Centinaia di persone hanno manifestato a Yerevan contro la visita del presidente russo e in solidarietà con l'Ucraina. La maggior parte della società armena, tuttavia, sembra più interessata a Mosca che a Bruxelles
“Alcuni mi hanno chiesto che cosa ci facessi qui”, spiega Anton Ivchenko, un attivista che ha partecipato alla protesta del 2 dicembre scorso nel centro di Yerevan contro la visita del presidente Putin. “Io sono etnicamente russo, e la gente pensa che dovrei essere contento se l'Armenia aderisce all'Unione doganale con Mosca. Ma sono anche un cittadino armeno.”
Anton, che politicamente si definisce anarchico, ritiene che aderire all'Unione doganale, che considera un preludio alla rinascita dell'impero sovietico, sarebbe una follia. “Per capirlo non c'è bisogno di avere una particolare nazionalità, lo hanno capito anche alcuni poliziotti”, ricorda Anton, arrestato dopo aver sfondato uno sbarramento di agenti tenendo in mano bandiera nera anarchica.
Alle barricate!
Il giorno della visita di Putin, i dimostranti erano scesi in piazza nel centro di Yerevan con bandiere armene e scandendo slogan rivoluzionari (“Alle barricate!”). Alcuni avevano portato con sé le bandiere dell'Ucraina. Il numero dei manifestanti non era altissimo, meno di un migliaio, in parte a causa delle misure di polizia. Le autorità non volevano che la visita del presidente russo venisse offuscata da proteste, e dalla mattina presto la polizia aveva cominciato a fermare gli attivisti per impedire le dimostrazioni. Molti sono stati prelevati dalla polizia nelle loro case, e alcuni sono stati arrestati mentre tentavano di esporre manifesti anti-Putin in strada.
Come ha raccontato ad Osservatorio Olya, un'attivista, “appena abbiamo esposto il nostro striscione (Serzh [Sargsyan], arriva il paparino), sono intervenute tre macchine della polizia.” Olya e i suoi amici sono stati portati ad una stazione di polizia e trattenuti per diverse ore, per poi essere rilasciati al termine delle proteste. Quando infine, nonostante gli interventi della polizia, le manifestazioni sono iniziate, a mezzogiorno, gli agenti hanno sigillato le vie percorse dai dimostranti. Ci sono stati dei tafferugli e alcune decine di persone sono state arrestate. In totale, più di 110 protestanti sono stati fermati nel corso della giornata.
Il virus ucraino
Le dimostrazioni di massa in Ucraina, che hanno incoraggiato una parte degli attivisti, hanno evidentemente innervosito le autorità armene. La reazione spropositata delle forze dell'ordine, tuttavia, ha avuto un effetto indesiderato, trasformando una protesta relativamente piccola in un grande evento mediatico.
Il nervosismo delle autorità armene era comprensibile. La visita di stato di Putin, infatti, aveva acquisito un'importanza particolare all'indomani della dichiarazione del 3 settembre scorso sulla volontà di Yerevan di aderire all'Unione Doganale con Russia, Kazakhstan e Bielorussia. Il significato dell'annuncio era che l'Armenia non avrebbe proceduto con i negoziati commerciali con l'Unione europea, che avrebbero dovuto essere siglati al summit di Vilnius sul Partenariato orientale. Dopo che anche l'Ucraina si è rifiutata di firmare gli accordi, il summit di Vilnius, che avrebbe dovuto rappresentare il trionfo della politica del Partenariato orientale, è divenuto un'esibizione della debolezza europea.
L'Armenia, che solo pochi mesi prima era considerata uno degli elementi di successo del Partenariato orientale, ha tuttavia subito le conseguenze diplomatiche dell'improvvisa inversione di linea politica. Al summit l'Armenia non è stata praticamente menzionata, e sulle relazioni tra Armenia e Unione europea è stata diramata solo una vaga dichiarazione con frasi generiche.
Est-Ovest
La visita di Putin era quindi estremamente importante per il presidente armeno Serzh Sargsyan, che doveva recuperare posizioni nella scena regionale. Sargsyan doveva anche dimostrare agli armeni che la scelta di aderire all'Unione doganale con la Russia era quella giusta, e che l'Armenia ne avrebbe tratto più vantaggi di quanti non ne avrebbe avuti dall'Unione europea.
Il governo si è quindi mostrato particolarmente soddisfatto per l'annuncio che il prezzo del gas russo sarebbe stato fissato a 190 $/1.000 metri cubi. L'accordo sul gas, tuttavia, non è risultato del tutto chiaro. L'Armenia ha dovuto infatti cedere il suo rimanente 20% di proprietà della ArmRosGazProm, la compagnia russo-armena che controllava la distribuzione del gas nel paese. La storia del gas è divenuta ancora più delicata quando, alcuni giorni dopo l'accordo con la Russia, l'ambasciatore iraniano ha fatto capire che l'Iran avrebbe potuto vendere il gas all'Armenia ad un prezzo inferiore di quello russo. Per quanto riguarda poi altri benefici economici derivanti dall'accordo con la Russia, Putin ha fatto vagamente riferimento a “termini preferenziali” derivanti all'Armenia dall'associazione, ma senza fornire molti dettagli.
Come hanno mostrato le proteste, non tutti sono convinti dei benefici derivanti dall'Unione doganale con Mosca. Olya, l'attivista fermata il 2 dicembre, ha dichiarato: “Io non riconosco al presidente Sargsyan la legittimità per prendere simili decisioni sul futuro dell'Armenia. Se continuiamo per questa strada, un giorno l'Armenia diventerà parte della Federazione Russa.”
Alla Russia con amore
L'opposizione armena, tuttavia, pur criticando Sargsyan, è molto più cauta nelle sue dichiarazioni sulla questione. Il Congresso Nazionale Armeno, il partito dell'ex presidente Levon Ter-Petrosyan, non ha sostenuto direttamente le proteste, malgrado alcuni dei suoi più giovani attivisti vi abbiano preso parte. C'è infatti una sorta di consenso generale, che attraversa l'intero scenario politico armeno, sul fatto che la cooperazione con la Russia, in particolare in materia di sicurezza, è indispensabile nelle attuali condizioni. Il paese deve infatti affrontare la questione del conflitto irrisolto con l'Azerbaijan, la chiusura dei confini con la Turchia e l'apparente impossibilità di aderire alla Nato nel futuro prossimo.
Non ci sono dati statistici affidabili, ma è evidente che l'atteggiamento pro europeo dei giovani dimostranti non è necessariamente rappresentativo della maggioranza degli armeni. Migliaia di famiglie armene, specialmente quelle che risiedono nelle regioni più povere, dipendono dall'assistenza finanziaria che ricevono dai parenti che lavorano in Russia. I media russi continuano ad essere una delle principali fonti di informazione sul mondo esterno per la maggioranza degli armeni. La Russia rimane una delle principali destinazioni per gli armeni, che non necessitano di un visto per entrare nella Federazione. Al contrario, richiedere un visto per visitare un paese dell'Unione europea equivale a sottoporsi ad un lungo e talvolta umiliante procedimento. La fascia di popolazione più anziana, che ricorda l'URSS, ha spesso un atteggiamento di nostalgia per gli anni dell'Unione sovietica, e spera che un'alleanza economica con la Russia possa portare i benefici che aveva in passato in termini di stabilità e alto livello di pensioni.
Gagik, un conducente di autobus sulla cinquantina che lavora su una tratta che unisce l'Armenia alla Russia meridionale, frequentata da lavoratori migranti, è fermamente filo russo. Interrogato sulle recenti proteste contro Putin, non ne capisce lo scopo. “Che senso ha protestare contro Putin? Lui è quello che ci dà da mangiare... Cosa succederebbe se decidesse di deportare gli armeni che lavorano in Russia e mandano a casa i soldi? Chi è che darà da mangiare a queste famiglie, i protestanti? L'Armenia è un paese piccolo, chi ci proteggerà se domani gli azeri e i turchi ci attaccheranno? L'Europa? L'America? No, i russi.”
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