Nel preambolo dell'attuale costituzione armena si parla di riunificazione col Nagorno Karabakh: l'Azerbaijan insiste perché venga modificata, il premier armeno Pashinyan prende tempo, e l'impasse continua a pesare sulla possibile normalizzazione delle relazioni tra Baku e Yerevan
All’inizio del mese scorso, il presidente dell’Azerbaijan Ilham Aliyev ha affermato che è improbabile si arrivi ad un accordo per normalizzare le relazioni con l’Armenia, a meno che quest’ultima non modifichi la propria Costituzione. Nello specifico, si tratterebbe di eliminare il controverso preambolo dell’attuale Costituzione armena in cui si fa riferimento alla Dichiarazione di indipendenza del 1990, basata su una decisione congiunta del 1989 sulla “riunificazione della Repubblica socialista sovietica armena e della regione montuosa del Karabakh”.
Il premier armeno Nikol Pashinyan ha riconosciuto che il preambolo sottintende rivendicazioni territoriali sull’Azerbaijan, e quindi dovrebbe essere rimosso, anche se ancora non si sa quando.
Yerevan ha infatti messo in chiaro di non apprezzare le sollecitazioni su quella che considera una questione interna. Per Baku invece la questione della modifica della Costituzione armena riguarda anche la sicurezza dell’Azerbaijan e Yerevan, fallendo nel riconoscerlo, ignora la causa scatenante del conflitto tra i due paesi. Nonostante il suo scioglimento all’inizio di quest’anno, gli ambienti revanscisti armeni continuano a rivendicare non solo l’ex regione autonoma del Nagorno Karabakh (NKAO), ma anche sette regioni adiacenti.
A complicare ulteriormente la situazione è l’atteggiamento dell’opposizione armena, secondo cui le dichiarazioni rilasciate da Pashinyan sin dall’anno scorso riguardo alla riforma costituzionale sarebbero frutto di pressioni. I funzionari di Yerevan accusano l’Azerbaijan di voler impedire – con le sue richieste di modificare la Costituzione armena – il raggiungimento di un accordo tra i due paesi. La parte azerbaijana sostiene invece che Pashinyan stia cercando di guadagnare tempo per riarmarsi.
La questione della Costituzione non è però così semplice. La logica alla base delle modifiche, proposte da Pashinyan sin dal 2019, riguarda il futuro del paese. Gli emendamenti, adottati con i referendum del 2005 e del 2015, erano stati viziati da accuse di brogli massicci e dati sull’affluenza gonfiati. Il secondo plebiscito era stato interpretato come uno stratagemma con cui il predecessore di Pashinyan, Serzh Sargsyan, aveva tentato di mantenere il potere assumendo la carica di primo ministro alla scadenza del suo secondo mandato presidenziale nel 2018. Le proteste, che ne erano seguite, avevano portato al potere la leadership attuale.
Di conseguenza, la popolazione armena non si riconosce nella Costituzione, che dovrebbe essere il fondamento dello stato. A ciò si aggiunge un diffuso disimpegno politico e sentimento di apatia. Per introdurre qualsiasi modifica costituzionale è necessario il sostegno di oltre il 50% dei votanti, con un’affluenza alle urna superiore ai 25% degli aventi diritto. Che si tratti di una grande sfida è emerso anche dalle elezioni amministrative nella capitale Yerevan dello scorso anno: l’affluenza si era fermata al 28%, oltre 15 punti percentuali in meno rispetto al 2018, e la leadership al potere se l’è cavata con il 32,57% dei voti.
Quindi, Pashinyan si trova in una posizione difficile. Un eventuale rifiuto degli emendamenti costituzionali da parte degli elettori potrebbe essere visto come una minaccia alla pace. Allo stesso modo potrebbe essere frainteso anche un referendum in cui le modifiche verrebbero approvate, senza però raggiungere il quorum.
Se da un lato è vero che alcuni media hanno parlato della richiesta di emendare la Costituzione armena come di una condizione per la firma di un accordo tra Yerevan e Baku, è anche vero che alcuni analisti di Baku la vedono diversamente, suggerendo che l’impegno a introdurre modifiche costituzionali possa essere incluso nel testo dell’accordo di pace, qualunque esso sia. James Sharpe, già ambasciatore britannico in Azerbaijan, ha osservato come una disposizione di questo tipo sia stata inserita nell’Accordo del Venerdì Santo del 1998 tra il Regno Unito e l’Irlanda per porre fine al conflitto nordirlandese.
Fahrid Shafiyev, presidente del Centro di analisi delle relazioni internazionali con sede a Baku, ha suggerito che l’impegno [di Yerevan] a emendare la Costituzione entro un anno dalla firma dell’accordo di pace, se venisse incluso nel testo del accordo, potrebbe essere accettabile, anche se il lasso di tempo potrebbe rivelarsi troppo breve. Pashinyan infatti deve ancora coinvolgere l’opinione pubblica in una discussione informata sulla necessità e sui benefici della pace.
Ad oggi il governo armeno non ha rilasciato alcuna dichiarazione al riguardo. Lo scorso 19 giugno i media hanno invece riportato una notizia inaspettata, secondo cui un mese prima Pashinyan avrebbe chiesto al Consiglio per le riforme costituzionali di redigere una nuova costituzione entro la fine del 2026. I componenti del Consiglio – secondo quanto riferito dai media – avrebbero dichiarato di non esserne stati informati e di non sapere nemmeno quando si riuniranno nuovamente. Baku non si è ancora fatta sentire sulla vicenda.
Sta di fatto però che gli analisti azerbaijani hanno dato vita ad un dibattito maturo, e lo stesso non si può dire per i loro colleghi armeni. Anche Rasim Musabekov, deputato del parlamento di Baku, ritiene che Pashinyan potrebbe perdere il potere se il referendum dovesse fallire. Il governo armeno – sostiene Musabekov – potrebbe però rivolgersi alla Corte costituzionale per valutare la legittimità del preambolo. Se la Corte lo dovesse giudicare illegittimo, un ostacolo verrebbe superato. Poi in un secondo momento, la questione potrebbe essere affrontata attraverso una riforma costituzionale.
Pur considerandolo ancora a rischio, Baku non ha fretta di firmare un accordo. Per Pashinyan invece la posta in gioco è più alta. Volendo provare a giustificare le azioni finora compiute, che vengono viste come concessioni unilaterali, alle prossime elezioni il premier armeno dovrà mostrare di aver raggiunto risultati tangibili nella sua agenda di pace, ampiamente promossa. Gli Stati Uniti e l’Unione europea restano ottimisti riguardo alla possibilità di raggiungere a breve un accordo. Anche l’Azerbaijan è ottimista, ma solo se prima verrà superata l’impasse costituzionale.
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