei Balcani.
Gli edifici nuovi, costruiti sin dai primi anni del regime di Hoxha, hanno portato in città molti abitanti delle campagne circostanti, ma hanno spostato verso appartamenti più comodi e più moderni anche i proprietari delle case-fortezze dei quartieri storici. I negozi del bazar hanno chiuso i battenti e il centro storico si è spopolato. Con esso è morto anche il bazar, anche se la sua struttura architettonica si è conservata molto bene, grazie al fatto che la città negli anni '60 venne proclamata città museo e centro di molte attività culturali a livello nazionale. Il fatto che Gjirokastra abbia dato i natali al dittatore Enver Hoxha, e allo scrittore Ismail Kadaré ha ulteriormente contribuito a valorizzarne il patrimonio architettonico.
L'antico bazar
Un venditore di cellulari, una sarta, un negozio di souvenir, un altro che vende dei kilim, qualche caffè e un traffico intenso. E' tutto ciò che rimane dell'antico bazar. Quest'ultimo è ancora situato in un punto nevralgico, snodo cruciale tra diversi quartieri. E ne paga le conseguenze in termini di traffico: alcune Ong che in questi anni si sono occupate della sua rivitalizzazione hanno in più occasioni fatto presente il problema alle autorità locali, le quali però posticipano la soluzione al momento in cui si potrà costruire una strada tangenziale alternativa.
Solo in pochi si fermano al bazar per comprare, o tanto meno per bersi un caffè ai lati dei vicoli. “Il bazar è morto, non c'è più. Si è spostato tutto giù, a valle. Dovrebbero portare qualche istituzione quassù per fare in modo che la gente ci venga. Ad esempio l'università, gli studenti potrebbero rivitalizzarlo” commenta una signora anziana che vende qilim, tappetti tradizionali.
Quest'ultima è un'idea che circola da tempo. Ma sembra più facile a dirsi che a farsi. “E' difficile conciliare l'architettura storica, degli esterni e degli interni degli edifici del bazar, con una funzione moderna come quella di un'università – commenta Elenita Roshi, vicedirettrice dell'Organizzazione per la conservazione e lo sviluppo di Gjirokastra. La maggior parte degli edifici sono monumenti culturali di prima e seconda categoria, il che implica il divieto di alterarne molte delle loro caratteristiche.
Il difficile restauro
Non è molto facile neanche intraprendere il restauro degli edifici, fase cruciale che spianerebbe la strada alla rivitalizzazione. L'architettura particolare, di carattere ottomano - che è per lo più il risultato di un incrocio di culture e di scambi delle élite economiche ottomane in questa parte del mondo - necessita di tecnici estremamente specializzati. A saper sistemare i tetti con le lastre di pietra, sono ormai in pochi. Mentre per gli interni, ricoperti di numerose decorazioni in legno intarsiato, servono artigiani specializzati, molti dei quali negli ultimi anni sono emigrati in Grecia.
E' però anche vero che il fatto di essere Patrimonio dell'Unesco ha favorito l'arrivo di finanziamenti per le ristrutturazioni – in particolare dal Packard Humanities Institute e dall'Unione europea - e grazie ai vari donatori si è riusciti a istituire squadre di studenti di architettura provenienti da tutta Europa. Ma il processo è ancora agli inizi e i risultati sono per ora poco visibili. E quello che più preoccupa sono gli interventi di ristrutturazione non coordinati. Qua e là il colore delle lastre di pietra è sostituito dal rosso di tegole comuni. “Il tetto stava cadendo, ho fatto richiesta alle autorità ma nessuno mi ha aiutato. Le lastre di pietra costano troppo. Avrei utilizzato quelle se avessi potuto permettermelo” commenta un signore anziano.
Paradossalmente il primo ostacolo da superare non sono i finanziamenti, ma la questione della proprietà degli edifici abbandonati che si vogliono ora ristrutturare. E' infatti necessario il consenso di tutti i proprietari, che per ogni edificio sono tanti e sparsi in tutto il mondo. “Siamo nella fase della raccolta delle firme della famiglia Kokalari, sono ben 70 membri da rintracciare tra Gjirokastra, Tirana, l'Inghilterra, gli Stati Uniti e il Canada” esemplifica Elenita Roshi.
Il peso della storia albanese degli anni '90 ha lasciato tracce negative anche in questa città. Nel '97 durante la crisi politica ed economica, il catasto è stato incendiato e alle Ong che si occupano della rivitalizzazione del bazar spetta anche il ruolo difficile di superare i problemi legali tra i proprietari.
Il turismo e il bazar
Qualcosa comunque si muove. I turisti provengono dall'Europa del nord, dall'Italia e dalla vicina Grecia, ma sono in crescita anche turisti provenienti da altri Paesi balcanici. Qualche abitante pensa già di trasformare in bed & breakfast la sua proprietà che dà proprio sull'arteria principale del bazar. Mentre in uno dei vicoli si trova l'appena istituita organizzazione degli artigiani, che mira a far rientrare e a sostenere economicamente gli artigiani, emigrati negli anni passati per lo più in Grecia.
Tra l'abbandono e il traffico, in qualche caffè, tre o quattro uomini si raccolgono e intonano un canto iso-polifonico – anche questo patrimonio culturale dell'Unesco – emettendo una combinazione di suoni gutturali, acuti, secondo un preciso schema musicale antico. E' musica improvvisata, tipica di questa città. Un canto antico, sopravvissuto, ma anche un barlume di speranza per quello che il bazar diventerà quando vi ritorneranno gli artigiani, i venditori tradizionali e, naturalmente, i clienti.
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