L’esplorazione del fiume Drini dalla sorgente al mare Adriatico di un gruppo di canoisti. Un resoconto di viaggio molto particolare, svoltosi nell'Albania sotto occupazione italiana. Una recensione pubblicata originariamente su Albania News

19/08/2011 -  Franco Tagliarini

Tra la pubblicistica sull’Albania degli anni ’40 mi è sembrato interessante recensire un volume edito in Germania nel 1939, che descrive una spedizione sportiva lungo il corso del fiume Drini. Il libro, di 125 pagine, di cui è autore Karl Karohl “Durch Albaniens Schluchten” (Negli abissi dell’Albania) fu pubblicato dall’editrice Brücke-Verlag – Kurt Schmersow di Kirchhain e contiene 54 illustrazioni in bianco e nero.

Sono riuscito a trovare il volume in una libreria antiquaria tedesca ed ho fatto scannerizzare dal libro numerose fotografie così da inserirle in questo articolo, per far conoscere ai lettori interessanti aspetti dell’Albania dell’epoca.

E’ necessario premettere che il libro è stato scritto oltre 70 anni fa, e che quindi le considerazioni dell’Autore debbono essere inquadrate in quel periodo, quando le comunicazioni e le infrastrutture, nonché la conoscenza geografica dell’Albania erano certamente molto diverse da quelle attuali.

Ritengo opportuno richiamare alcune nozioni di geografia generale citate nella pubblicazione sul fiume Drini che, per l’importanza del suo bacino (circa 14.000 chilometri quadrati) e per la lunghezza del suo corso (circa 280 chilometri) è il fiume più importante dell’Albania.

"Emissario del lago di Ohrid, con il nome di Drin Nero, scorre da Sud a Nord, finché trova il Drin Bianco, che scende dalle Alpi albanesi e irrora con i suoi innumerevoli affluenti il piano della Metoia, conferendo nel paese dei Ljuma presso il famoso ponte del Vezir. Di qui il Drini si incassa in una profonda valle, costretta poi al brusco gomito di Valbona. Di qui rimbalza contro il tavolato delle Alpi albanesi e, quindi, continua il suo corso rabbioso per una serie di gole così impraticabili che sono evitate perfino dalle piste mulattiere, e attraversa le regioni più inospitali e selvagge dell’Albania, forse domani (siamo nel 1939, ndr) gioia, diletto e richiamo di una speciale categoria di turisti. Seguendo il suo aspro corso divide il tavolato delle Alpi albanesi dall’altipiano mirdita, finché, presso Vaudejes, sbocca in piano. E qui il fiume divide le sue acque fra il Kirl e, direttamente, l’Adriatico, dove finalmente ha pace presso Alessio".

Il libro, che non mi risulta essere stato tradotto in italiano, descrive le avventure e le impressioni del viaggio che l’Autore ha compiuto con altri tre compagni, fra i quali anche una donna, su quattro piccole canoe lungo il corso del fiume Drini, dalle sorgenti al mare.

La spedizione ha provato molte emozioni nella profonda forra del fiume, incassato tra le montagne tra le quali ha il suo letto, discendendone tutto il percorso da Ohrid fino a Ulcinj e continuando la navigazione nella Drinassa e nella Bojana, alla foce della quale gli sportivi entrarono nell’Adriatico, dopo un tragitto di circa 280 chilometri.

Il corso del fiume venne interamente percorso navigando sulle canoe, ad eccezione di brevi tratti a causa delle rapide della corrente. L’Autore, evidentemente uno sportivo entusiasta “ante litteram” del “rafting” e precursore di questo sport oggi diffuso, fa osservare che il miglior modo per visitare l’Albania è offerto dall’usare canoe pneumatiche pieghevoli.

Interessanti alcune osservazioni dell’Autore.

Il Karohl scrive che in Albania i vari costumi orientali resistono al tempo: in Albania il viaggiatore è sicuro, perché viene considerato come ospite e perciò si considera soggetto ai sacri diritti dell’ospitalità.

Fa notare, anche, che nei villaggi lungo il corso del Drini vige ancora l’ora all’orientale secondo la quale si considera il giorno da un tramonto all’altro; e perciò un’ora dopo il tramonto è l’una, mentre l’ora prima del tramonto segna le 23. Anche per il ragguaglio dei pesi continua tuttora in molte località l’uso dei pesi all’orientale anziché in chilogrammi. Il copricapo bianco è rimasto quello dei tempi omerici, sottolinea Karohl.

Karohl fa inoltre presente che se altre usanze importate dall’Oriente sono ancora abbastanza diffuse tra i musulmani e l’uso dell’ora e dei pesi all’orientale è in via di sparizione all’infuori dei villaggi più appartati, il copricapo bianco è invece diventato molto diffuso.

L’Autore nota inoltre che, per i cenni di assenso e di diniego, gli albanesi scuotono la testa per affermare una cosa, mentre per negarla abbassano il capo, scambiando quello che per gli occidentali è sì e no. L’Autore afferma che, all’epoca, questo modo di espressione era diffuso anche presso le popolazioni di altri Paesi balcanici che erano stati sotto la dominazione ottomana.

Karohl conferma con ammirazione che l’albanese ha un suo proprio grande senso di dignità e anche i più poveri mostrano una sicura dignità che conferma il comportamento spirituale.

"L’albanese continua ad allevare i fanciulli alla maniera spartana e pur con il freddo essi si vedono circolare scalzi e con la sola camicia: è per questo che l’albanese si tempra alle più dure stagioni, spiegandosi così come nel nord dell’Albania possa vivere una gente forte, sobria e guerriera come era nei tempi preistorici: la cosa avviene del resto in molte parti della penisola balcanica, come ad esempio nel Montenegro".

La fatica dei campi non è molto praticata dagli albanesi, che si mantengono tradizionalmente pastori: questo spiega a detta dell'autore perché il popolo non tenga a vivere che un giorno per l’altro, lavorando quanto può bastare per la giornata, dato che il giorno dopo è sempre incerto per le possibilità della guerriglia o contro un aggressore vicino o per combattere un attacco di briganti o cadere vittima della vendetta: questo modo di pensare è stato trasmesso da sempre da padre in figlio.

Agli albanesi pare impossibile – è opinione dell’Autore – che l’era della guerra debba ritenersi sparita, o sia per sparire: quindi bisogna vivere alla giornata, col destino.
L’impressione ricevuta da Karl Karohl sull’Albania è stata quella di un Paese bello, abitato da un popolo fiero: in esso persistono come fondamento dell’onore l’amicizia e la vendetta del sangue.

Inoltre conferma più volte le sue considerazioni generali sul Paese: i panorami albanesi sono stupendi tanto nelle sterminate pianure quanto nelle eccelse montagne incise da fiumi che si perdono dentro gli abissi; i laghi sono meravigliosi e le coste ricche di paesaggi floristici di grande attrattiva. E prevede per l’Albania un grande futuro turistico sia nelle zone montane che in quelle costiere.

Una previsione molto intuitiva per l’epoca, che certamente rappresenta uno stimolo per oggi e per il futuro.

In verità, se il materiale geografico della pubblicazione è scarso, perché il libro descrive un’impresa tipicamente sportiva condotta durante la magra estiva del Drini e sempre per via d’acqua, il volume è ricco di molte illustrazioni, originali e ben scelte, utilissime anche per il geografo, e si legge assai volentieri.

La novità dello sport (la canoa), di cui Karl Karohl è stato all’epoca un campione, è di per se stessa attraente. I tentativi precedenti di v. Hahn e di Steinmetz erano stati soltanto parziali ed avevano percorso solo alcuni tratti del fiume. L’esplorazione dell’Autore e dei suoi compagni si può dire perfettamente riuscita dal lago di Ohrid fino alla foce.

Alcuni recensori hanno osservato – all’epoca – che l’impresa doveva considerarsi unicamente sotto l’aspetto sportivo, mentre la pubblicazione contiene anche un’utile messe di considerazioni antropogeografiche, non soltanto lungo il corso idrografico del Drini e della sua valle, ma per tutto l’ambiente albanese.

Il geologo prof Mario Mariani nel “Bollettino della Società Geografica Italiana” pubblicato nel 1940 scrisse: "La discesa del più importante fiume albanese in canoa è impresa che dal lato geografico va perciò ripetuta, anche per saggiarne le eventuali possibilità in fatto di navigazione, di irrigazione e di utilizzazione idroelettrica".


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